Sussurri

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Sussurri Page 10

by Dean Koontz


  La sua prontezza di spirito obbligò Tony a rivalutarla. Sapeva già che era una donna intelligente e di talento, ma si rese conto in quel momento che era anche astuta. Era la donna più affascinante che avesse mai incontrato.

  Hilary aveva quasi finito con i reporter e si stava abil­mente liberando di loro, quando Frank Howard scese le scale e si diresse verso l'entrata, fermandosi accanto a Tony che respirava la fresca brezza notturna. Frank osservò Hi­lary Thomas che rispondeva alle domande di un giornalista e aggrottò le sopracciglia. "Devo parlarle."

  "Che cosa voleva la centrale?" domandò Tony.

  "È il motivo per cui devo parlarle," rispose Frank in tono duro. Aveva deciso di tenere la bocca chiusa. Non aveva intenzione di rivelare le novità finché non ne fosse stato assolutamente sicuro. Era un'altra delle sue irritanti abitudini.

  "Con loro ha quasi finito," spiegò Tony.

  "Ha finito di pavoneggiarsi e di vantarsi."

  "Neanche per idea."

  "Ma certo. Si sta divertendo un mondo."

  "Se l'è cavata molto bene," commentò Tony, "ma non mi sembra si stia divertendo."

  "La gente del cinema," continuò Frank sdegnato, "ha bi­sogno di attenzione e pubblicità come io e te abbiamo biso­gno di mangiare."

  I giornalisti erano solo a due metri e mezzo da loro e Tony temeva che potessero sentire le parole di Frank, seb­bene fossero impegnati nell'intervista a Hilary Thomas. "Parla piano," lo rimproverò.

  "Non mi interessa se vengono a sapere come la penso," affermò Frank. "Potrei persino rilasciare una dichiarazione su quei fanatici che inventano storie per ottenere pubbli­cità sui giornali."

  "Stai forse dicendo che si è inventata tutto? Ma è ridi­colo."

  "Vedrai," rispose Frank.

  Tony si sentì improvvisamente a disagio. Hilary Thomas aveva risvegliato il coraggioso cavaliere che era in lui: era suo dovere proteggerla. Non voleva vederla ferita, ma sem­brava che Frank dovesse discutere con lei di cose poco pia­cevoli.

  "Devo parlarle e subito," sbottò Frank. "Con il cavolo che sto qui ad aspettare mentre quella fa una bella svioli­nata alla stampa."

  Tony mise una mano sulla spalla del collega. "Aspetta qua. Vado a chiamarla."

  Frank era arrabbiato per quello che la centrale gli aveva comunicato e Tony sapeva che i giornalisti se ne sarebbero accorti e si sarebbero irritati. Se avessero pensato che c'e­rano stati degli sviluppi nell'indagine, soprattutto se la fac­cenda diventava piccante con un che di scandaloso, sarebbero rimasti fra i piedi fino all'alba perseguitando tutti quanti. E se Frank aveva davvero notizie poco piacevoli su Hilary Thomas, la stampa ne avrebbe tratto immediata­mente titoli da prima pagina e avrebbe sbandierato la noti­zia con quell'irrispettosa allegria riservata a tutto ciò che è marcio. Più tardi, se l'informazione di Frank fosse risultata errata, la televisione non si sarebbe certo curata di correg­gere quanto precedentemente affermato e la ritrattazione sui giornali, se mai ce ne fosse stata una, avrebbe occupato poche righe in ventesima pagina. A Tony premeva che Hilary avesse l'opportunità di controbattere a ciò che Frank stava per dirle. Voleva concederle una possibilità di discol­parsi prima che tutta la faccenda diventasse una carneva­lata pubblicitaria di pessimo gusto.

  Si diresse verso i giornalisti e disse loro: "Scusate, si­gnore e signori, ma sono sicuro che Miss Thomas ha rac­contato a voi più di quanto abbia riferito a noi. L'avete prosciugata. Il mio collega e io avremmo dovuto smontare un paio d'ore fa e siamo terribilmente stanchi. Abbiamo avuto una brutta giornata, trascorsa a malmenare innocenti sospettati di accettare bustarelle, perciò vi saremmo grati se ci lasciaste finire con Miss Thomas."

  I giornalisti risero divertiti e cominciarono a tempestarlo di domande. Tony rispose per alcuni minuti, senza aggiun­gere niente a quanto già affermato da Hilary. Dopo di che, spinse la donna in casa e chiuse la porta.

  Frank era nell'ingresso. La sua collera non si era placata. Sembrava che, da un momento all'altro, dovesse uscirgli il vapore dalle orecchie. "Miss Thomas, devo rivolgerle qual­che altra domanda."

  "Va bene."

  "Sono parecchie. Forse ci vorrà un po' di tempo."

  "Be', vogliamo accomodarci nello studio?"

  Frank Howard fece strada.

  Hilary domandò a Tony: "Che cos'è successo?"

  Tony si strinse nelle spalle. "Non ne ho idea. Vorrei tanto saperlo."

  Frank aveva raggiunto il centro del soggiorno. Si fermò e si girò a fissarla. "Miss Thomas?"

  Hilary e Tony lo seguirono nello studio.

  Hilary si sedette sul divano di velluto, accavallò le gambe e si lisciò l'abito di seta. Era nervosa e non riusciva a capire perché fosse tanto antipatica al tenente Howard. Si comportava in modo freddo e distaccato. Era pieno di una collera gelida e aveva lo sguardo duro come l'ac­ciaio. Ripensò agli strani occhi di Bruno Frye e non poté fare a meno di rabbrividire. Il tenente Howard la guardò con aria minacciosa. Le sembrava di essere l'indiziata prin­cipale in un processo della Santa Inquisizione. Non si sa­rebbe sorpresa se Howard l'avesse additata accusandola di stregoneria.

  Il tenente Clemenza, decisamente più simpatico, era se­duto nella poltrona marrone. Era investito dalla calda luce ambrata proveniente dalla lampada schermata che gettava un'ombra soffusa ai lati della bocca e sul naso e rendeva particolarmente profondi gli occhi. Nel complesso, la luce gli conferiva un aspetto decisamente più gentile e delicato di quanto non fosse in realtà. Avrebbe tanto desiderato che fosse lui a rivolgerle le domande, ma sembrava che per il momento il suo ruolo fosse semplicemente quello dell'os­servatore.

  Il tenente Howard era rimasto in piedi e la fissava dal­l'alto senza nascondere il proprio disprezzo. Si rese conto che voleva farle abbassare gli occhi in segno di vergogna e di colpevolezza, come avrebbe fatto un genitore con un bambino capriccioso. Hilary sostenne il suo sguardo senza farsi intimorire fino a quando l'uomo cominciò a cammi­nare nervosamente.

  "Miss Thomas," iniziò Howard. "Nella sua storia ci sono parecchi punti che non mi convincono."

  "Lo so," rispose. "Le dà fastidio il fatto che conoscessi il mio assalitore. Crede che possa averlo provocato. Non è così che la pensate voi della polizia?"

  Howard rimase sorpreso per un attimo ma si riprese rapi­damente. "Sì. Questo è il primo punto. Inoltre, non riu­sciamo a spiegarci come sia entrato. L'agente Whitlock e l'a­gente Farmer hanno controllato la casa da cima a fondo, più volte, ma non hanno trovato tracce di scasso. Nessuna finestra rotta. Nessuna serratura forzata o scassinata."

  "Quindi crede che l'abbia fatto entrare io," commentò lei. ^

  "E sicuramente una possibilità."

  "Bene. Faccia pure. Qualche settimana fa, mentre ero a Napa County per alcune ricerche legate a una sceneggia­tura, ho perso le chiavi nella tenuta di quell'uomo. Le chiavi di casa, quelle della macchina..."

  "È andata in macchina fin là?"

  "No. Sono andata in aereo. Ma le chiavi erano tutte in­sieme. Anche quelle della macchina che avevo noleggiato a Santa Rosa; erano attaccate a una catenella sottile e temevo di perderle, così le ho infilate nel mio portachiavi. Non le ho mai più ritrovate. La società di noleggio auto ha dovuto mandarmene un altro mazzo. E quando sono tornata a Los Angeles, ho dovuto chiamare un fabbro per entrare in casa e per rifare le chiavi."

  "Non ha fatto cambiare le serrature?"

  "Mi sembrava una spesa inutile," rispose. "Le chiavi che avevo perso non erano contrassegnate in alcun modo. Chiunque le avesse trovate non avrebbe saputo come utiliz­zarle."

  "E non le è venuto in mente che potevano essere state rubate?" chiese il tenente Howard.

  "No."

  "Ma ora è convinta che Bruno Frye abbia preso le chiavi con l'intenzione di venire qui a violentarla e ucciderla."

  "Sì."

  "Che cos'aveva contro di lei?"

  "Non lo so."

  "C'è qualche motivo per cui avrebbe dovuto essere ar­rabbiato con lei?"

  "No."

  "Un motivo per cui dovesse odiarla?"

  "Lo cono
sco appena."

  "Si è fatto un bel po' di strada."

  "Lo so."

  "Centinaia di miglia."

  "Senta, è pazzo. E i pazzi fanno cose incomprensibili."

  Il tenente Howard smise di camminare, si bloccò davanti a lei e la fissò come fosse stato uno degli dei arrabbiati rap­presentati sui totem. "Non le sembra strano che un pazzo sia riuscito a nascondere così bene la propria follia a casa, mantenendo i nervi saldi, fino ad arrivare qui da lei, in una città sconosciuta, e finalmente scoppiare?"

  "Ma certo che mi sembra strano," bofonchiò. "Molto strano. Ma è la verità."

  "Bruno Frye avrebbe avuto l'opportunità di rubare quelle chiavi?"

  "Sì. Uno dei suoi uomini mi condusse a dare un'occhiata in giro. Dovevamo arrampicarci sulle impalcature, tra i tini di fermentazione, in mezzo ai fusti per l'invecchiamento e altri posti piuttosto stretti. La borsa mi sarebbe stata d'im­piccio. Mi avrebbe impedito i movimenti. Così la lasciai a casa."

  "In casa di Frye."

  "Sì."

  Era pervaso da una forte energia, era supercaricato. Ri­cominciò a passeggiare avanti e indietro, dal divano alle fi­nestre, dalle finestre alla libreria per poi tornare al divano, con le ampie spalle ben diritte e la testa eretta.

  Il tenente Clemenza le sorrise, ma non servì a rassicu­rarla.

  "E alla tenuta qualcuno si ricorderà che lei ha perso le chiavi?" chiese il tenente Howard.

  "Credo di sì. Certamente. Le ho cercate per almeno mezz'ora. Ho chiesto in giro, sperando che qualcuno le avesse viste."

  "Ma nessuno sapeva niente."

  "Esatto."

  "Dove credeva di averle lasciate?"

  "Pensavo che fossero in borsa."

  "E l'ultimo posto nel quale ricorda di averle viste?"

  "Sì. Avevo usato la macchina a noleggio per raggiungere la tenuta ed ero sicura di aver messo le chiavi in borsa dopo aver posteggiato."

  "Comunque, quando non è riuscita più a trovarle, non le è venuto in mente che qualcuno potesse averle rubate?"

  "No. Perché avrebbero dovuto rubare le chiavi e non i soldi? Nel portafogli avevo circa duecento dollari."

  "C'è un'altra cosa che non mi convince. Dopo aver cac­ciato Frye fuori di casa sotto la minaccia della pistola per­ché ha aspettato tanto a chiamarci?"

  "Non ho aspettato tanto."

  "Venti minuti."

  "Forse meno."

  "Considerando che era stata aggredita e quasi uccisa da un maniaco armato di coltello, venti minuti sono decisa­mente un'eternità. La maggior parte della gente chiede im­mediatamente l'intervento della polizia. Pretendono che arriviamo sulla scena del delitto in dieci secondi e diven­tano furibondi se ci mettiamo anche solo qualche minuto."

  Lei osservò Clemenza, poi Howard e infine le proprie dita intrecciate strettamente ed esangui. Raddrizzò la schiena e le spalle. "Io... credo... credo di essermi lasciata andare." Era un'ammissione incredibilmente difficile e pe­nosa. Era sempre stata molto orgogliosa della propria forza. "Sono andata alla scrivania, mi sono seduta e ho ini­ziato a comporre il numero della polizia e... poi... io... mi sono messa a piangere. Ho iniziato a piangere... e non sono più riuscita a smettere."

  "Ha pianto per venti minuti?"

  "No. Certo che no. Non sono un tipo piagnucoloso. Vo­glio dire, non mi lascio andare troppo facilmente."

  "Quanto tempo ci ha messo a riprendere il controllo?"

  "Non lo so con certezza."

  "Quindici minuti?" incalzò il tenente Howard.

  "Direi meno."

  "Dieci minuti?"

  "Forse cinque."

  "E quando ha ripreso il controllo, perché non ci ha chia­mato subito? Era seduta proprio davanti al telefono."

  "Sono andata di sopra a lavarmi la faccia e a cambiarmi," spiegò. "Ve l'ho già detto."

  "Lo so," esclamò. "Mi ricordo. Si faceva bella per la stampa."

  "No," sbottò, iniziando ad arrabbiarsi. "Non mi stavo 'facendo bella'. Ho solo pensato che avrei..."

  "Questo è un altro punto che mi lascia sconcertato," la interruppe Howard. "Mi lascia di stucco. Voglio dire, viene quasi violentata e uccisa, si fa prendere da una crisi di pianto, ha ancora paura che Frye possa tornare a comple­tare il lavoro lasciato in sospeso ma, nonostante tutto, de­cide di andare di sopra a rendersi presentabile! E pazze­sco!"

  "Scusate," intervenne il tenente Clemenza sporgendosi dalla poltrona marrone. "Frank, so che hai in mente qual­cosa e so anche dove vuoi andare a parare. Non voglio ro­vinarti il divertimento o cose del genere. Ma non credo sia possibile fare delle supposizioni sull'onestà e l'integrità di Miss Thomas basandoci sul tempo che ha impiegato per chiamarci. Sappiamo entrambi che molto spesso la gente ri­mane scioccata dopo un'esperienza del genere. E non sempre si agisce in modo razionale. Il comportamento di Miss Thomas non è poi tanto strano."

  Hilary avrebbe voluto ringraziare il tenente Clemenza per essere intervenuto, ma avvertì un leggero antagonismo fra i due e decise di non alimentare quel principio di incen­dio.

  "Mi stai forse suggerendo di lasciar perdere?" chiese Ho­ward.

  "Volevo solo dire che si sta facendo tardi e siamo tutti molto stanchi," spiegò Clemenza.

  "Ammetterai comunque che la sua storia fa acqua da tutte le parti."

  "Io non la metterei su questo piano," proseguì Cle­menza.

  "E su che piano la metteresti?" chiese Howard.

  "Diciamo che ci sono alcuni punti che ancora non sono chiari."

  Howard lo fissò con aria torva per un attimo, poi annuì. "D'accordo. Va bene. Stavo solo cercando di sottolineare che ci sono almeno quattro punti oscuri nella sua storia. Se sei d'accordo, vorrei continuare." Si girò verso Hilary. "Miss Thomas, vorrei che ci descrivesse di nuovo il suo aggressore."

  "Perché? Sapete persino come si chiama."

  "Sia gentile."

  Non riusciva a capire dove volesse arrivare con tutte quelle domande. Sapeva che le stava tendendo una trap­pola, ma non aveva la più pallida idea di che tipo di trap­pola fosse o che cosa le avrebbe potuto fare. "D'accordo. Ma è l'ultima volta. Bruno Frye è alto, circa un metro e no­vanta..."

  "Niente nomi, per favore."

  "Che cosa?"

  "Descriva il suo assalitore senza usare alcun nome."

  "Ma io so come si chiama," ripetè lentamente e paziente­mente.

  "Lo faccia per me," proseguì l'uomo in tono serio.

  Hilary sospirò e si appoggiò al divano, fingendosi annoiata. Non voleva che si accorgesse che la stava innervo­sendo. Che cosa diavolo aveva in mente? "L'uomo che mi ha assalito," spiegò, "era alto circa un metro e novanta e pesava più o meno cento, centodieci chili. Molto musco­loso."

  "Di che razza?" chiese Howard.

  "Bianco."

  "Carnagione?"

  "Chiara."

  "Qualche cicatrice o neo?"

  "No."

  "Tatuaggi?"

  "Sta scherzando?"

  "Tatuaggi?"

  "No."

  "Qualche segno particolare?"

  "No."

  "Zoppicava o aveva qualche difetto fisico?"

  "È un figlio di puttana in perfetta forma," sbottò.

  "Colore dei capelli?"

  "Biondo scuro."

  "Lunghi o corti?"

  "Media lunghezza."

  "Occhi?"

  "Sì."

  "Che cosa?"

  "Sì, aveva gli occhi."

  "Miss Thomas..."

  "Va bene, va bene."

  "E una faccenda seria."

  "Aveva gli occhi azzurri. Una strana sfumatura grigio az­zurra."

  "Età?"

  "Circa quarant'anni."

  "Qualche caratteristica particolare?"

  "Per esempio?"

  "Ha accennato a qualcosa riguardo alla sua voce."

  "Esatto. Aveva una voce profonda. Una specie di brontolio. Un tono gracchiante. Grave, rauco e irregolare."

  "Bene," esclamò il tenente Howard, oscillando leggermente sui due piedi, chiaramente compiaciuto de
l proprio lavoro. "Abbiamo un'ottima descrizione dell'assalitore. Ora, mi descriva Bruno Frye."

  "L'ho appena fatto."

  "No, no. Partiamo dal presupposto che lei non conosca l'uomo che l'ha aggredita. Ha accettato questo giochetto per farmi contento, si ricorda? Ha appena descritto il suo assalitore, un uomo senza nome. Ora vorrei che mi descri­vesse Bruno Frye."

  Hilary si voltò verso il tenente Clemenza. "E davvero necessario?" domandò esasperata.

  Clemenza ribattè: "Frank, non puoi cercare di fare un po' più in fretta?"

  "Senti, sto cercando di stabilire una cosa," sbottò il te­nente Howard. "E sto cercando di arrivarci nel modo mi­gliore. E comunque, è lei che ci fa perdere tempo."

  Si voltò verso Hilary che avvertì nuovamente la sgrade­vole sensazione di essere l'indiziata principale in un pro­cesso di altri tempi, con Howard nei panni di un fanatico inquisitore. Se solo Clemenza gliel'avesse permesso, Ho­ward l'avrebbe afferrata e scrollata fino a ottenere la rispo­sta che voleva, indipendentemente dal fatto che fosse la ve­rità.

  "Miss Thomas," l'ammonì, "se si limiterà a rispondere a tutte le mie domande, finiremo nel giro di pochi minuti. Ora, le spiace descrivermi Bruno Frye?"

 

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