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Sussurri

Page 42

by Dean Koontz


  La voce di Sally risuonò piena di terrore. "Non ti ho fatto niente. Non so di che cosa stai parlando. Oh, Gesù. Oh, mio Dio. Mio Dio. Che cosa vuoi da me?"

  Bruno si sporse in avanti e appoggiò il suo viso a quello della ragazza. Poi la fissò diritto negli occhi e proseguì: "Sei lì, vero? Sei lì sotto e cerchi di sfuggirmi, vero? Vero, Madre? Ti ho visto, Madre. So che sei lì."

  Le prime gocce di pioggia iniziarono a picchiare contro la finestra nell'ufficio di Joshua Rhinehart.

  Il vento della notte sibilava.

  "Continuo a non capire perché Frye abbia scelto me," disse Hilary. "Quando sono venuta qui per quelle ricerche relative alla sceneggiatura, si è mostrato molto amichevole. Ha risposto a tutte le mie domande sull'industria vinicola. Abbiamo trascorso un paio d'ore insieme e mi ha dato l'impressione di essere un normalissimo uomo d'affari. Poi, qualche settimana più tardi, si presenta a casa mia con un coltello. E secondo quella lettera ritrovata nella cassetta di sicurezza, è convinto che io sia sua madre in un corpo di­verso. Ma perché io?"

  Joshua si agitò sulla sedia. "La stavo osservando e mi è venuto in mente..."

  "Che cosa?"

  "Forse ha scelto lei, perché... be', assomiglia leggermente a Katherine."

  "Non mi dica che abbiamo fra le mani un altro sosia," in­tervenne Tony.

  "No," rispose Joshua. "E solo una vaga somiglianzà."

  "Bene," esclamò Tony. "Un sosia basta e avanza."

  Joshua si alzò, andò verso Hilary, le mise una mano sotto il mento, le alzò il viso e lo girò a destra e a sinistra. "I capelli, gli occhi, la carnagione," spiegò pensieroso. "Sì, sono molto simili. E c'è qualcos'altro nel suo viso che mi ricorda vagamente Katherine; sono piccoli dettagli, che non riesco neppure a definire. È solo una somiglianzà indi­stinta. E comunque Katherine non era carina come lei."

  Hilary si alzò e si diresse verso la scrivania dell'avvocato. Rimuginando su quanto aveva appreso nel corso dell'ul­tima ora, osservò gli oggetti ordinatamente disposti: il tam­pone di carta assorbente, la cucitrice, il tagliacarte e il fer­macarte.

  "Qualcosa non va?" domandò Tony.

  Il vento si stava trasformando in una piccola bufera. Le gocce di pioggia sempre più fitte sbattevano contro la fine­stra.

  Hilary si voltò. "Vediamo di riassumere la situazione. Vorrei essere sicura di aver capito bene."

  "Credo che nessuno abbia capito bene," intervenne Joshua ritornando a sedersi. "Questa dannata faccenda è troppo complicata per riuscire a capirci qualcosa."

  "E quello che sostengo anch'io," riprese Hilary. "Ma forse c'è qualcosa di ancora più contorto."

  "Vai avanti," la incitò Tony.

  "Per quanto ne sappiamo," spiegò Hilary, "poco dopo la morte della madre, Bruno si è convinto che la donna era ri­tornata dalla tomba. Per circa cinque anni, ha continuato a comperare libri sui morti viventi da Latham Hawthorne. Per cinque anni è vissuto con il terrore di Katherine. Finalmente, quando mi vede, decide che io sono il nuovo corpo utilizzato dalla madre. Ma perché ci ha messo così tanto?"

  "Non riesco a seguirla," mormorò Joshua.

  "Perché ha impiegato cinque anni per concentrarsi su qualcuno, cinque lunghi anni per scegliere un obiettivo in carne e ossa su cui sfogare le sue paure?"

  Joshua si strinse nelle spalle. "È un pazzo. Non possiamo pretendere che ragioni in modo logico e sensato."

  Ma Tony aveva scorto le implicazioni contenute in quella domanda. Aggrottò le sopracciglia. "Forse ho capito dove vuoi arrivare," le disse. "Mio Dio, mi sta venendo la pelle d'oca."

  Joshua guardò entrambi ed esclamò: "Probabilmente con il passare degli anni sto diventando un po' ottuso. Qualcuno vorrebbe spiegare a questo vecchio che cosa dia­mine sta succedendo?"

  "Forse non sono la prima donna che scambia per sua ma­dre," spiegò Hilary. "Forse ne ha uccise altre prima di ve­nire da me."

  Joshua spalancò gli occhi. "E impossibile!"

  "Perché?"

  "Ci saremmo accorti se fosse andato in giro a uccidere per cinque anni. E l'avrebbero beccato!"

  "Non necessariamente," intervenne Tony. "Spesso i ma­niaci omicidi sono persone molto attente e intelligenti. Al­cuni seguono un piano meticoloso e possiedono la straordi­naria capacità di rischiare quel tanto che basta quando il loro piano sembra essere in pericolo. Non è facile cattu­rarli."

  Joshua si passò una mano tra i folti capelli bianchi. "Ma se Bruno ha ucciso altre donne, dove sono i corpi?"

  "Non a St. Helena," rispose Hilary. "Può anche darsi che sia schizofrenico, ma il rispettabile dottor Jekyll sapeva mantenere il pieno controllo di sé quando era con persone che conosceva. Quasi sicuramente si sarà allontanato dalla città per uccidere. Lontano da questa città e da questa val­lata."

  "San Francisco," propose Tony. "Pare che ci andasse re­golarmente."

  "Qualsiasi città nella parte settentrionale dello stato," proseguì Hilary. "Ovunque potesse passare inosservato, lontano da Napa Valley."

  "Aspettate," sbottò Joshua. "Aspettate un attimo. Anche ammesso che si sia mosso da qui e abbia incontrato donne che assomigliavano vagamente a Katherine, anche am­messo che le abbia uccise in qualche altra città, be', comun­que avrebbe dovuto lasciare dietro di sé dei cadaveri. E ci sarebbe stato un legame fra i vari delitti, qualche analogia che le autorità avrebbero sicuramente individuato. Avreb­bero ricercato un nuovo Jack lo Squartatore. E lo avremmo letto sui giornali."

  "Se gli omicidi sono stati compiuti in un arco di tempo di cinque anni e in città diverse, probabilmente la polizia non li avrà collegati," spiegò Tony. "Lo stato è molto grande. Centinaia di migliaia di chilometri quadrati. Ci sono centinaia e centinaia di organizzazioni di polizia ma spesso le informazioni non passano da un gruppo all'altro. In realtà esiste solo un modo sicuro per riconoscere i le­gami esistenti fra omicidi apparentemente diversi: almeno due o tre dei delitti devono avvenire in un breve lasso di tempo e all'interno della stessa giurisdizione di polizia, nella stessa zona o città."

  Hilary si allontanò dalla scrivania e ritornò sul divano. "Quindi è possibile," mormorò sentendosi gelare. "È possi­bile che abbia massacrato due, sei, dieci, quindici o forse più donne nel corso degli ultimi cinque anni e che io sia stata l'unica a dargli qualche problema."

  "Non è solo possibile, ma anche probabile," intervenne Tony. "Direi che possiamo tenerlo presente." La fotocopia della lettera trovata nella cassetta di sicurezza era sul tavo­lino davanti a lui. La prese e lesse a voce alta la prima frase. "'Mia madre, Katherine Anne Frye, è morta cinque anni fa, ma continua a ritornare in vita in corpi diversi.'"

  "Corpi," precisò Hilary.

  "E questa la parola chiave," continuò Tony. "Non corpo al singolare. Corpi al plurale. Da questo possiamo dedurre che l'ha uccisa in diverse occasioni e che pensava fosse ri­tornata dall'inferno più di una volta."

  Iò volto di Joshua era cadaverico. "Ma se avete ragione... io ho... tutti noi a St. Helena abbiamo vissuto accanto a un... mostro malvagio e crudele. E non lo sospettavamo neppure!"

  Tony assunse un'espressione severa. "'La Bestia dell'In­ferno cammina fra noi nei panni di un uomo comune.'"

  "Da dove l'ha presa?"

  "Ho una memoria prodigiosa," rispose Tony. "È difficile che dimentichi qualcosa, per quanti sforzi faccia. Ricordo di aver udito questa frase durante una lezione di catechi­smo, molto tempo fa. L'ha scritta un santo, ma non so esat­tamente chi. 'La Bestia dell'Inferno cammina fra noi nei panni di un uomo comune. Se il Demonio dovesse rivelare il suo vero volto quando ti sei allontanato da Cristo, allora saresti senza protezione e lui potrebbe divorarti il cuore e spezzarti le gambe per trascinare la tua anima immortale nel pozzo più profondo.'"

  "Mi sembra Latham Hawthorne," mormorò Joshua.

  Fuori il vento continuava a sibilare.

  Frye appoggiò il coltello sul comodino, lontano dalla por­tata di Sally. Poi l'afferrò per i risvolti del grembiule e tirò con violenza. I bottoni saltarono.

  Lei era paralizzata dal terrore. Non oppose alcuna
resi­stenza, non poteva.

  Lui le sorrise e ringhiò: "Coraggio, Madre. Adesso mi prendo la rivincita."

  Le strappò il vestito di dosso e scostò i lembi di lato. La scoprì, facendola restare in reggiseno, slip e collant. Un bel fisico snello. Afferrò le coppe del reggiseno e tirò verso il basso. Le spalline le penetrarono nella pelle prima di spez­zarsi. Il tessuto si ruppe e l'elastico saltò.

  Per la sua struttura, aveva seni anche troppo grossi, ro­tondi, con capezzoli larghi e raggrinziti. Glieli stritolò.

  "Sì, sì, sì, sì, sì!" Quelle esclamazioni, pronunciate con la sua voce profonda e gracchiante, acquisirono una sfuma­tura sinistra, simile a una litania satanica.

  Le strappò di dosso le scarpe e le gettò da parte. Una delle due finì contro lo specchio che andò in frantumi.

  Lo schianto del vetro rotto scosse la ragazza dal suo stato di trance catatonico e fu allora che cercò di ritrarsi, ma la paura le toglieva ogni forza. Continuò a dimenarsi e ad agitarsi inutilmente contro di lui.

  Senza alcuna difficoltà, Frye riuscì a immobilizzarla, col­pendola con tanta violenza da farle spalancare la bocca e strabuzzare gli occhi. Dall'angolo delle labbra cominciò a scorrerle un rivolo di sangue che scivolò lungo il mento.

  "Brutta troia schifosa!" la insulto infuriato. "Niente sesso, eh? Dicevi che non avrei mai potuto scopare, vero? Niente sesso, eh? Dicevi che non potevo correre il rischio che un'altra donna scoprisse chi sono in realtà. Be', tu or­mai sai già chi sono, Madre. Conosci già il mio segreto. A te non ho più niente da nascondere. Saprai già che sono di­verso dagli altri uomini. Sai già che il mio cazzo è diverso. Sai chi era mio padre. Tu lo sai. Sai anche che il mio cazzo è uguale al suo. Non devo cercare di nascondertelo, Madre. E adesso te lo ficco dentro, Madre. Tutto dentro. Hai sen­tito bene?"

  La donna aveva iniziato a piangere, scuotendo il capo. "No, no, no! Oh, Dio!" Ma poi riprese il controllo, incrociò il suo sguardo e lo fissò con intensità (dietro quegli occhi scuri che lo scrutavano Bruno intravide Katherine). "Ascol­tami, ti prego, ascoltami," lo implorò. "Tu sei malato, molto malato. Hai la mente confusa. Hai bisogno di aiuto."

  "Chiudi il becco! Chiudi il becco!"

  La colpì con più forza, con un movimento ad arco della mano.

  La violenza lo eccitava, così come il suono di ogni sin­golo colpo, i suoi gemiti e i suoi lamenti da usignolo, la sua pelle tenera che si arrossava e si gonfiava. La vista di quel viso contorto dal dolore e gli occhietti da coniglio spaven­tato alimentarono le fiamme della sua già incontenibile lus­suria.

  Tremava dalla voglia, tremava, vibrava e sussultava. Sbuffava come un toro. Gli occhi erano spalancati. La bocca si stava riempiendo di saliva, tanto da dover deglu­tire con frequenza per evitare di sputarle addosso.

  Le maltrattò i seni, strizzandoli e martoriandoli.

  Ritiratasi nel suo dolore, Sally era ricaduta nello stato di semitrance, immobile e irrigidita.

  Da una parte Bruno la odiava e non gliene importava niente di farle del male. Anzi, voleva farle del male. Voleva che soffrisse per quello che gli aveva fatto passare e soprat­tutto per averlo messo al mondo.

  D'altro canto, provava anche vergogna a toccare i seni di sua madre, a penetrarla con il suo pene. Quindi, toccan­dola goffamente, cercò di spiegare e giustificare le sue azioni. "Sei stata tu a dire che, nel caso mi fosse venuta vo­glia di fare l'amore, qualsiasi donna si sarebbe accorta che non ero umano. Sei stata tu a dire che chiunque si sarebbe accorto della differenza. Che qualsiasi donna avrebbe chia­mato la polizia, che mi avrebbe fatto arrestare e spedito a bruciare sul rogo, a causa del padre che mi ritrovo. Ma tu sai già tutto. Per te non ci saranno sorprese, Madre. Per questo posso usare il cazzo con te. Posso ficcartelo dentro tutto e nessuno potrà bruciarmi vivo."

  Non gli era mai venuto in mente di infilarglielo dentro quando era ancora in vita. L'aveva sempre intimidito. Ma quando l'aveva vista tornare dalla tomba nel suo nuovo corpo, Bruno si era sentito liberato, pieno di coraggio e di idee nuove. Si era reso subito conto che sarebbe stato ne­cessario ammazzarla per evitare che lo sopraffacesse una se­conda volta o che lo trascinasse con sé nella bara. Ma sa­peva anche di poterla scopare senza correre alcun rischio, perché lei ormai conosceva il suo segreto. Del resto era stata lei a raccontargli la verità sul suo conto. Lei sapeva che suo padre era stato un demonio, una cosa immonda e ripugnante, perché era stata violentata e fecondata da quella creatura inumana contro la sua volontà. Durante la gravidanza aveva indossato solo guaine sovrapposte per na­scondere il suo stato e quando era arrivato il momento di partorire, se n'era andata a San Francisco per farsi assistere da una levatrice discreta e silenziosa. Poi aveva raccontato a tutti che Bruno era il figlio illegittimo di una vecchia compagna del college. La madre era morta subito dopo aver dato alla luce il figlio e come ultimo desiderio aveva chiesto che fosse Katherine a occuparsi dell'orfanello. Aveva così portato a casa il bambino, fingendo di averne ottenuto legalmente la custodia. Aveva vissuto nel terrore costante che qualcuno potesse scoprire che Bruno era effet­tivamente figlio suo e che suo padre non era umano. Il pene era una delle caratteristiche che lo bollavano come fi­glio del demonio. Aveva un pene diabolico, diverso da quello degli altri uomini. Avrebbe dovuto nasconderlo per sempre, altrimenti l'avrebbero scoperto e bruciato sul rogo. Katherine gli aveva raccontato tutto fin dall'inizio, fin dai tempi in cui era ancora troppo giovane per capire il signifi­cato del pene. Quindi, in un certo senso, lei era diventata la sua benedizione e, allo stesso tempo, la sua maledizione. Una maledizione perché continuava a resuscitare per ri­prenderlo sotto il suo controllo o ammazzarlo. Ma era an­che una benedizione perché, se lei avesse smesso di tornare in vita, lui non avrebbe più avuto nessuno in cui schizzare le gigantesche e bollenti quantità di seme e sarebbe stato condannato alla castità. Ecco perché, mentre una parte di lui assisteva alle sue resurrezioni con orrore e indignazione, l'altra parte non vedeva l'ora di incontrarla nel nuovo corpo che sarebbe andata a occupare.

  Si inginocchiò sul letto, accanto a lei, e osservò i seni e il cespuglio del pube che traspariva dalle mutandine giallo­gnole; l'erezione diventò talmente forte da provocare do­lore. Consapevole della parte diabolica che si stava risve­gliando, sentì la bestia che stava per affiorare tra i meandri della sua mente.

  Si aggrappò ai collant di Sally (di Katherine) e glieli tirò con violenza lungo le gambe affusolate. Poi le afferrò le co­sce e gliele spalancò, muovendosi grossolanamente sul ma­terasso per prendere posizione in mezzo alle sue gambe.

  Sally si scrollò una seconda volta dallo stato di trance. Iniziò a scalciare e cercò di rialzarsi, ma ormai non aveva più forza. Accorgendosi dell'inutilità dei suoi gesti disperati, aprì le mani e lo colpì sul volto, rigandogli le guance con le unghie e mirando anche agli occhi.

  Bruno arretrò di scatto e alzò un braccio per proteggersi, mentre lei gli feriva il dorso della mano. Poi si lasciò ca­dere sul suo corpo, schiantandola con tutto il suo peso. Le appoggiò un braccio contro la gola e premette con forza, soffocandola.

  Joshua Rhinehart lavò i tre bicchieri da whisky nel lavan­dino del bar. Rivolgendosi a Tony e Hilary disse: "Voi due avete da perdere più di me in questa faccenda, quindi per­ché non mi accompagnate domani da Rita Yancy a Hollister?"

  "Speravo tanto che ce lo chiedesse," esclamò Hilary.

  "Qui ormai non possiamo fare molto," aggiunse Tony.

  Joshua si asciugò le mani nello strofinaccio. "Bene, al­lora siamo intesi. Avete già trovato una sistemazione in al­bergo per trascorrere la notte?"

  "Non ancora," rispose Tony.

  "Allora sarete i benvenuti in casa mia," li invitò Joshua.

  Hilary sorrise gentilmente. "E molto carino da parte sua, ma non vogliamo imporre la nostra presenza."

  "Non imponete un bel niente."

  "Ma lei non ci stava aspettando e poi..."

  "Ragazza mia," la interruppe con impazienza Joshua, "sa da quanto tempo non ho ospiti in casa? Più di tre anni. E sa perché non ho avuto ospiti per più di tre
anni? Perché non ho invitato nessuno, ecco perché. Non sono un tipo molto socievole. Non distribuisco con facilità i miei inviti. Se pensassi che voi due foste un peso o, peggio ancora, una noia, non vi avrei mai invitato. E adesso non sprechiamo altro tempo in convenevoli. Voi avete bisogno di una stanza. Io ne ho una. Avete intenzione di restare qui da me o no?"

  Tony scoppiò a ridere e Hilary, sempre sorridendo, ri­spose: "Grazie per l'invito. Saremo felici di fermarci."

  "Bene," commentò Joshua.

  "Mi piace il suo modo di fare," gli disse.

  "Molti pensano che io sia scontroso."

  "Uno scontroso carino."

  Anche Joshua riuscì ad abbozzare un sorriso. "Grazie. Farò scolpire questa frase sulla mia tomba: 'Qui giace Jo­shua Rhinehart, uno scontroso carino.'"

  Stavano per uscire dall'ufficio quando il telefono prese a squillare e Joshua dovette tornare alla sua scrivania. Era il dottor Nicholas Rudge che chiamava da San Francisco.

  Bruno era ancora sdraiato sulla donna e la stava confic­cando nel materasso, premendole il braccio contro la gola.

  Lei annaspava, alla ricerca di un po' d'aria. Aveva il viso arrossato, incupito, contorto dal dolore.

  Lo stava eccitando.

  "Non lottare contro di me, Madre. Non reagire in que­sto modo. Lo sai che è tutto inutile. Lo sai che vinco sem­pre io, in fondo."

  Lei si dimenava sotto il suo peso e la sua forza. Tentò di arcuare la schiena e rotolare su un fianco, ma invano. A quel punto il suo corpo venne scosso da spasmi muscolari involontari, mentre cercava di reagire alla mancanza di os­sigeno e di sangue al cervello. Infine si rese conto che non sarebbe mai riuscita a liberarsi di lui, che non aveva più via di scampo, e si arrese alla sconfitta.

  Ormai convinto che la donna avesse abbandonato ogni resistenza sia spirituale sia fisica, Frye sollevò il braccio dalla sua gola. Si rimise in ginocchio, liberandola dal suo peso.

  Lei si portò le mani al collo. Annaspava e tossiva freneti­camente.

 

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