Sussurri

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Sussurri Page 9

by Dean Koontz


  Era riuscita a difendersi dall'attacco di Frye, ma gli amanti delle sensazioni forti non ci avrebbero nemmeno fatto caso. Le fredde immagini della televisione e le foto in bianco e nero dei giornali l'avrebbero dipinta come una donna debole. Lo spietato pubblico americano si sarebbe chiesto perché aveva fatto entrare Frye. Avrebbero insi­nuato che era stata violentata e che aveva finto di averlo cacciato per crearsi una copertura. Alcuni avrebbero affer­mato che era stata lei a invitarlo a entrare chiedendogli di essere violentata. E la maggior parte della comprensione le sarebbe pervenuta mescolata a una curiosità morbosa. Da­vanti ai giornalisti avrebbe potuto contare solo sul pro­prio aspetto. Non poteva permettere che la fotografassero nello stato pietoso nel quale l'aveva lasciata Bruno Frye.

  Mentre si lavava il viso, si pettinava i capelli e si infilava un abito in seta stretto in vita da una cintura, non pensava che in quel modo avrebbe danneggiato la propria credibi­lità presso la polizia. Non si accorse che, rendendosi pre­sentabile, avrebbe dato adito sicuramente a qualche so­spetto e a qualche dubbio e forse sarebbe stata accusata di essere una bugiarda.

  Sebbene fosse convinta di aver recuperato la padronanza di sé, Hilary ricominciò a tremare mentre finiva di vestirsi. Le gambe sembravano di gelatina e fu costretta ad appog­giarsi contro l'armadio per un paio di minuti.

  La mente brulicava di immagini terrificanti, ricordi dolo­rosi che avrebbe voluto cancellare per sempre. Dapprima vide Frye che si avvicinava con il coltello, con un ghigno spettrale, poi quell'immagine sembrò mutare, fondendosi in un'altra figura, in un'altra identità: era diventato suo pa­dre, Earl Thomas, ed era Earl che le andava incontro, ubriaco e arrabbiato come sempre, e la colpiva violentemente con quelle sue mani enormi. Scosse la testa e respirò profondamente, riuscendo, con un grande sforzo, a cancel­lare quella visione.

  Ma non riusciva a smettere di tremare.

  Le pareva di udire strani rumori in un'altra stanza della casa. Una parte di lei sapeva che erano solo frutto della sua immaginazione, ma l'altra parte era sicura che Frye stesse tornando da lei.

  Quando si precipitò al telefono e compose il numero della polizia, non fu più in grado di fornire la dichiarazione calma e ragionata che si era imposta. Gli avvenimenti di quell'ultima ora avevano influito su di lei più profonda­mente di quanto avesse pensato in un primo momento e le ci sarebbero voluti giorni o forse settimane per riprendersi dallo choc.

  Quando riappese il ricevitore si sentì decisamente me­glio perché sapeva che stavano per correre in suo aiuto. Mentre scendeva le scale esclamò a voce alta: "Stai calma. Cerca di stare calma. Sei Hilary Thomas. Sei dura. Dura come l'acciaio. Non hai paura. Non hai mai paura. Andrà tutto bene." Era la stessa litania che aveva ripetuto tante volte da bambina nell'appartamento di Chicago. Quando arrivò al pianterreno, sentì di aver riacquistato il dominio di se stessa.

  Era in piedi nell'ingresso e stava osservando fuori della finestra, quando una macchina si fermò nel vialetto. Scesero due uomini. Anche se non erano arrivati con le sirene spiegate, capì che erano della polizia e aprì la porta per farli entrare.

  Il primo che notò era di corporatura robusta, biondo, occhi azzurri e la classica voce dura e risoluta dei poliziotti. Aveva in mano una pistola. "Polizia. Lei chi è?"

  "Thomas," rispose. "Hilary Thomas. Sono io che vi ho chiamato."

  "Questa è casa sua?"

  "Sì. C'era un uomo..."

  Dall'oscurità apparve un secondo detective, più alto e più scuro del precedente, che la interruppe prima che po­tesse finire la frase. "È ancora nei dintorni?"

  "Che cosa?"

  "L'uomo che l'ha assalita è ancora qui?"

  "Oh, no. E fuggito. Se n'è andato."

  "Da che parte?" chiese l'investigatore biondo.

  "E uscito da questa porta."

  "Aveva una macchina?"

  "Non lo so,"

  "Era armato?"

  "No. Voglio dire, sì."

  "Sarebbe a dire?"

  "Aveva un coltello. Ma ora non più."

  "Da che parte è fuggito quando è uscito dalla casa?"

  "Non lo so. Ero di sopra. Io..."

  "Da quanto tempo se n'è andato?" domandò l'investiga­tore più alto.

  "Circa quindici, forse venti minuti fa."

  I due si scambiarono un'occhiata che Hilary non riuscì a decifrare ma che le apparve immediatamente come poco promettente per lei.

  "Perché ci ha messo così tanto a chiamarci?" chiese il biondo. Era leggermente ostile.

  Hilary ebbe la sensazione di perdere parte del vantaggio di cui disponeva.

  "All'inizio ero... confusa," spiegò. "In preda a una crisi isterica. Ho avuto bisogno di qualche minuto per rimettere insieme le idee."

  "Venti minuti?"

  "Forse solo quindici."

  Gli uomini riposero le rivoltelle.

  "Abbiamo bisogno di una descrizione," continuò il bruno.

  "Posso fare anche di meglio," proseguì la donna spostan­dosi di lato per farli entrare, "posso fornirvi un nome."

  "Un nome?"

  "Il suo nome. Lo conosco," disse. "L'uomo che mi ha as­salita: io so chi è."

  I due uomini si guardarono con la stessa espressione di prima.

  Hilary pensò: Che cosa ho fatto di male?

  Hilary Thomas era una delle donne più belle che Tony avesse mai visto. Sembrava che nelle sue vene scorresse qualche goccia di sangue indiano. Aveva i capelli lunghi e folti, più scuri dei suoi, di un nero corvino. Anche gli occhi erano scuri, con le cornee candide come la neve. La pelle perfetta era colore del miele, probabilmente il risultato di un'attenta esposizione al sole californiano. Il viso, forse un po' troppo lungo, era bilanciato dagli occhi enormi, dalla forma perfetta del naso aristocratico e dalla pienezza sen­suale delle labbra. Era un viso erotico, ma allo stesso tempo intelligente e delicato: il viso di una donna dolce e comprensiva. In quegli occhi affascinanti si leggeva anche il dolore: era il dolore che derivava dall'esperienza. Tony era convinto che non si trattasse solo di un dolore momen­taneo, dovuto a ciò che la donna aveva appena vissuto, ma che fosse legato a una sofferenza con radici ben più pro­fonde.

  Erano nello studio colmo di libri. Hilary e Tony se­devano alle due estremità del divano di velluto. Erano soli.

  Frank era in cucina e stava parlando al telefono con un collega della centrale.

  Al primo piano, due poliziotti in uniforme, Whitlock e Farmer, stavano estraendo i proiettili dal muro.

  Non era stato chiamato l'esperto per rilevare le im­pronte digitali perché, secondo quanto affermato dalla donna, il suo assalitore indossava i guanti.

  "Che sta facendo adesso?" domandò Hilary Thomas.

  "Chi?"

  "Il tenente Howard."

  "Sta parlando con la centrale in modo che qualcuno chiami l'ufficio dello sceriffo di Napa County, dove vive Frye."

  "Perché?"

  "Be', perché forse lo sceriffo può scoprire come ha fatto Frye ad arrivare a Los Angeles."

  "Che importanza ha sapere come c'è arrivato?" chiese Hilary. "La cosa importante è che si trova qui e che deve essere fermato e arrestato."

  "Se è arrivato in aereo," spiegò Tony, "non ha alcuna importanza. Ma se Frye è venuto a Los Angeles in mac­china, allora lo sceriffo di Napa County potrebbe scoprire che auto ha usato. Con una descrizione del veicolo e il nu­mero di targa, abbiamo più probabilità di inchiodarlo prima che si allontani troppo."

  Hilary riflette qualche istante, poi domandò: "Perché il tenente Howard è andato in cucina? Perché non ha usato il telefono che c'è qui?"

  "Immagino volesse lasciarla tranquilla per qualche mi­nuto," le spiegò in tono imbarazzato.

  "Secondo me non voleva che ascoltassi quello che di­ceva."

  "Oh, no. Era solo..."

  "Sa, ho proprio una strana sensazione," lo interruppe Hilary. "Mi sembra di essere l'indiziata invece della vit­tima."

  "È solo tesa," la rassicurò Tony. "È molto tesa ed è deci­samente comprensibile."

  "Non è quello. È il modo
in cui mi trattate. Be'... non tanto lei, quanto il suo collega."

  "A volte Frank può sembrare scostante," spiegò Tony, "ma è un bravo investigatore."

  "Pensa che io stia mentendo."

  Tony rimase sorpreso di fronte alla sua perspicacia. Si agitò sul divano, visibilmente a disagio. "Sono sicuro che non pensa niente del genere."

  "Invece sì," insistette Hilary. "E non capisco perché." Aveva gli occhi fissi su Tony. "Mi ha preso di mira. Forza. Perché? Che cosa ho detto di sbagliato?"

  Tony sospirò. "Lei è una donna perspicace."

  "Sono una scrittrice. Fa parte del mio lavoro osservare le cose in modo più attento rispetto alla maggior parte della gente. E sono anche testarda. Per cui, se vuole liberarsi di me, le conviene rispondere alla mia domanda."

  "Una delle cose che preoccupano il tenente Howard è il fatto che lei conosca l'uomo che l'ha aggredita."

  "E allora?"

  "È piuttosto imbarazzante," rispose l'uomo, a disagio.

  "Me lo dica lo stesso."

  "Be'..." Si schiarì la voce. "Normalmente la polizia è convinta che se la vittima di uno stupro o di un tentativo di stupro conosce il suo assalitore, ci sono buone probabilità che la stessa vittima abbia contribuito al crimine, provo­cando l'accusato in un modo o nell'altro."

  "Stronzate!"

  Hilary si alzò, si diresse verso la scrivania e rimase di spalle per un attimo. Tony si rese conto che stava lottando per mantenere la calma. Le sue parole l'avevano mandata su tutte le furie.

  Quando si girò verso di lui, aveva il viso rosso per la col­lera. "È orribile. Disgustoso. Praticamente tutte le volte che una donna viene violentata da qualcuno che conosce, voi pensate che l'abbia voluto lei."

  "No. Non sempre."

  "Ma è ciò che pensate la maggior parte delle volte," tuonò lei.

  "No."

  Lo guardò. "Smettiamola di giocare con le parole. È ciò che pensate di me. Siete convinti che io l'abbia provocato."

  "No," ribadì Tony. "Le ho semplicemente spiegato che cosa si pensa normalmente in un caso come questo. Non ho detto che credo ciecamente alle opinioni comuni della polizia. Io non ne sono convinto. Ma il tenente Howard sì. Mi ha chiesto di lui. Voleva sapere che cosa stesse pen­sando e io gliel'ho detto."

  Hilary aggrottò la fronte. "Allora... lei mi crede?"

  "C'è qualche motivo per cui non dovrei?"

  "E successo esattamente come le ho spiegato."

  "D'accordo."

  Lo fissò. "Perché?"

  "Perché che cosa?"

  "Perché lei mi crede e il suo collega no?"

  "Riesco a immaginare solo due ragioni per cui una donna possa accusare ingiustamente un uomo di averla vio­lentata. E nel suo caso nessuna delle due avrebbe senso."

  Hilary si appoggiò alla scrivania, piegò le braccia, sol­levò la testa e lo guardò visibilmente interessata. "Quali sa­rebbero queste ragioni?"

  "Numero uno, lui ha i soldi e lei no. Lei vuole inca­strarlo, sperando di riuscire a spillargli un sacco di quattrini in cambio del ritiro della denuncia."

  "Ma io di soldi ne ho."

  "A quanto pare deve averne molti," affermò lanciando uno sguardo pieno di ammirazione alla casa superbamente arredata.

  "Qual è l'altra ragione?"

  "Un uomo e una donna hanno una storia, ma lui la lascia per un'altra. Lei si sente ferita, rifiutata e offesa. Vuole far­gliela pagare. Vuole punirlo e così lo accusa di stupro."

  "Come fa a essere sicuro che questo non sia anche il mio caso?" domandò Hilary.

  "Ho visto entrambi i suoi film, per cui credo di sapere come ragiona. Lei è una donna molto intelligente, Miss Thomas. Non penso sia così stupida, meschina o vendica­tiva da mandare un uomo in galera solo perché ha ferito i suoi sentimenti."

  Hilary lo osservò attentamente.

  Tony si sentì giudicare.

  Convinta che non fosse lui il nemico, Hilary tornò verso il divano e si sedette con un fruscio di seta blu. Il vestito se­guiva le forme del corpo e Tony cercò di non lasciar trape­lare l'ammirazione per le stupende curve della donna.

  "Mi spiace di essere stata sgarbata," si scusò Hilary.

  "Non si preoccupi," la rassicurò lui. "Certi atteggiamenti danno fastidio anche a me."

  "Immagino che se dovessimo andare in tribunale, l'avvo­cato di Frye cercherebbe di far credere alla giuria che ho provocato quel figlio di puttana."

  "Può scommetterci."

  "Gli crederebbero?"

  "Spesso lo fanno."

  "Ma non voleva solo violentarmi. Voleva anche ucci­dermi."

  "Dovrà provarlo."

  "C'è un coltello rotto di sopra..."

  "Non può essere collegato a Frye," le spiegò Tony. "Non ci sono le sue impronte. E si tratta di un normale coltello da cucina. Non possiamo risalire al negozio in cui è stato acquistato e ricollegare tutto a Bruno Frye."

  "Ma sembrava pazzo. È... squilibrato. La giuria probabil­mente se ne renderà conto. Diamine, ve ne accorgerete quando lo arresterete. Forse non ci sarà neanche un pro­cesso. Si limiteranno a rinchiuderlo."

  "Se è un pazzo, forse sa anche come comportarsi per farsi giudicare normale," proseguì Tony. "In fin dei conti, fino a questa sera, è sempre stato considerato come un cit­tadino responsabile e onesto. Quando ha visitato i suoi vi­gneti vicino a St. Helena, non si è accorta di avere a che fare con un pazzo, vero?"

  "No."

  "Non se ne accorgerà neanche la giuria."

  Hilary chiuse gli occhi e si pizzicò il naso. "Allora proba­bilmente ne uscirà pulito.",

  "Mi dispiace doverlo ammettere, ma ci sono buone pro­babilità che ciò avvenga."

  "E poi tornerà per vendicarsi."

  "Può darsi."

  "Cristo."

  "Voleva sapere come stavano realmente le cose."

  Hilary spalancò gli occhi. "Sì, è vero. E grazie per aver­melo detto." Riuscì persino a sorridere.

  Tony ricambiò il sorriso. Avrebbe voluto prenderla fra le braccia, stringerla a sé, consolarla, baciarla, fare l'amore con lei. Ma non poté fare altro che rimanere seduto sul di­vano, come un bravo rappresentante della legge, con un sorrisetto di circostanza stampato in viso. "A volte il si­stema è disgustoso."

  "Quali sono le altre ragioni?"

  "Mi scusi?"

  "Lei ha affermato che una delle ragioni per cui il tenente Howard non mi crede è perché conosco il mio assalitore. Quali sono gli altri motivi? Che cos'altro gli fa pensare che io stia mentendo?"

  Tony stava per risponderle quando Frank Howard entrò nella stanza. "Okay," esordì Frank in tono brusco. "Lo sce­riffo di Napa County cercherà di controllare quando e come questo Frye ha lasciato la città. Abbiamo inoltre messo in circolazione un identikit, basato sulla sua descri­zione, Miss Thomas. Sono appena andato in macchina a prendere il modulo per il rapporto." Le porse il blocco sul quale era appoggiato il foglio e prese una penna dalla tasca interna del soprabito. "Voglio che ripeta ancora una volta a me e al tenente Clemenza ciò che è successo, in modo che io possa annotare ogni dettaglio, usando le sue stesse pa­role. Dopo di che la lasceremo in pace."

  Hilary li condusse nell'ingresso e cominciò a raccontare la storia dettagliatamente, iniziando con l'improvvisa com­parsa di Bruno Frye dall'armadio. Tony e Frank la segui­rono verso il divano rovesciato, poi di sopra, in camera da letto, continuando a rivolgerle domande. Durante i trenta minuti necessari per completare il rapporto, la voce di Hi­lary si fece a tratti flebile e insicura, mentre la donna rivi­veva quei terribili attimi: ancora una volta Tony provò il desiderio di stringerla fra le braccia per confortarla.

  Appena ebbero finito di scrivere il rapporto, arrivarono alcuni giornalisti. Hilary scese per incontrarli.

  Contemporaneamente, Frank ricevette una chiamata dalla centrale e rispose dal telefono della camera da letto.

  Tony scese per aspettare Frank e per vedere come Hi­lary Thomas se la sarebbe cavata con i giornalisti.

  Si comportò con estrema sicurezza. Affermò di essere molt
o stanca e di aver bisogno di restare sola. Non li lasciò nemmeno entrare in casa, ma uscì sul portico e i giornalisti si accalcarono davanti a lei. Era arrivata anche un'equipe televisiva, completa di minitelecamera e del classico attore reporter, uno di quegli uomini che ottengono un posto gra­zie soprattutto ai lineamenti delicati, agli occhi penetranti e alla voce profonda. L'intelligenza e l'abilità giornalistica avevano ben poco a che fare con il successo di un inviato del telegiornale. Anzi, molto spesso tali qualità finivano per risultare addirittura controproducenti. Per ottenere il successo, l'ambizioso reporter televisivo doveva pensare nello stesso modo in cui era strutturato il suo programma: in segmenti di tre, quattro, cinque minuti, senza mai soffer­marsi a lungo su un dato argomento e senza mai approfon­dirlo troppo. Erano presenti anche un reporter e il suo fo­tografo, sebbene decisamente meno gentili ed eleganti del telecronista. Hilary Thomas si destreggiò facilmente fra le domande, rispondendo solo a quelle che le sembravano op­portune ed evitando abilmente quelle che riteneva troppo personali o impertinenti.

  Ciò che Tony trovava particolarmente interessante nel­l'atteggiamento di Hilary era il modo in cui riusciva a te­nere i giornalisti fuori di casa e lontani dalla sua vita pri­vata, senza tuttavia offenderli. Non era una cosa facile. Esi­stevano ottimi giornalisti in grado di scavare sino in fondo per scoprire la verità e scrivere storie avvincenti senza vio­lare i diritti e la dignità della vittima, ma ne esistevano altri che erano esattamente il contrario: uomini sporchi e me­schini. Con la nascita di quello che il Washington Post bril­lantemente definiva come un "giornalismo su misura", la spregevole tendenza a manipolare una storia per sostenere le personali convinzioni politiche e sociali del giornalista e dell'editore, alcuni rappresentanti della stampa, uomini sporchi e meschini, si erano lasciati andare a un'irresponsa­bilità senza precedenti. Chi criticava le maniere, i metodi o le chiare tendenze di un giornalista, chi osava offenderlo, rischiava di essere dipinto sul giornale come un pazzo, un bugiardo e un criminale; e il giornalista l'avrebbe fatto con un'incredibile noncuranza, poiché considerava se stesso come il paladino della verità e della giustizia in una lotta contro il demonio. Hilary si rendeva chiaramente conto del pericolo e si comportò in modo perfetto. Rispose a quasi tutte le domande, rabbonì i giornalisti, li trattò con ri­spetto, li colpì con il suo fascino e sorrise persino alla tele­camera. Non disse che conosceva il suo assalitore. Non fece il nome di Bruno Frye. Non voleva che i mass media speculassero su un suo precedente legame con l'uomo che l'a­veva aggredita.

 

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