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Nessun Dove

Page 11

by Neil Gaiman


  In quel mentre ci fu un mormorio di apprezzamento, quando Varney fece qualcosa di piuttosto doloroso a Ruislip, qualcosa di rapido, che implicava l'improvviso contatto tra il ginocchio fode­rato in similpelle di Varney e i testicoli di Ruislip. Il mormorio era un'approvazione del tipo sobrio e profondamente poco entusiasta che di solito si riscontra solo nei sonnacchiosi pomeriggi domenicali, durante gli incontri di cricket tra paesi limitrofi.

  Il Marchese applaudì educatamente con il resto degli astanti. «Ottimo, signore» commentò.

  Varney guardò Porta e le fece l'occhiolino, quasi con aria di possesso, prima di rivolgere nuovamente l'attenzione su Ruislip.

  Porta rabbrividì.

  Richard udì gli applausi e andò in quella direzione.

  Venne superato da cinque giovani donne estremamente pallide e vestite in modo pressoché identico. Indossavano lunghi abiti di velluto, tutti scuri al punto da sembrare quasi neri pur essendo ri­spettivamente verde scuro, marrone scuro, blu notte, sangue inten­so e nero vero e proprio.

  Tutte avevano i capelli neri e portavano gioielli d'argento; tutte erano pettinate e truccate alla perfezione. Si muovevano in silen­zio: solo un fruscio dei pesanti velluti quando passavano, un fruscio che pareva quasi un sospiro.

  L'ultima, quella vestita di nero, la più pallida e la più bella, sorrise a Richard.

  Che, un po' circospetto, restituì il sorriso.

  Quindi si mosse verso l'audizione.

  Si teneva nel reparto Pesce e Carne, nella zona al di sotto della scultura del pesce di Harrods.

  Il pubblico gli voltava le spalle e formava un cerchio con due o tre persone una dietro l'altra. Richard si chiedeva se sarebbe stato facile trovare Porta e il Marchese, e in quel momento la folla si apri e li vide, seduti entrambi sul bancone di vetro del salmone affumicato. Aprì la bocca per gridare «Porta!» e mentre lo faceva comprese il motivo per cui la folla si era aperta: un uomo enorme, paralizzato dalla paura, praticamente nudo non fosse stato per il pezzo di stoffa giallo, rosso e verde che gli avvolgeva la parte bas­sa del torace a mo' di pannolino, era stato catapultato oltre gli spet­tatori, come lanciato da un mangano, e gli stava atterrando proprio addosso.

  «Richard?» disse la ragazza.

  Lui apri gli occhi. La messa a fuoco del viso andava e veniva. Degli occhi dallo strano colore, che fissavano i suoi, in un viso giovane e pallido, quasi da folletto.

  «Porta?» fece.

  Era furiosa. Era molto più che furiosa.

  «Temple e Arch, Richard! Non posso crederci. Che ci fai qui?»

  «Anch'io sono contento di vederti» disse debolmente Richard. Si mise a sedere, chiedendosi se avesse una commozione cerebra­le. Chiedendosi come poteva scoprirlo. Chiedendosi come aveva potuto pensare che Porta sarebbe stata felice di vederlo.

  Lei, le narici frementi, si fissava intensamente le unghie, come non si fidasse a dire altro.

  L'omone dall'orribile dentatura, che l'aveva fatto cadere sul ponte, stava lottando contro un nano. Combattevano con delle spran­ghe di ferro, e la lotta non era impari come avrebbe potuto sem­brare. Il nano era straordinariamente veloce: si rotolava, colpiva, rimbalzava, si tuffava; ogni suo movimento faceva apparire Varney goffo e sgraziato al confronto.

  Richard si rivolse al Marchese, che guardava il combattimento con attenzione.

  «Cosa sta succedendo?» chiese.

  Il Marchese gli concesse un'occhiata, quindi riportò lo sguardo sull'azione che si svolgeva davanti a loro. «Tu» disse «sei immer­so in qualcosa di troppo profondo per le tue possibilità, ossia nella merda fino al collo, tanto per essere chiaro, e davvero poche ore, immagino, ti separano da una fine prematura e senza alcun dubbio disonorevole. Noi, al contrario, stiamo facendo un'audizione per guardie del corpo.»

  Varney mise in comunicazione la sua spranga di ferro con il nano, che cessò istantaneamente di balzare e guizzare per mettersi a giacere privo di sensi.

  «Penso che abbiamo visto abbastanza» disse il Marchese ad alta voce. «Grazie a tutti. Signor Varney, può cortesemente attendere un istante?»

  «Perché sei voluto venire?» chiese con freddezza Porta.

  «Non è che avessi molta scelta» ribatté Richard.

  Lei sospirò.

  Il Marchese stava marciando intorno al perimetro, congedando le diverse guardie del corpo che aveva già visionato, distribuendo qualche parola di lode qui e un consiglio là. Varney aspettava pazientemente in un angolo.

  Richard azzardò un sorriso in direzione di Porta. Fu ignorato.

  «Come sei arrivato al mercato?» chiese la ragazza.

  «C'erano quelle persone-ratti...» cominciò Richard.

  «Parla-coi-ratti» corresse lei.

  «E, vedi, il ratto che ci aveva portato il messaggio del Marche­se...»

  «Padron Codalunga» disse lei.

  «Be', ha detto che dovevano accompagnarmi qui.»

  Porta alzò un sopracciglio e piegò lievemente la testa da un lato. «Ti ha portato qui un parla-coi-ratti?»

  Annui. «Per quasi tutta la strada. Era una ragazza. Si chiamava Anestesia. Lei è... be', le è successo qualcosa. Sul ponte. Per l'ul­tima parte del tragitto mi ha portato qui un'altra signora. Credo che fosse una... lo sai.» Esitò, poi lo disse. «Prostituta.»

  Il Marchese aveva fatto ritorno. Se ne stava in piedi di fronte a Varney, che appariva oscenamente compiaciuto di se stesso.

  «Conoscenza delle armi?» domandò il Marchese.

  «Uh!» disse Varney. «Mettiamola cosi: se ci si può affettare qualcuno, far schizzare via una testa, spaccare le ossa o fare un bucaccio in una pancia, Varney le usa da maestro.»

  «Precedenti datori di lavoro soddisfatti del servizio?»

  «Olympia, la Regina dei Pastori, i Finitori in Guardia Bassa. Per un po' mi sono occupato della sicurezza della fiera di maggio di Mayfair.»

  «Bene» disse il Marchese de Carabas. «La tua abilità ha molto colpito tutti noi.»

  «Mi pareva di aver capito» disse una voce femminile «che ave­ste pubblicato un'inserzione per una guardia del corpo. Non per dilettanti fanatici.»

  La sua pelle aveva il colore dello zucchero caramellato caldo, e il suo sorriso avrebbe fermato una rivoluzione. Era vestita da capo a piedi di morbide pelli grigie e marroni.

  «È lei» bisbigliò Richard a Porta. «La prostituta.»

  «Varney» ribadì Varney, offeso, «è la migliore guardia del cor­po e bravo del Mondo di Sotto. Lo sanno tutti.»

  La donna si rivolse al Marchese. «Sono già finite le prove di selezione?» chiese.

  «Si» disse Varney.

  «Non per forza» rispose il Marchese.

  «Allora» gli disse lei «vorrei fare l'audizione.»

  Solo un attimo di esitazione e il Marchese disse, «Molto bene.» Fece un passo indietro, balzò sul banco del salmone affumicato e si mise comodo a osservare l'azione.

  Varney era indubbiamente pericoloso, per non dire prepotente, sadico e attivamente dannoso per la salute fisica di quanti lo cir­condavano. Non era, però, particolarmente sveglio. Rimase, li, fer­mo, a fissare il Marchese, mentre il seme del dubbio si insinuava e si insinuava, sempre più insinuante. Infine, incredulo, chiese, «Devo lottare contro di lei?»

  «Si» rispose la donna vestita di pelle. «A meno che tu non vo­glia prima sdraiarti un pochino.»

  Varney cominciò a ridere: un ghigno da maniaco.

  Smise di ridere un attimo dopo, quando la donna gli diede un gran calcio al plesso solare, che lo abbatté come un albero.

  Accanto alla sua mano, sul pavimento, si trovava la spranga di ferro utilizzata nel combattimento con il nano. L'afferrò e la sbatté violentemente contro il viso della donna - o l'avrebbe fatto se lei non avesse schivato il colpo. Rapidissima, gli picchiò le mani aper­te sulle orecchie. La spranga volò dall'altra parte della stanza.

  Ancora traballante per il dolore alle orecchie, Varney estrasse un coltello dallo stivale. Di quanto accadde dopo, non fu mai del tutto certo: sapeva solo che il mondo aveva ruotato sotto i suoi pie­di e si era ritrovat
o a faccia in giù sul pavimento, con il sangue che gli colava dalle orecchie e il suo stesso coltello alla gola. Il Mar­chese de Carabas stava dicendo, «È sufficiente!»

  La donna alzò gli occhi, tenendo sempre il coltello contro la gola di Varney. «Allora?» chiese.

  «Davvero notevole» disse il Marchese.

  Porta annui.

  Richard era sbalordito: era stato come vedere Emma Peel, Bru­ce Lee e un tornado particolarmente temibile tutti condensati in un solo essere, con una generosa farcitura di riprese tratte da un docu­mentario sulla vita animale che una volta aveva visto in TV e che mostrava l'uccisione di un cobra reale da parte di una mangusta. Era cosi che si muoveva. Era cosi che aveva lottato.

  La donna abbassò gli occhi verso Varney. «Grazie, signor Var­ney» disse educatamente. «Temo che non avremo bisogno dei suoi servigi, dopo tutto.»

  Gli scese di dosso e si mise il coltello alla cinta.

  «E tu ti chiami?» domandò il Marchese.

  «Mi chiamo Hunter» rispose lei.

  Nessuno proferì parola. Poi Porta, titubante, disse, «Quell'Hun­ter?»

  «Esatto» disse Hunter, spazzolando via la polvere dai gambali di pelle. «Sono tornata.»

  Chissà dove una campana suonò, due volte, dei rintocchi pro­fondi che fecero vibrare i denti di Richard. «Cinque minuti» bo­fonchiò il Marchese. Poi, rivolgendosi agli spettatori rimasti, dis­se, «Credo che abbiamo trovato la nostra guardia del corpo. Gra­zie a tutti. Non c'è altro da vedere.»

  Hunter si diresse verso Porta e la squadrò dall'alto e dal basso.

  «Puoi impedire che mi uccidano?» chiese Porta.

  Hunter piegò il capo in direzione di Richard. «A lui oggi ho salvato la vita tre volte, sul ponte, venendo al mercato.» Varney si era faticosamente rimesso in piedi, e con la mente aveva sollevato la spranga di ferro.

  Il Marchese vide cosa stava facendo ma non disse nulla.

  L'ombra di un sorriso comparve sulle labbra di Porta. «Questa è bella» disse. «Richard pensava che fossi una...»

  Hunter non seppe mai cosa Richard pensava che fosse. La spran­ga precipitò verso la sua testa come un bolide. Si limitò ad allun­gare il braccio e ad afferrarla: le si fermò agevolmente nel palmo della mano con un tuapp.

  Andò da Varney.

  «È tua?» chiese.

  Le mostrò i denti, gialli, neri e marrone.

  «In questo momento» disse Hunter «siamo sotto l'Armistizio del Mercato. Ma se provi a fare un'altra cosa del genere, revoco l'armistizio, ti spezzo entrambe le braccia e te le faccio riportare a casa con i denti. Ora,» continuò piegandogli il braccio dietro la schiena, «di' mi dispiace. Con gentilezza.»

  «Uau» fece Varney.

  «Si?» disse lei, con aria incoraggiante.

  Sputò fuori un «Mi dispiace» come se stesse per soffocare.

  Lo lasciò andare.

  Varney rinculò a distanza di sicurezza, impaurito e furioso, te­nendo sempre gli occhi su Hunter, senza mai voltarle le spalle. E, una volta raggiunta la porta del Reparto Alimentari, esitò prima di strillare, «Sei morta! Sei morta e fottuta, ecco quello che sei!» con una voce che rasentava le lacrime.

  Quindi si girò e corse via dalla stanza.

  «Dilettanti» sospirò Hunter.

  Ripercorsero la strada che aveva seguito Richard.

  Adesso la campana rintoccava ininterrottamente, con suono pro­fondo. Veniva suonata da un omone nero vestito di nero, con indu­menti da frate domenicano, ed era stata posta accanto al banco che Harrods riserva alle gelatine di frutta di alta qualità.

  Se il mercato non poteva lasciare indifferenti, ancora di più col­piva la rapidità con cui tutto veniva smantellato, fatto a pezzi e messo via. Ogni traccia del fatto che si fosse tenuto li stava scom­parendo: le bancarelle venivano smontate, impilate sulle spalle dei proprietari e portate chissà dove.

  Richard scorse Old Bailey, le braccia cariche di cartelli rudi­mentali e gabbie per uccelli, che usciva barcollando dal negozio.

  La folla si diradò. Il mercato scomparve. Il piano terra di Harrods aveva l'aspetto di sempre, stucchevole e rispettabile come tut­te le volte che ci aveva fatto un giro con Jessica.

  «Hunter, il Cacciatore» disse il Marchese. «Ho sentito parlare di te, naturalmente, ma dove sei stata per tutto questo tempo?»

  «Ho cacciato» rispose semplicemente lei. Poi, rivolta a Porta, «Puoi prendere ordini?»

  Porta annui. «Se proprio devo.»

  «Bene. Allora forse posso salvarti la vita» disse Hunter. «Se accetto l'incarico.»

  Il Marchese si fermò. La guardò di sottecchi, diffidente. «Hai detto se accetti l'incarico...?»

  Hunter apri la porta e uscirono sul marciapiede di Londra. Era notte. Mentre si trovavano al mercato aveva piovuto e i lampioni si specchiavano sul catrame bagnato.

  «L'ho accettato» disse Hunter.

  Richard si sentiva sempre più un bagaglio al seguito. Porta evi­tava di guardarlo negli occhi, il Marchese lo ignorava e Hunter lo trattava come una cosa del tutto non pertinente.

  «Sentite» disse. «Non voglio annoiare o essere di peso, ma io che faccio?»

  Il Marchese si voltò a fissarlo, gli occhi grandi e bianchi nel viso scuro. «Tu?» disse. «Cosa fai tu?»

  «Be',» disse Richard «come faccio a tornare alla normalità? È come se fossi entrato in un incubo. La settimana scorsa, tutto ave­va un senso e adesso di senso proprio non...» le parole gli si spen­sero sulle labbra. Deglutì. «Voglio sapere come fare per riavere la mia vita» spiegò.

  «Non la riavrai venendo con noi, Richard» disse Porta. «Per te sarà piuttosto dura comunque. Mi... mi dispiace davvero.»

  Hunter, che guidava il gruppo, si inginocchiò sul marciapiede. Si tolse dalla cintura un piccolo oggetto metallico che utilizzò per sbloccare un tombino che portava alle fogne. Lo sollevò, guardò all'interno con circospezione, scese, quindi fece entrare Porta.

  Mentre scendeva, Porta evitò di guardare Richard.

  Il Marchese si grattò un lato del naso. «Giovanotto,» disse «ci sono due Londra. C'è Londra Sopra - quella dove vivevi tu - e Londra Sotto - la Parte Sotterranea - abitata dalle persone che sono precipitate nelle fenditure del mondo. Tu sei uno di loro, adesso. Buona notte.»

  Cominciò a scendere la scaletta del pozzetto fognario. Richard disse «Aspetti!» e afferrò il tombino prima che si chiudesse. Seguì il Marchese all'interno.

  All'inizio del pozzetto il tanfo di cloaca era molto forte - un'un­tuosa puzza di cavolo, di morte. Si aspettava che scendendo peg­giorasse, invece si dissipò abbastanza rapidamente.

  Dell'acqua grigia correva, poco profonda ma veloce, sul fondo del tunnel di mattoni.

  Richard ci mise dentro i piedi. Poco più in là poteva scorgere la luce degli altri, perciò si mise a correre, schizzando, lungo il tun­nel finché li raggiunse.

  «Vattene» disse il Marchese.

  «No» rispose lui.

  Porta lo guardò. «Mi dispiace tanto, Richard» disse.

  Il Marchese si intromise. «Non puoi tornare alla tua vecchia casa, al tuo vecchio lavoro o alla tua vecchia vita» gli disse, quasi con gentilezza. «Non esiste nessuna di quelle cose. Lassù, tu non esisti.» Erano arrivati a un raccordo, un luogo dove si univano tre tunnel. Porta e Hunter si infilarono in uno dei tre, quello dove non scorreva acqua, senza guardarsi indietro. Il Marchese indugiava.

  «Devi solo cercare di affrontare la situazione nel miglior modo possibile» disse a Richard. «Nelle fognature, nella magia e nel buio.» Poi fece un ampio sorriso: «Bene, felice dì averti rivisto. Tutta la fortuna del mondo. Se riesci a sopravvivere per i prossimi due o tre giorni, forse puoi anche riuscire a farcela per un mese intero.»

  Detto questo si voltò e prese a percorrere la fogna a grandi passi.

  Richard si appoggiò al muro, ascoltando l'eco dei tacchi che si allontanavano, il flusso dell'acqua che gli correva accanto, diretta all'impianto di pompaggio della zona est, e il lavorio della fogna.

  «Merda» esclamò.

  Poi, con sua gran
de sorpresa, per la prima volta dopo la morte di suo padre, da solo, al buio, Richard Mayhew si mise a piangere.

  La stazione della metropolitana era quasi deserta e quasi buia. Varney la attraversò, rasentando i muri, lanciando occhiate nervo­se dietro di sé e di fronte, da un lato e dall'altro.

  Aveva scelto una stazione a caso ed era andato in quella dire­zione sui tetti e tra le ombre, accertandosi di non essere seguito. Non aveva intenzione di tornare al covo nei tunnel profondi di Camden Town. Troppo rischioso. C'erano altri posti in cui Varney aveva nascosto armi e cibo. Sarebbe rimasto in superficie per un po'. Fino a che la faccenda fosse passata nel dimenticatoio.

  Si fermò accanto a un distributore di biglietti, in ascolto, nel buio.

  Silenzio assoluto. Certo di essere solo, si concesse di rilassarsi. Si fermò in cima alla scala a chiocciola e fece un respiro profondo.

  Una voce vicino a lui, untuosa come olio lubrificante esausto, disse con tono colloquiale, «Varney è il miglior bravo e guardia del corpo del Mondo di Sotto. Lo sanno tutti. Ce l'ha detto il si­gnor Varney in persona.»

  E una voce dall'altro lato rispose, dolcemente, «Non è carino mentire, mister Croup.»

  Nell'oscurità più fitta, mister Croup caldeggiò il concetto. «No, non lo è, mister Vandemar. Devo dire che la considero un'offesa personale, che mi ha profondamente ferito. E deluso. Quando non si hanno lati positivi, le delusioni non si prendono molto bene, che ne pensa mister Vandemar?»

  «Tutto il male possibile, mister Croup.»

  Varney si lanciò in avanti e si mise a correre nel buio, scenden­do a capofitto per la scala a chiocciola.

  Una voce dalla cima delle scale, quella di mister Croup: «Do­vremmo considerarla una vera e propria forma di eutanasia.»

  Il rumore dei piedi di Varney si allontanò fragorosamente dalla ringhiera di metallo, riecheggiando per la tromba delle scale. An­sava e ansimava, le spalle che rimbalzavano contro il muro, men­tre ruzzolava in avanti alla cieca, nell'oscurità.

  Raggiunse gli scalini più in fondo, dove un cartello segnalava ai passeggeri in uscita che per arrivare in cima c'erano 259 gradi­ni, e che soltanto persone in piena forma potevano anche solo pensare di tentare l'impresa. Tutti gli altri, suggeriva il cartello, avreb­bero fatto meglio a usare l'ascensore.

 

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