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Sussurri

Page 44

by Dean Koontz


  Era solo.

  Per sempre.

  Rimase di fronte allo specchio a piangere con le spalle piegate dal peso della disperazione più nera. Poi, lenta­mente, il dolore e l'autocommiserazione lasciarono il posto alla collera. Era stata lei a fargli questo. Katherine. La put­tana. Era stata lei ad ammazzare la sua metà, a lasciarlo in­completo e insopportabilmente vuoto. Quella troia egoista, odiosa e maligna! Mentre la collera prendeva il soprav­vento, provò il bisogno di spaccare qualcosa. Nudo, si ac­canì sull'interno della casa, sul salotto, sulla cucina, sul ba­gno, rompendo i mobili, strappando la tappezzeria, frantu­mando i piatti, maledicendo la madre, il padre demone e il mondo che a volte proprio non riusciva a capire.

  Nella cucina di Joshua Rhinehart, Hilary aveva pelato tre patate che ora erano pronte per essere infilate nel forno a microonde appena le bistecche sulla griglia fossero state cotte. L'attività manuale era rilassante. Si limitava a osser­vare le mani che lavoravano, pensava solo a quello che stava cucinando e ogni preoccupazione sembrava rinchiusa nei recessi della mente.

  Tony stava preparando l'insalata. Era accanto a lei, da­vanti al lavandino, e lavava e tagliava la verdura. Nel frat­tempo, Joshua chiamò lo sceriffo dal telefono della cucina.

  Riferì a Laurenski del prelevamento di denaro dal conto di Frye a San Francisco e gli raccontò del sosia che si aggirava per Los Angeles alla ricerca di Hilary. Non tralasciò di esporgli la teoria della serie di omicidi alla quale lui, Tony e Hilary erano arrivati durante il loro precedente colloquio in ufficio. Laurenski, comunque, non avrebbe potuto fare molto poiché, almeno per quanto ne sapevano, non era stato commesso alcun delitto nella sua giurisdizione. Ma Frye era quasi sicuramente colpevole di molti reati nella zona di cui non erano ancora a conoscenza. Ed era anche molto probabile che sarebbero stati compiuti altri omicidi nella contea prima che fosse risolto il mistero del sosia. Per questi motivi e anche in considerazione del fatto che la re­putazione di Laurenski era stata leggermente macchiata dopo mercoledì notte, quando aveva garantito per Frye presso la polizia di Los Angeles, Joshua pensò, e Hilary con lui, che lo sceriffo dovesse essere messo al corrente di tutto ciò che avevano scoperto. Sebbene Hilary non sen­tisse le parole di Peter Laurenski, avvertì che l'uomo era interessato; dalle risposte di Joshua emerse inoltre che lo sceriffo aveva proposto di riesumare il corpo di Bruno Frye per accertarsi dell'identità del cadavere. Joshua preferiva comunque parlare prima con il dottor Rudge e Rita Yancy e assicurò a Laurenski che avrebbe fatto riesumare il corpo se Rudge o la Yancy non fossero stati in grado di rispon­dere alle sue domande.

  Terminata la conversazione telefonica, Joshua controllò l'insalata di Tony, chiedendosi se la lattuga fosse sufficien­temente croccante e preoccupato che i ravanelli fossero troppo piccanti o troppo dolci; esaminò poi le bistecche come se stesse cercando piccole imperfezioni in tre dia­manti e chiese a Hilary di mettere le patate nel forno a mi­croonde; tagliò alcune cipolline da servire con la panna acida e stappò due bottiglie di Cabernet Souvignon califor­niano, un vino rosso molto secco proveniente dalla cantina di Robert Mondavi. La pignoleria e le preoccupazioni di Joshua per la cena misero di buonumore Hilary.

  Era sorpresa da come l'avvocato le fosse piaciuto fin dal primo momento. Raramente si sentiva tanto a suo agio con una persona che conosceva solo da poche ore. Ma l'aspetto paterno, la burbera onestà, l'arguzia, l'intelligenza e la na­turale galanteria di quell'uomo l'avevano conquistata e la facevano sentire al sicuro.

  Mangiarono in sala da pranzo, un locale confortevole ar­redato con mobili rustici; tre pareti erano intonacate di bianco mentre la quarta era con i mattoni a vista; il pavi­mento era in parquet e sul soffitto si scorgevano le travi. Ogni tanto qualche goccia di pioggia picchiettava contro le finestre.

  Appena si sedettero a tavola Joshua propose: "Facciamo un patto: nessuno dovrà nominare Bruno Frye fino a quando non avremo fatto sparire l'ultimo boccone di bi­stecca, non avremo finito questo ottimo vino, non avremo bevuto il caffè e sorseggiato l'ultima goccia di brandy."

  "D'accordo," concordò Hilary.

  "Va bene," replicò Tony. "Temo che il mio cervello si ri­fiuti già da un po' di tempo di discutere su questa faccenda. E poi al mondo ci sono tante altre cose interessanti."

  "Già," convenne Joshua. "Ma purtroppo molte di esse sono deprimenti quanto la storia di Frye. Guerre, terrori­smo, inflazione, il ritorno dei seguaci del luddismo, l'igno­ranza dei politici e..."

  "... arte, musica, cinema, le ultime scoperte mediche e la rivoluzione tecnologica che migliorerà la nostra vita nono­stante il luddismo," proseguì Hilary.

  Joshua le lanciò uno sguardo impertinente. "Ma lei si chiama Hilary o Pollyanna?"

  "E lei Joshua o Cassandra?"

  "La profezia di morte e distruzione di Cassandra era esatta," replicò Joshua, "ma con il passare del tempo nes­suno le credette più."

  "Se nessuno le crede," commentò Hilary, "a che cosa serve avere ragione?"

  "Oh, non cerco più di convincere gli altri che l'unico no­stro nemico è il governo e che il Grande Fratello ci fre­gherà tutti. Sono convinto di molte verità che però sembrano essere ovvie solo per me. Al mondo ci sono troppi stupidi che non capiranno mai niente. Ma sapere di avere ragione e vederlo confermato sui giornali mi dà una grande soddisfazione. Io so. E questo mi basta."

  "Ah," esclamò Hilary, "in altre parole, a lei non importa se il mondo va a rotoli perché così può provare l'egoistico piacere di affermare: 'Ve l'avevo detto.'"

  "Oh," bofonchiò Joshua.

  Tony scoppiò a ridere. "Attento, Joshua. Non dimenti­chi che Hilary si guadagna da vivere utilizzando sapiente­mente le parole."

  Per tre quarti d'ora chiacchierarono del più e del meno, poi, nonostante la promessa, ricominciarono a parlare di Bruno Frye, prima ancora di finire il vino e senza nem­meno arrivare al caffè e al brandy.

  A un certo punto Hilary domandò: "Che cosa può aver­gli fatto Katherine, perché lui la tema e la odi così profon­damente?"

  "E esattamente quello che ho chiesto a Latham Hawthorne," rispose Joshua.

  "E lui che cos'ha detto?"

  "Non ne ha idea," spiegò Joshua. "Non riesco ancora a credere che potesse esistere un odio tanto viscerale fra di loro e che non me ne sia mai accorto in tutti questi anni. Katherine sembrava stravedere per lui. E Bruno sembrava adorarla. Naturalmente, in città erano tutti convinti che lei fosse una santa per averlo preso in casa, ma adesso comin­cio a pensare che non fosse poi tanto angelica."

  "Aspetti un attimo," lo interruppe Tony. "L'ha preso in casa? Che cosa significa?"

  "Esattamente quello che ho detto. Avrebbe potuto la­sciare il bambino in un orfanotrofio, ma non l'ha fatto. Gli ha offerto il suo cuore e la sua casa."

  "Ma noi pensavamo fosse suo figlio," intervenne Hilary.

  "Adottivo," spiegò Joshua.

  "I giornali non hanno riportato questa notizia," disse Tony.

  "Risale a molto tempo fa," riprese Joshua. "Bruno ha sempre portato il cognome dei Frye, a eccezione dei primi mesi di vita. A volte mi sembrava che fosse un Frye più di quanto avrebbe potuto esserlo un figlio naturale di Kathe­rine, se lei ne avesse avuto uno. Avevano gli occhi dello stesso colore e lo stesso carattere freddo e introverso che pare fosse una caratteristica anche di Leo."

  "Se è stato adottato," affermò Hilary, "esiste la possibi­lità che abbia veramente un fratello."

  "No," rispose Joshua. "Era figlio unico."

  "Come fa a esserne così sicuro? Forse aveva persino un gemello!" esclamò Hilary in tono concitato.

  Joshua aggrottò la fronte. "Pensa che Katherine abbia adottato un solo gemello senza saperlo?"

  "Una cosa del genere spiegherebbe l'improvvisa com­parsa di un sosia," replicò Tony.

  "Ma dove si sarebbe nascosto questo misterioso fratello gemello per tutti questi anni?" domandò Joshua.

  "Probabilmente è stato adottato da un'altra famiglia," azzardò Hilary, eccitata da quella teoria. "In un'altra città, in un'altra parte dello stato."

&
nbsp; "O forse persino in un'altra parte del paese," continuò Tony.

  "State cercando di dirmi che alla fine Bruno e il suo ipo­tetico fratello si sono ritrovati?"

  "Potrebbe essere," affermò Hilary.

  Joshua scosse la testa. "Forse sì, ma non in questo caso. Bruno era figlio unico."

  "Ne è assolutamente sicuro?"

  "Non ci sono dubbi," spiegò Joshua. "Non ci sono se­greti sulla sua nascita."

  "Comunque quella dei gemelli... è una teoria interes­sante," esclamò Hilary.

  Joshua annuì. "Lo so. Sarebbe una soluzione logica e vorrei tanto trovarne velocemente una per risolvere tutta questa faccenda. Credetemi, non mi diverto a smontare le vostre teorie."

  "Forse non ci riuscirà," disse Hilary.

  "Io credo di sì."

  "Ci provi," lo sfidò Tony. "Ci dica chi era la vera madre di Bruno. Forse saremo noi a distruggere la sua teoria. Forse non è tutto così semplice e chiaro come pensa."

  Finalmente, dopo aver rotto, strappato e distrutto quasi tutto quello che c'era in casa, Bruno riacquistò il controllo di sé; la sua ferocia bestiale si trasformò in una rabbia meno distruttiva e più umana. Mentre l'ira sbolliva, rimase fermo in mezzo al caos che lui stesso aveva provocato, ansi­mando, con il sudore che gli colava dalla fronte e luccicava sul corpo nudo. Poi andò verso la camera da letto e si vestì.

  Una volta pronto, rimase ai piedi del letto insanguinato e osservò il corpo orribilmente maciullato della ragazza che aveva conosciuto solo come Sally. Soltanto allora si rese conto che non era Katherine. Non si trattava di un'altra in­carnazione della madre. La vecchia troia non era passata dal corpo di Hilary Thomas a quello di Sally; non avrebbe potuto farlo fino a quando Hilary non fosse morta. Non capì come mai avesse potuto confondersi in quel modo.

  Comunque, non provava rimorso per quello che aveva fatto a Sally. Anche se non era Katherine, era una delle serve della madre, una donna mandata dal diavolo al servi­zio di Katherine. Sally era il nemico, faceva parte del com­plotto che mirava a ucciderlo. Ne era sicuro. Forse era persino una morta vivente. Sì. Certo. Ne era assolutamente convinto. Sì. Sally era proprio come Katherine, una morta impossessatasi di un nuovo corpo, uno di quei mostri che si rifiutano di rimanere al loro posto nella tomba. Era una di loro. Rabbrividì. Era sicuro che quella donna avesse sem­pre saputo dove si nascondeva Hilary-Katherine. Ma aveva mantenuto il segreto e si era meritata la morte per la sua incorruttibile fedeltà a Katherine.

  Oltretutto, non l'aveva uccisa veramente perché sarebbe tornata in vita in qualche altro corpo, scacciando l'entità che già lo occupava.

  Adesso doveva dimenticare Sally e trovare Hilary-Kathe­rine. Lei era ancora là fuori e lo stava aspettando.

  Doveva scoprire il suo nascondiglio e ucciderla prima di essere ammazzato.

  Sally gli aveva perlomeno fornito una traccia. Un nome. Quel Topelis. L'agente di Hilary Thomas. Probabilmente Topelis sapeva dove si era nascosta.

  Sparecchiarono la tavola e Joshua versò dell'altro vino per tutti, prima di raccontare la storia di Bruno, da orfano a unico erede della proprietà dei Frye. In tutti quegli anni era venuto a conoscenza dei fatti un po' alla volta, dalla viva voce di Katherine e dalle altre persone che vivevano a St. Helena ancora prima che lui si trasferisse nella vallata per esercitare la sua professione.

  Nel 1940, l'anno in cui era nato Bruno, Katherine aveva ventisei anni e viveva ancora con il padre, Leo, nella casa che sovrastava i vigneti, in cima alla collina; si erano stabi­liti lì nel 1918, un anno dopo la morte della madre di Ka­therine. Katherine era stata lontana da casa solo per pochi mesi, per frequentare un college a San Francisco; aveva ab­bandonato la scuola perché non voleva lasciare St. Helena solo per acquisire delle nozioni che non le sarebbero mai servite a niente. Adorava la valle e la vecchia casa vitto­riana sulla collina. Katherine era stata una donna affascinante e avrebbe potuto avere una schiera di pretendenti, ma sembrava che l'amore non le interessasse. Nonostante fosse ancora giovane, il suo carattere introverso e la sua freddezza nei confronti degli uomini convinsero molte per­sone che sarebbe diventata una vecchia zitella e che, oltre­tutto, ne sarebbe stata assolutamente felice.

  Poi, nel gennaio del 1940, Katherine aveva ricevuto una telefonata da Mary Gunther, un'amica conosciuta anni prima al college. Mary aveva bisogno di aiuto: un uomo l'a­veva messa nei guai. Le aveva promesso di sposarla, l'aveva ingannata con una scusa dietro l'altra e poi se l'era filata quando Mary era incinta di sei mesi. La ragazza era di­strutta, non aveva una famiglia alla quale chiedere aiuto e nessun amico a parte Katherine. L'aveva pregata quindi di recarsi a San Francisco appena fosse nato il bambino per­ché non voleva essere sola in un momento simile. Inoltre aveva chiesto all'amica di occuparsi del piccolo fino a quando lei non avesse trovato un lavoro e non fosse riu­scita a costruire un nido per accogliere il bambino. Kathe­rine aveva acconsentito ad aiutarla e aveva cominciato a in­formare gli abitanti di St. Helena che per un certo periodo avrebbe fatto la mamma. Sembrava davvero felice ed entu­siasta. I suoi vicini pensavano che sarebbe stata una madre meravigliosa per i suoi figli, se solo avesse trovato un uomo da sposare.

  Sei settimane dopo la telefonata di Mary Gunther e sei settimane prima che Katherine si recasse a San Francisco per assistere l'amica, Leo era stato colpito da un'emorragia cerebrale ed era caduto stecchito fra le grandi botti in una delle sue cantine. Sebbene Katherine fosse sconvolta e di­strutta dal dolore e nonostante avesse dovuto cominciare a lavorare sodo per portare avanti l'azienda paterna, aveva mantenuto la promessa fatta a Mary Gunther. In aprile, l'a­mica l'aveva informata che il bambino era nato e Katherine si era precipitata a San Francisco. Dopo due settimane era tornata con una creaturina: Bruno Gunther, il figlio di Mary.

  Katherine era convinta di tenere Bruno per un anno, dopo di che Mary sarebbe stata in grado di. riprendersi il piccolo. Ma dopo sei mesi, erano giunte voci che Mary era di nuovo nei guai, ma questa volta molto più seri: era af­fetta da una forma di tumore maligno. Stava morendo. Le rimanevano ancora poche settimane, al massimo un mese di vita. Katherine aveva portato il bambino a San Francisco in modo che la madre potesse trascorrere i suoi ultimi istanti con il figlio. Prima di morire, Mary aveva sbrigato tutte le pratiche legali necessarie per affidare la custodia definitiva del bambino a Katherine. I genitori di Mary erano morti e non aveva altri parenti stretti con i quali Bruno potesse vivere. Se Katherine non l'avesse tenuto con sé, sarebbe finito in un orfanotrofio o con dei genitori adottivi che forse non gli avrebbero voluto bene. Mary era morta, Katherine si era occupata del funerale ed era tor­nata a St. Helena con Bruno.

  Aveva allevato il bambino come se fosse stato suo, com­portandosi non solo come tutrice ma anche come madre apprensiva e affettuosa. Avrebbe potuto assumere bambi­naie e domestiche, ma non l'aveva fatto perché non voleva che altri si prendessero cura di Bruno. Leo non aveva mai assunto domestici e Katherine aveva lo stesso spirito di in­dipendenza del padre. Stava bene da sola e quando Bruno aveva compiuto quattro anni era tornata a San Francisco dal giudice che si era occupato dell'affidamento e aveva adottato ufficialmente il bambino, dandogli il nome della famiglia.

  Sperando che la storia di Joshua potesse fornire loro nuovi dettagli e pronti a percepire ogni eventuale incon­gruenza o assurdità, Hilary e Tony si erano allungati sul ta­volo, con le orecchie tese. Alla fine del racconto si erano appoggiati alle sedie sorseggiando un bicchiere di vino.

  Joshua proseguì: "Ci sono ancora persone a St. Helena che ricordano Katherine Frye come una santa che ha adot­tato un orfanello dandogli amore e ricchezza."

  "Allora non c'era un gemello," commentò Tony.

  "Assolutamente no," replicò Joshua.

  Hilary sospirò. "Il che significa che siamo al punto di partenza."

  "Ci sono un paio di cose in questa storia che non mi con­vincono," affermò Tony.

  Joshua sollevò le sopracciglia. "E cioè?"

  "Be', persino oggi, nonostante le nostre tendenze più li­berali, è incredibilmente difficile per una donna sola adot�
�tare un bambino," spiegò Tony. "Nel 1940, doveva essere praticamente impossibile."

  "Penso di poter spiegare ogni cosa," disse Joshua. "Se la memoria non mi inganna, ricordo che un giorno Katherine mi disse che lei e Mary avevano previsto la riluttanza del tribunale nell'ufficializzare l'affidamento. Così racconta­rono al giudice quella che secondo loro era una bugia a fin di bene. Gli spiegarono che Katherine era una cugina di Mary e l'unica parente ancora in vita. A quel tempo, se un parente stretto accettava di prendersi cura del bambino, il tribunale concedeva l'autorizzazione quasi automatica­mente."

  "E il giudice non si preoccupò di controllare se quanto affermavano corrispondeva alla verità?" domandò Tony.

  "Non bisogna dimenticare che nel 1940 i giudici non vo­levano venire coinvolti in questioni familiari, come invece accade oggi. Era l'epoca in cui gli americani non davano grande importanza al ruolo del governo. Direi che in ge­nere si era più equilibrati."

  Hilary si rivolse a Tony. "Hai detto che c'erano un paio di cose che non ti convincevano. Qual è l'altra?"

  Tony si passò stancamente una mano sul viso. "Non è fa­cile spiegarlo. E solo una sensazione. Ma la storia suona... troppo perfetta."

  "Vuol dire che le sembra inventata?" domandò Joshua.

  "Non lo so," continuò Tony. "Non so neanch'io che cosa voglio dire. Ma quando fai il poliziotto per tanti anni, svi­luppi un sesto senso per queste cose."

  "E c'è qualcosa che non va?" chiese Hilary.

  "Penso di sì."

  "Che cosa?" incalzò Joshua.

  "Niente di particolare, è solo che la storia è troppo per­fetta, troppo semplice." Tony bevve l'ultimo sorso di vino e aggiunse: "Bruno non potrebbe essere davvero figlio di Katherine?"

  Joshua lo guardò ammutolito. Quando riuscì ad aprire bocca, esclamò: "Sta parlando seriamente?"

  "Sì."

  "Mi sta chiedendo se è possibile che quella donna si sia inventata tutta la storia di Mary Gunther e sia andata a San Francisco semplicemente per dare alla luce un figlio illegit­timo?"

 

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