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Nessun Dove

Page 6

by Neil Gaiman


  «Garry. Che succede? È uno scherzo o cosa?»

  Garry si guardò intorno, come se avesse sentito un rumore. Quindi scosse il capo, sollevò il ricevitore del telefono e iniziò a comporre un numero.

  Richard sbatté la mano sul telefono, interrompendo la comuni­cazione. «Guarda che non è divertente, Garry. Non so a che gioco stiate giocando, tutti voi!» Garry alzò lo sguardo su di lui. Richard continuò, «Se sono stato licenziato, basta che me lo diciate, ma questo far finta che io non sia qui...»

  A quel punto Garry sorrise e disse, «Salve. Si, sono Garry Perunu. Posso esserle di aiuto?»

  «Non penso proprio» rispose Richard con freddezza, e se ne andò dall'ufficio, lasciando la valigetta dietro di sé.

  L'ufficio di Richard si trovava al terzo piano di un grande edi­fìcio piuttosto vecchio e pieno di correnti d'aria, a pochi passi dal­lo Strand.

  Jessica lavorava circa a metà altezza di una grande struttura di specchi e cristallo nella City di Londra, quindici minuti a piedi in fondo alla strada.

  Richard camminò fino in fondo alla strada.

  Arrivò al palazzo Stockton in dieci minuti, superò di slancio le guardie di sicurezza in uniforme di servizio al piano terra, entrò in ascensore e sali.

  L'interno dell'ascensore era pieno di specchi, e mentre saliva osservò la propria immagine riflessa. Aveva la cravatta mezza slac­ciata e di sghimbescio, il soprabito strappato e i pantaloni bucati, e i capelli erano un informe ammasso sudaticcio... Signore, aveva un aspetto tremendo.

  Si udì un suono flautato e la porta dell'ascensore si apri.

  Il piano del palazzo Stockton dove lavorava Jessica era decisa­mente opulento, in una sorta di stile minimalista.

  Accanto all'ascensore c'era una receptionist, una creatura po­sata ed elegante il cui stipendio netto aveva tutta l'aria di superare alla grande quello di Richard. Stava leggendo Cosmopolitan. All'avvicinarsi di Richard non sollevò neppure lo sguardo.

  «Ho bisogno di parlare con Jessica Bartram» disse Richard. «È importante. Le devo parlare.»

  La receptionist lo ignorò.

  Segui il corridoio fino a raggiungere l'ufficio di Jessica. Apri la porta ed entrò. Era in piedi davanti a tre grandi manifesti, che pubblicizzavano «Angeli sull'Inghilterra - Una mostra itinerante» e recavano ognuno una diversa immagine di angeli. Mentre lui entrava si voltò e gli sorrise con calore.

  «Jessica. Grazie a Dio! Senti, credo di stare impazzendo o qual­cosa di simile. È iniziato tutto stamattina quando non riuscivo a prendere il taxi, poi l'ufficio e la metropolitana e...» Le mostrò la manica strappata. «È come se fossi diventato una specie di non­persona.»

  Lei gli sorrise di nuovo, con aria rassicurante.

  «Senti» disse Richard. «Mi dispiace per l'altra sera. Cioè, non per quello che ho fatto ma per averti causato dei fastidi e... guarda, mi dispiace tanto, è roba da matti e onestamente non so proprio cosa fare.»

  E Jessica annui, continuando a sorridere, poi disse, «Lei penserà che sono una persona orribile, ma ho davvero una pessima me­moria per le facce. Mi dia un secondo e ci arrivo.»

  A quel punto Richard ebbe la conferma che era tutto vero. Che qualunque pazzia si stesse verificando quel giorno stava accaden­do sul serio.

  «Non importa» disse. «Lascia perdere.»

  E se ne andò, fuori dalla porta e lungo il corridoio. Era quasi arrivato all'ascensore quando si senti chiamare.

  «Richard!»

  Si voltò. Ma allora era uno scherzo. Una specie di meschina vendetta. Qualcosa di spiegabile.

  «Richard... Maybury?» Pareva orgogliosa di sé per essersi ri­cordata tanto.

  «Mayhew» disse Richard, e si infilò in ascensore, le cui porte cantarono un triste trillo di flauto mentre si chiudevano dietro di lui.

  Richard ritornò a casa a piedi, sconvolto, confuso e arrabbiato. Qualche volta aveva provato a fare cenno a un taxi, ma senza la concreta speranza che si fermasse e, infatti, nessuno lo fece.

  Gli facevano male i piedi e gli bruciavano gli occhi, e sapeva che presto si sarebbe risvegliato da quell'oggi e che un lunedì come si deve, un lunedì sensato, un rispettabile, onesto lunedì qua­lunque sarebbe finalmente cominciato.

  Riempi la vasca di acqua calda, abbandonò i vestiti sul letto e entrò nel bagno.

  Si era quasi assopito quando udi una chiave girare nella toppa, una porta aprirsi e richiudersi, e una armoniosa voce maschile che diceva:

  «Naturalmente siete i primi a vederlo oggi, ma ho una lista di persone interessate lunga come il mio braccio.»

  «Non è grande come mi aspettavo dalla descrizione» disse una donna.

  «Si, è compatto. Ma mi piace pensare che sia un pregio.»

  Richard non si era preoccupato di chiudere a chiave la porta del bagno. Dopo tutto era l'unico abitante dell'appartamento.

  Un'altra voce maschile più roca e sgarbata borbottò, «Credevo avesse detto che l'appartamento era vuoto. A me questo pare piut­tosto ammobiliato.»

  «L'affittuario precedente deve avere lasciato qui parte del suo equipaggiamento. Non ero a conoscenza della cosa.»

  Richard si alzò in piedi nella vasca. Poi, dato che era nudo e quelle persone potevano entrare in qualunque momento, si rimise a sedere. Quindi, quasi in preda alla disperazione, si guardò intor­no alla ricerca di un asciugamano.

  «Oh, guarda, George» disse la donna nel corridoio. «Qualcuno ha lasciato un asciugamano su questa sedia.»

  Richard prese in considerazione, e respinse, come modesti so­stituti di un asciugamano una spugna loofah, una bottiglia di shampo mezza vuota e una paperella di plastica gialla.

  «Com'è il bagno?» chiese la donna.

  Richard afferrò la pezzuola per lavarsi il viso e se la drappeg­giò davanti all'inguine. Quindi si alzò, la schiena appoggiata con­tro il muro, preparandosi a sentirsi ignominosamente imbarazzato.

  La porta venne spalancata, e i tre entrarono nel bagno: un gio­vane con cappotto di pelo di cammello e una coppia di mezza età. Richard si chiese se fossero imbarazzati quanto lui.

  «È un po' piccolo» disse la donna.

  «Compatto» corresse il cappotto di pelo di cammello, con tono suadente. «Comodo da tenere in ordine.»

  La donna passò il dito lungo il bordo del lavandino e arricciò il naso.

  «Credo che abbiamo visto quello che c'era da vedere» disse l'uomo di mezza età.

  Uscirono dal bagno.

  «Sarebbe molto pratico per tutto» disse la donna. La conversa­zione prosegui a voce più bassa.

  Richard scavalcò il bordo della vasca e avanzò lentamente fino alla porta. Individuò l'asciugamano sulla sedia in corridoio, allun­gò un braccio e lo afferrò.

  «Lo prendiamo» disse la donna.

  «Lo prendete?» disse il cappotto di pelo di cammello.

  «È proprio quello che vogliamo» spiegò lei. «O lo sarà, dopo che lo avremo fatto diventare accogliente. Sarà pronto per mercoledi?»

  «Naturalmente. Faremo portare via tutta questa robaccia doma­ni, nessun problema.»

  Dalla soglia del bagno, Richard, infreddolito, sgocciolante e avvolto nell'asciugamano, lanciò uno sguardo furioso.

  «Non è robaccia» disse. «Sono le mie cose.»

  «Allora passeremo a prendere le chiavi nel vostro ufficio.»

  «Scusatemi» disse Richard. «Qui ci abito io.»

  Mentre si dirigevano verso la porta d'ingresso, superarono Ri­chard con uno spintone.

  «Non mi... nessuno di voi mi sente? Questo è il mio apparta­mento. Io vivo qui.»

  «Se mi può spedire il contratto via fax in ufficio per i detta­gli...» disse l'uomo scortese, poi la porta si chiuse con forza dietro di loro, e Richard si ritrovò nel corridoio di quello che era il suo appartamento a tremare, nel silenzio, per il freddo.

  «Questo» annunciò al mondo, in aperto contrasto con le prove fornite dai suoi sensi, «non sta accadendo.»

  Il Bat-telefono squillò e i fari lampeggiarono. Richard sollevò il ricevitore con circospezione.

 
«Pronto?»

  La linea era disturbata, piena di sibili e di crepitii come se la chiamata provenisse da molto, molto lontano. La voce all'altro capo del filo non aveva un tono familiare.

  «Signor Mayhew?» disse. «Il signor Richard Mayhew?»

  «Si» rispose. E poi, felicissimo, «Riesce a sentirmi! Oh, grazie al cielo. Chi parla?»

  «Il mio socio e io ci siamo incontrati con lei sabato, signor Mayhew. Stavo chiedendo informazioni riguardo al luogo dove si trovava una certa giovane signora. Si ricorda?» L'inflessione era untuosa, sgradevole, volpina.

  «Oh. Si. È lei.»

  «Signor Mayhew. Ci ha detto che Porta non era con lei. Abbia­mo ragione di credere che stesse imbellettando la verità probabil­mente più del dovuto.»

  «Be', lei ha detto di essere suo fratello.»

  «Tutti gli uomini sono fratelli, signor Mayhew.»

  «Non è più qui. E non so dove sia.»

  «Lo sappiamo, signor Mayhew. Siamo perfettamente a cono­scenza di entrambi questi fatti. E per essere eminentemente since­ro, signor Mayhew - e sono certo che lei desidera che io sia sincero, giusto? - se fossi in lei non mi preoccuperei più della giovane signora. I suoi giorni sono contati, e il numero in questione non è neppure in doppia cifra.»

  «Senta, perché mi ha chiamato?»

  «Signor Mayhew,» disse mister Croup con aria servizievole «sa che sapore ha il suo stesso fegato?»

  Richard non rispose.

  «Perché mister Vandemar mi ha promesso che glielo strapperà lui personalmente e glielo infilerà in bocca prima di tagliarle la sua piccola gola triste. Cosi potrà scoprirlo, non le pare?»

  «Chiamo la polizia. Non potete minacciarmi a questo modo.»

  «Signor Mayhew. Lei può chiamare chi crede. Ma odio l'idea che possa pensare che la stiamo minacciando. Né io né mister Van­demar facciamo minacce, non è vero mister Vandemar?»

  «No? E allora cosa diavolo state facendo?»

  «Stiamo facendo una promessa» disse mister Croup in mezzo alle scariche elettrostatiche, all'eco e ai sibili. «E sappiamo dove abita.»

  Detto questo riagganciò.

  Richard teneva stretto in mano il Bat-telefono, lo guardò, poi premette violentemente il pulsante del numero nove per tre volte.

  «Servizio emergenze. Come posso aiutarla?»

  «Può passarmi la polizia, per favore? Un uomo ha appena mi­nacciato di uccidermi, e non credo stesse scherzando.»

  Segui una pausa. Sperò di essere stato messo in contatto con la polizia. Dopo qualche istante la voce disse, «Servizio emergenze. Pronto? C'è nessuno in linea? Pronto?»

  Allora Richard riappoggiò il Bat-telefono sul tavolino, andò in camera da letto e si vesti, perché aveva freddo, era nudo e spaven­tato, e proprio non aveva alternative.

  Tolse la borsa sportiva nera di sotto il letto e ci infilò dei calzi­ni. Mutande. Qualche maglietta. Il passaporto. Il portafogli.

  Indossava jeans, scarpe da ginnastica e un maglione pesante.

  Si ricordò del modo in cui la ragazza di nome Porta gli aveva detto addio. Il modo in cui aveva esitato. Il modo in cui aveva det­to che le dispiaceva...

  «Lo sapevi» disse all'appartamento vuoto. «Tu sapevi che sa­rebbe successo questo.»

  Andò in cucina, prese della frutta dalla ciotola e la mise nella borsa. Poi la chiuse con la cerniera e usci nella strada buia.

  Il bancomat gli prese la carta con un VITT.

  DIGITARE IL CODICE SEGRETO, disse.

  Richard digitò il suo numero di identificazione.

  Lo schermo diventò bianco. Poi disse, attendere prego.

  Schermo vuoto. Da qualche parte nelle profondità della mac­china qualcosa brontolava e borbottava.

  CARTA NON VALIDA. CONTATTARE LA PROPRIA BANCA.

  Si udi un clung e la carta usci di nuovo.

  «Può darmi qualcosa?» disse una flebile voce alle sue spalle.

  Richard allungò all'uomo la carta del bancomat.

  «Ecco» disse. «Tieni. Ci sono circa millecinquecento sterline sul conto, se riesci a fartele dare.»

  L'uomo, che era alto e magro, e aveva una disordinata barba biondastra e le mani nere per la vita di strada, prese la carta del bancomat, la guardò, la rigirò e disse, con voce piatta, «Grazie. Con questa e sessanta pence mi prendo una bella tazza di caffè.» E restituì la carta a Richard.

  Richard sollevò da terra la borsa, poi si voltò verso l'uomo e gli disse, «Aspetta un momento. Tu mi vedi.»

  «Non c'è niente che non va nei miei occhi» fece l'uomo.

  «Senti,» disse Richard «hai mai sentito parlare di un posto che si chiama 'Il Mercato Fluttuante'? Devo trovarlo. C'è una ragazza di nome Porta...»

  Ma l'uomo stava indietreggiando nervosamente, allontanando­si da lui.

  «Guarda, ho davvero bisogno di aiuto» disse Richard. «Per fa­vore!»

  L'uomo lo guardò fisso.

  Richard sospirò. «D'accordo» disse. «Scusa se ti ho disturbato.»

  Gli voltò le spalle e, afferrando la maniglia della borsa con en­trambe le mani per impedire che tremassero, cominciò a percorre­re High Street.

  «Ehi» sibilò l'uomo.

  Richard lo guardò. Gli stava facendo cenno di avvicinarsi.

  «Vieni, vieni qui, presto!»

  L'uomo si mise a scendere velocemente alcuni gradini a lato della strada - gradini disseminati di rifiuti, del tipo che portano ad appartamenti vuoti e trascurati in un seminterrato. Richard gli incespicò dietro. Ai piedi della scala c'era una porta. L'uomo spinse per aprirla, attese che anche Richard entrasse, e la richiuse dietro di sé.

  Oltre la porta, si trovarono immersi nell'oscurità.

  Uno scricchiolio e il rumore di un fiammifero che prende vita. L'uomo lo accostò allo stoppino di una vecchia lampada da ferro­viere, che si accese, illuminando leggermente meno di quanto aves­se fatto il fiammifero, poi si avviarono insieme in quel luogo tene­broso.

  C'era puzza di muffa, di umido e di mattoni vecchi, di marcio e di buio.

  «Dove siamo?» sussurrò Richard.

  La sua guida lo zitti.

  Giunsero a un'altra porta in un muro.

  L'uomo bussò ritmicamente. Ci fu un momento di pausa.

  La porta si spalancò.

  Per un attimo Richard rimase accecato dalla luce improvvisa. Si trovava in un'enorme stanza a vòlte, un salone sotterraneo, pie­no di fumo e di luce. Piccoli fuochi ardevano per tutta la stanza. Persone dalla forma indistinta stavano accanto alle fiamme, arro­stendo piccoli animali su degli spiedi. La gente si affrettava da un falò all'altro.

  Gli ricordava l'inferno. 0 meglio, il modo in cui si immagina­va l'inferno quando era ragazzino

  Il fumo gli raschiò la gola, e tossì.

  Un centinaio di occhi lo fissarono. Un centinaio di occhi im­perturbabili e poco amichevoli.

  Un uomo si diresse verso di loro a passi rapidi. Aveva i capelli lunghi e una barba irregolare, e a Richard parve che i suoi abiti laceri fossero decorati di pelliccia - di pelo arancione, bianco e nero, come il manto di un gatto. Era alto, ma camminava curvo, le mani sul petto.

  «Cosa? Cos'è? Cos'è questo?» chiese alla guida di Richard. «Chi ci hai portato, Iliaster? Parla-parla-parla.»

  «Viene da Sopra» rispose la guida. (Iliaster? pensò Richard).

  «Domandava di Lady Porta. E del Mercato Fluttuante. Gliel'ho portato, Lord Parla-coi-Ratti. Pensavo avreste saputo cosa farne.»

  Adesso intorno a loro c'era oltre una dozzina di persone deco­rate di pelliccia. C'erano uomini e donne, e anche qualche bambi­no. Si spostavano a ondate: momenti di immobilità seguiti da cor­se precipitose.

  Lord Parla-coi-Ratti mise la mano all'interno dei suoi stracci impellicciati e ne trasse una scheggia di vetro lunga circa venti centimetri e dall'aria pericolosa. Della pelliccia mal conservata era stata avvolta intorno alla metà inferiore della scheggia a formare una sorta di impugnatura improvvisata.

  La luce dei falò rifulse dalla lama di vetro.

  Lord Parla-coi-Ratti appogg
iò il frammento tagliente contro la gola di Richard.

  «Oh, si. Si-si-si» cinguettò. «So esattamente cosa farne.»

  QUATTRO

  Mister Croup e mister Vandemar avevano installato la propria abitazione nelle cantine di un ospedale vittoriano chiuso dieci anni prima per i tagli al bilancio del servizio sanitario nazionale.

  Gli imprenditori interessati allo sviluppo della zona, che ave­vano annunciato l'intenzione di trasformare la costruzione in un incomparabile caseggiato formato da alloggi di gran lusso, erano svaniti uno a uno non appena l'ospedale era stato chiuso, e cosi se ne stava là anno dopo anno, grigio, vuoto e indesiderato, con assi inchiodate alle finestre e lucchetti alle porte.

  Il tetto era in pessimo stato e la pioggia colava all'interno del­l'ospedale vuoto, propagando umidità e putridume in tutto l'edificio.

  La struttura era stata disposta intorno a un pozzo centrale che lasciava entrare una luce grigia e ostile.

  Il mondo dei seminterrati al di sotto dei reparti deserti compren­deva oltre un centinaio di stanzette, alcune vuote, altre contenenti attrezzature sanitarie abbandonate. In una stanza c'era una tozza e gigantesca caldaia di metallo. Nella successiva si trovavano servi­zi igienici e docce bloccati e privi di acqua. Il pavimento di questi seminterrati era in gran parte ricoperto da un sottile strato di acqua piovana mista a olio, che rifletteva oscurità e decadimento verso il soffitto marcio.

  Scendendo le scale dell'ospedale fino a dove era possibile arri­vare, attraversati i locali con le docce deserte, superate le toilettes del personale, oltrepassate le stanze piene di vetri rotti in cui il sof­fitto era completamente crollato, creando un'apertura verso la tromba delle scale che stava al di sopra, si giungeva a una piccola sca­letta di ferro. E scendendo anche quei gradini, superando la zona paludosa in fondo alla scala e attraversando una porta di legno mezza marcia, ci si ritrovava nello scantinato, una stanza enorme in cui per centoventi anni il materiale di scarto dell'ospedale era stato accumulato, abbandonato e dimenticato; ed era là che mister Croup e mister Vandemar avevano per il momento stabilito la pro­pria dimora.

  I muri erano umidi, e dal soffitto colava acqua. Negli angoli si stavano lentamente decomponendo le cose più strane, alcune delle quali un tempo erano state vive.

 

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