by Dante
pur di Beatrice ragionando andava,
54
dicendo: “Li occhi suoi già veder parmi.” →
Guidavaci una voce che cantava →
di là; e noi, attenti pur a lei,
57
venimmo fuor là ove si montava.
“Venite, benedicti Patris mei,” →
sonò dentro a un lume che lì era,
60
tal che mi vinse e guardar nol potei.
“Lo sol sen va,” soggiunse, “e vien la sera; →
non v’arrestate, ma studiate il passo,
63
mentre che l’occidente non si annera.”
Dritta salia la via per entro ’l sasso →
verso tal parte ch’io toglieva i raggi
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dinanzi a me del sol ch’era già basso.
E di pochi scaglion levammo i saggi, →
che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
69
sentimmo dietro e io e li miei saggi.
E pria che ’n tutte le sue parti immense
fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,
72
e notte avesse tutte sue dispense,
ciascun di noi d’un grado fece letto;
ché la natura del monte ci affranse
75
la possa del salir più e ’l diletto.
Quali si stanno ruminando manse →
le capre, state rapide e proterve →
78
sovra le cime avante che sien pranse,
tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
guardate dal pastor, che ’n su la verga
81
poggiato s’è e lor di posa serve;
e quale il mandrïan che fori alberga,
lungo il pecuglio suo queto pernotta,
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guardando perché fiera non lo sperga;
tali eravamo tutti e tre allotta,
io come capra, ed ei come pastori,
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fasciati quinci e quindi d’alta grotta.
Poco parer potea lì del di fori;
ma, per quel poco, vedea io le stelle →
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di lor solere e più chiare e maggiori.
Sì ruminando e sì mirando in quelle,
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
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anzi che ’l fatto sia, sa le novelle.
Ne l’ora, credo, che de l’orïente →
prima raggiò nel monte Citerea,
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che di foco d’amor par sempre ardente,
giovane e bella in sogno mi parea
donna vedere andar per una landa
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cogliendo fiori; e cantando dicea:
“Sappia qualunque il mio nome dimanda →
ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno
102
le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;
ma mia suora Rachel mai non si smaga
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dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
Ell’ è d’i suoi belli occhi veder vaga
com’ io de l’addornarmi con le mani;
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lei lo vedere, e me l’ovrare appaga.”
E già per li splendori antelucani,
che tanto a’ pellegrin surgon più grati, →
111
quanto, tornando, albergan men lontani,
le tenebre fuggian da tutti lati, →
e ’l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi,
114
veggendo i gran maestri già levati.
“Quel dolce pome che per tanti rami
cercando va la cura de’ mortali,
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oggi porrà in pace le tue fami.”
Virgilio inverso me queste cotali
parole usò; e mai non furo strenne
120
che fosser di piacere a queste iguali.
Tanto voler sopra voler mi venne
de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi →
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al volo mi sentia crescer le penne.
Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su ’l grado superno, →
126
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,
e disse: “Il temporal foco e l’etterno →
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
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dov’ io per me più oltre non discerno.
Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce; →
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fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.
Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
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che qui la terra sol da sé produce. →
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
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seder ti puoi e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più né mio cenno; →
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
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per ch’io te sovra te corono e mitrio.” →
PURGATORIO XXVIII
Vago già di cercar dentro e dintorno →
la divina foresta spessa e viva, →
3
ch’a li occhi temperava il novo giorno,
sanza più aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento →
6
su per lo suol che d’ogne parte auliva.
Un’aura dolce, sanza mutamento →
avere in sé, mi feria per la fronte
9
non di più colpo che soave vento;
per cui le fronde, tremolando, pronte →
tutte quante piegavano a la parte
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u’ la prim’ ombra gitta il santo monte;
non però dal loro esser dritto sparte →
tanto, che li augelletti per le cime
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lasciasser d’operare ogne lor arte;
ma con piena letizia l’ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
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che tenevan bordone a le sue rime,
tal qual di ramo in ramo si raccoglie →
per la pineta in su ’l lito di Chiassi,
21
quand’ Ëolo scilocco fuor discioglie.
Già m’avean trasportato i lenti passi →
dentro a la selva antica tanto, ch’io
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non potea rivedere ond’ io mi ’ntrassi;
ed ecco più andar mi tolse un rio, →
che ’nver’ sinistra con sue picciole onde
27
piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo.
Tutte l’acque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna
30
verso di quella, che nulla nasconde,
avvegna che si mova bruna bruna
sotto l’ombra perpetüa, che mai →
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raggiar non lascia sole ivi né luna.
Coi piè ristetti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
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la gran varïazion d’i freschi mai;
e là m’apparve, sì com’ elli appare
subitamente cosa che disvia
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per maraviglia tutto altro pensare,
una donna soletta che si gia →
e cantando e scegliendo fior da fiore
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ond’ era pinta tutta la sua via.
“Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore → →
ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti
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che soglion esser testimon del core,
vegnati in voglia di trarreti avanti,”<
br />
diss’ io a lei, “verso questa rivera,
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tanto ch’io possa intender che tu canti.
Tu mi fai rimembrar dove e qual era →
Proserpina nel tempo che perdette
51
la madre lei, ed ella primavera.”
Come si volge, con le piante strette →
a terra e intra sé, donna che balli,
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e piede innanzi piede a pena mette,
volsesi in su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
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che vergine che li occhi onesti avvalli;
e fece i prieghi miei esser contenti,
sì appressando sé, che ’l dolce suono →
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veniva a me co’ suoi intendimenti.
Tosto che fu là dove l’erbe sono
bagnate già da l’onde del bel fiume,
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di levar li occhi suoi mi fece dono.
Non credo che splendesse tanto lume →
sotto le ciglia a Venere, trafitta
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dal figlio fuor di tutto suo costume.
Ella ridea da l’altra riva dritta, →
trattando più color con le sue mani,
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che l’alta terra sanza seme gitta.
Tre passi ci facea il fiume lontani; → →
ma Elesponto, là ’ve passò Serse,
72
ancora freno a tutti orgogli umani,
più odio da Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
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che quel da me perch’ allor non s’aperse.
“Voi siete nuovi, e forse perch’ io rido,” → →
cominciò ella, “in questo luogo eletto
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a l’umana natura per suo nido,
maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti, →
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che puote disnebbiar vostro intelletto.
E tu che se’ dinanzi e mi pregasti, →
dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta
84
ad ogne tua question tanto che basti.”
“L’acqua,” diss’ io, “e ’l suon de la foresta →
impugnan dentro a me novella fede
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di cosa ch’io udi’ contraria a questa.”
Ond’ ella: “Io dicerò come procede
per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
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e purgherò la nebbia che ti fiede. →
Lo sommo ben, che solo esso a sé piace, →
fé l’uom buono e a bene, e questo loco
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diede per arr’ a lui d’etterna pace.
Per sua difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
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cambiò onesto riso e dolce gioco.
Perché ’l turbar che sotto da sé fanno
l’essalazion de l’acqua e de la terra,
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che quanto posson dietro al calor vanno,
a l’uomo non facesse alcuna guerra,
questo monte salìo verso ’l ciel tanto,
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e libero n’è d’indi ove si serra.
Or perché in circuito tutto quanto →
l’aere si volge con la prima volta,
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se non li è rotto il cerchio d’alcun canto,
in questa altezza ch’è tutta disciolta
ne l’aere vivo, tal moto percuote,
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e fa sonar la selva perch’ è folta;
e la percossa pianta tanto puote,
che de la sua virtute l’aura impregna
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e quella poi, girando, intorno scuote;
e l’altra terra, secondo ch’è degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
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di diverse virtù diverse legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
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sanza seme palese vi s’appiglia.
E saper dei che la campagna santa
dove tu se’, d’ogne semenza è piena,
120
e frutto ha in sé che di là non si schianta.
L’acqua che vedi non surge di vena →
che ristori vapor che gel converta,
123
come fiume ch’acquista e perde lena;
ma esce di fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
126
quant’ ella versa da due parti aperta.
Da questa parte con virtù discende →
che toglie altrui memoria del peccato;
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da l’altra d’ogne ben fatto la rende.
Quinci Letè; così da l’altro lato
Eünoè si chiama, e non adopra
132
se quinci e quindi pria non è gustato:
a tutti altri sapori esto è di sopra. →
E avvegna ch’assai possa esser sazia
135
la sete tua perch’ io più non ti scuopra,
darotti un corollario ancor per grazia; →
né credo che ’l mio dir ti sia men caro,
138
se oltre promession teco si spazia.
Quelli ch’anticamente poetaro →
l’età de l’oro e suo stato felice,
141
forse in Parnaso esto loco sognaro.
Qui fu innocente l’umana radice; →
qui primavera sempre e ogne frutto;
144
nettare è questo di che ciascun dice.”
Io mi rivolsi ’n dietro allora tutto
a’ miei poeti, e vidi che con riso →
udito avëan l’ultimo costrutto;
148
poi a la bella donna torna’ il viso.
PURGATORIO XXIX
Cantando come donna innamorata, →
continüò col fin di sue parole:
3
“Beati quorum tecta sunt peccata!”
E come ninfe che si givan sole →
per le salvatiche ombre, disïando
6
qual di veder, qual di fuggir lo sole,
allor si mosse contra ’l fiume, andando →
su per la riva; e io pari di lei,
9
picciol passo con picciol seguitando.
Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei,
quando le ripe igualmente dier volta,
12
per modo ch’a levante mi rendei.
Né ancor fu così nostra via molta,
quando la donna tutta a me si torse,
15
dicendo: “Frate mio, guarda e ascolta.” →
Ed ecco un lustro sùbito trascorse →
da tutte parti per la gran foresta,
18
tal che di balenar mi mise in forse.
Ma perché ’l balenar, come vien, resta,
e quel, durando, più e più splendeva,
21
nel mio pensier dicea: “Che cosa è questa?”
E una melodia dolce correva →
per l’aere luminoso; onde buon zelo
24
mi fé riprender l’ardimento d’Eva,
che là dove ubidia la terra e ’l cielo,
femmina, sola e pur testé formata,
27
non sofferse di star sotto alcun velo;
sotto ’l qual se divota fosse stata,
avrei quelle ineffabili delizie
30
sentite prima e più lunga fïata.
Mentr’ io m’andava tra tante primizie →
de l’etterno piacer tutto sospeso,
33
e disïoso ancora a più letizie,
dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,
ci si fé l’aere sotto i verdi rami;
36
e ’l dolce suon per canti era già inteso. →
O sacrosante Vergini, se fami, →
freddi o vigilie mai per voi soffersi,
39
cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.
Or convien che Elicona per me versi,
e Uranìe m’aiuti col suo coro
42
forti cose a pensar mettere in versi. →
Poco più oltre, sette alberi d’oro →
falsava nel parere il lungo tratto
45
del mezzo ch’era ancor tra noi e loro;
ma quand’ i’ fui sì presso di lor fatto,
che l’obietto comun, che ’l senso inganna, →
48
non perdea per distanza alcun suo atto,
la virtù ch’a ragion discorso ammanna,
sì com’ elli eran candelabri apprese,
51
e ne le voci del cantare “Osanna.”
Di sopra fiammeggiava il bello arnese →
più chiaro assai che luna per sereno
54
di mezza notte nel suo mezzo mese.
Io mi rivolsi d’ammirazion pieno →
al buon Virgilio, ed esso mi rispuose
57
con vista carca di stupor non meno.
Indi rendei l’aspetto a l’alte cose
che si movieno incontr’ a noi sì tardi,
60
che foran vinte da novelle spose. →
La donna mi sgridò: “Perché pur ardi →
sì ne l’affetto de le vive luci,
63
e ciò che vien di retro a lor non guardi?”
Genti vid’ io allor, come a lor duci, →