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Nessun Dove

Page 23

by Neil Gaiman


  Allora mister Croup alzò il più possibile la sua lampada e si mise a osservare il luogo in cui si trovavano.

  «Fa tristezza pensare» disse mister Croup «che ci sono persone che percorrono le strade là sopra che non conosceranno mai la bel­lezza di queste fognature, mister Vandemar. Queste cattedrali di mattoni rossi che si ergono sotto i loro piedi.»

  «Alto artigianato» convenne mister Vandemar.

  Voltarono le spalle alle acque marroni e ripercorsero la strada lungo i tunnel.

  «Per le città, come per le persone, mister Vandemar,» disse compassato mister Croup «le condizioni dell'intestino sono della massima importanza.»

  Porta si legò la chiave intorno al collo con un pezzo di corda che aveva trovato in una delle tasche del suo giaccone di pelle.

  «Non è molto sicuro» disse Richard.

  La ragazza gli fece una smorfia.

  «Be',» ribatté lui «non lo è.»

  Lei si strinse nelle spalle. «D'accordo» disse. «Prenderò una catena adatta quando andremo al mercato.»

  Stavano attraversando un dedalo di caverne, profondi tunnel intagliati nel calcare che facevano sentire Richard quasi preistorico.

  Ridacchiò sotto i baffi.

  «Cosa c'è di tanto divertente?» chiese Porta.

  Lui sorrise. «Stavo pensando all'espressione che farà il Marche­se quando gli diremo che abbiamo avuto la chiave dai frati senza il suo aiuto.»

  «Sono sicura che saprà dire qualcosa di beffardo» commentò Porta. «E poi, si torna dall'angelo. Per la 'via lunga e pericolosa'. Qualunque essa sia.»

  Richard stava per dire «Non ho dubbi che sarà davvero lunga e pericolosa» ma riusci a non farlo. Invece, ammirò i dipinti sui muri della grotta. Ruggini, ocre, terre di siena tratteggiavano il contorno di cinghiali che caricano e gazzelle che fuggono, pelosi mam­mut e bradipi giganti: immaginò che quei disegni dovessero essere vecchi di migliaia di anni, ma quando svoltarono un angolo si ac­corse che, nello stesso stile, c'erano camion, gatti domestici, auto­mobili e - nettamente inferiori rispetto alle altre immagini, come fossero stati osservati di rado e da molto lontano - aeroplani.

  Nessun dipinto era molto alto dal suolo, e si chiese se i pittori fossero una razza di pigmei di Neanderthal sotterranei. Era una possibilità come un'altra, in quello strano mondo.

  «Allora, dov'è il prossimo mercato?» chiese.

  «Non ne ho idea» rispose Porta. «Hunter?»

  Hunter scivolò fuori dall'ombra. «Non lo so.»

  Una sagoma di piccole dimensioni passò loro accanto, risalen­do la via che avevano appena percorso. Alcuni istanti dopo, un'al­tra coppia di minuscoli esseri umani arrivò verso di loro in minac­cioso inseguimento.

  Mentre passavano, Hunter allungò una mano a gran velocità, afferrando un bambino per l'orecchio.

  «Au!» disse, come dicono i bambini piccoli. «Lasciami! Mi ha rubato il pennello!»

  «È vero» disse una vocina stridula un po' più lontana. «È stata lei.»

  «Non sono stata io» giunse da ancor più lontano, in fondo al corridoio, una voce addirittura più acuta e stridula.

  Hunter indicò i dipinti sul muro della grotta. «Li hai fatti tu?» chiese.

  Il bambino aveva tutta la smodata arroganza che si trova sol­tanto negli artisti più eccelsi e in tutti i ragazzini di nove anni. «Già!» rispose con ferocia. «Qualcuno.»

  «Non male» disse Hunter.

  Il bambino la fulminò con lo sguardo.

  «Dov'è il prossimo Mercato Fluttuante?» chiese Porta.

  «Belfast» rispose. «Stasera.»

  «Grazie» disse Porta. «Spero che riavrai il tuo pennello. Lascia­lo andare, Hunter.»

  Hunter lasciò l'orecchio del bambino.

  Lui non si muoveva. La squadrava, in alto e in basso, poi fece una smorfia, per dimostrare di non essere per nulla colpito. «Tu sei Hunter?» chiese.

  Lei gli sorrise, con modestia. Lui tirò su col naso. «Tu sei la migliore guardia del corpo del Mondo di Sotto?»

  «Cosi mi dicono.»

  Il ragazzino tirò indietro una mano per allungarla in avanti di nuovo, in un unico movimento fluido. Si fermò, perplesso, e apri la mano, esaminandosi il palmo. Poi alzò lo sguardo verso Hunter, sempre più confuso.

  Hunter apri la mano a sua volta e mostrò un piccolo coltello a serramanico dalla lama cattiva. Lo tenne in alto, fuori dalla portata del bambino.

  Lui arricciò il naso. «Come hai fatto a farlo?»

  «Fila via» disse Hunter.

  Richiuse il coltello e lo lanciò al ragazzino, che decollò verso il corridoio senza voltarsi, all'inseguimento del suo pennello.

  Il corpo del Marchese de Carabas veniva trascinato verso est dalla corrente, attraverso le profonde fognature, a faccia in giù.

  Le fogne di Londra avevano iniziato la propria esistenza come fiumi e torrenti, che scorrevano da nord a sud per riversarsi nel Tamigi. Questo sistema aveva più o meno funzionato per molti anni finché, nel 1858, la quantità di effluenti prodotti dagli abitan­ti e dalle industrie di Londra, combinata a un'estate piuttosto cal­da, causò un fenomeno a quei tempi noto come la Grande Puzza. Chi poteva andarsene da Londra, se ne andava; quelli che erano rimasti si avvolgevano intorno al viso pezzi di stoffa immersi nel­l'acido fenico e cercavano di non respirare con il naso.

  Il Parlamento fu costretto a sospendere le sedute molto presto nel 1858, e l'anno successivo ordinò che venisse istituito un pro­gramma di costruzione delle fognature. Le migliaia di chilometri di fogne vennero create con una lieve pendenza da ovest verso est e, da qualche parte sotto a Greenwich, vennero fatte entrare a for­za nell'estuario del Tamigi, in modo che le acque di scolo si libe­rassero nel mare.

  Era questo il viaggio intrapreso dal corpo del defunto Marche­se de Carabas, da ovest a est, verso l'aurora e i depuratori.

  Dei ratti su un'alta sporgenza di mattoni, impegnati a fare quel­lo che fanno i ratti quando non ci sono esseri umani a osservarli, videro passare il corpo.

  Il più grande, un grosso maschio nero, squittì.

  Una femmina marrone di dimensioni meno imponenti gli rispose squittendo, quindi balzò giù dal muretto per atterrare sulla schiena del Marchese, dove restò a farsi trasportare per un po', annusando i capelli e il soprabito, assaggiando il sangue e poi, con un certo rischio, sporgendosi per esaminare quanto era visibile del volto.

  Si tuffò dalla testa del Marchese nell'acqua lurida e nuotò abilmente fino alla riva, dove risali a fatica lungo la scivolosa costru­zione di mattoni.

  Percorse velocemente una trave e tornò a raggiungere i suoi compagni.

  «Belfast?» domandò Richard.

  Porta sorrise in modo sbarazzino, e quando insistette non disse altro che «Vedrai.»

  Cambiò tattica. «Come fai a sapere che quel bambino ha detto la verità riguardo al mercato?» chiese.

  «È una cosa su cui nessuno di noi quaggiù mente mai. Io... non credo che potremmo mentire su quello.» Fece una pausa. «Il mer­cato è speciale.»

  «E come faceva quel bambino a sapere dove si tiene?»

  «Qualcuno gliel'ha detto» rispose Hunter.

  Richard ci rimuginò sopra per un attimo. «E quello come face­va a saperlo?»

  «Gliel'ha detto qualcun altro» spiegò Porta.

  «Ma...» Per prima cosa si chiedeva chi fosse a stabilire il luo­go, e come facevano a spargere la notizia...

  Dal buio, una calda voce femminile domandò, «Pss. Avete idea di dove sia il prossimo mercato?»

  Usci alla luce. Portava gioielli d'argento, i capelli neri accon­ciati alla perfezione. Era molto pallida e il suo lungo abito di vel­luto era nero ebano.

  Richard la riconobbe immediatamente, sapeva di averla già vi­sta anche se gli ci volle qualche istante per ricordare dove: il pri­mo Mercato Fluttuante, ecco dove: da Harrods. Gli aveva sorriso.

  «Stasera» disse Hunter. «Belfast.»

  «Grazie» disse la donna. Aveva degli occhi davvero incredibi­li, pensò Richard. Del colore della digitale.

  «Ci
vediamo là» disse, e mentre lo diceva guardava Richard. Poi distolse timidamente lo sguardo.

  Rientrò nell'ombra e scomparve.

  «Chi era?» chiese Richard.

  «E una Velluto, si fanno chiamare cosi» rispose Porta. «Duran­te il giorno dormono qua sotto, e la notte salgono nel Mondo di Sopra.»

  «Sono pericolose?»

  «Tutti sono pericolosi» disse Hunter.

  «Sentite,» disse Richard «per tornare al mercato. Chi decide dove farlo svolgere e quando? E come fanno le prime persone a saperlo?»

  Hunter si strinse nelle spalle.

  «Porta?»

  «Non ci avevo mai pensato.»

  Svoltarono un angolo.

  Porta sollevò la lampada. «Proprio niente male» commentò.

  «E veloce, anche» aggiunse Hunter. Con la punta delle dita sfiorò il dipinto sul muro di roccia. La pittura era ancora fresca.

  Si trattava di un ritratto di Hunter, Porta e Richard. E non era affatto lusinghiero.

  Il ratto nero entrò nella tana dei Dorati con la testa bassa e le orecchie all'indietro in segno di deferenza. Strisciò in avanti, squittendo e schiattendo.

  I Dorati si erano costruiti la tana in un cumulo di ossa. Tali ossa un tempo erano appartenute a un mammut peloso, e risalivano alle epoche glaciali quando le grandi bestie lanuginose percorrevano in lungo e in largo la tundra innevata dell'Inghilterra del sud come se, a detta dei Dorati, ne fossero i proprietari.

  Quel mammut in particolare, quantomeno, era stato disilluso al riguardo in maniera piuttosto esauriente e decisamente definitiva da parte dei Dorati.

  Alla base del cumulo di ossa, il ratto nero fece l'inchino, poi si sdraiò sulla schiena esponendo la gola, chiuse gli occhi e attese.

  Dopo un po' uno squittio dall'alto gli disse che poteva girarsi.

  Uno dei Dorati strisciò fuori dal cranio del mammut, in cima alla catasta di ossa. Strisciò lungo la vecchia zanna d'avorio, un ratto dalla pelliccia dorata e gli occhi color rame, delle dimensioni di un grosso gatto domestico.

  Il ratto nero parlò. Il Dorato ci pensò un attimo e sbraitò un or­dine. Il ratto nero si rotolò sulla schiena, esponendo nuovamente la gola per un momento. Quindi una torsione e un dimenamento e aveva ripreso la sua strada.

  Naturalmente, il Popolo delle Fogne esisteva già prima della Grande Puzza, e aveva vissuto nelle fognature del periodo elisabettiano, della Restaurazione e della Reggenza, quando un numero sempre maggiore di vie d'acqua londinesi veniva imbrigliato in tubazioni e passaggi coperti, quando la popolazione produceva quantità sempre maggiori di immondizia, di rifiuti, di effluenti. Fu dopo la Grande Puzza, però, dopo il grande progetto vittoriano di costruzione di fognature, che entrò in possesso di ciò a cui aveva diritto.

  Se ne trovavano membri in ogni zona delle fogne, ma per le loro abitazioni permanenti avevano scelto alcuni degli ambienti a volta di mattoni rossi, simili a chiese, dell'area est, alla confluenza di molte delle ribollenti acque schiumose. Era là che si mettevano a sedere, tenendo accanto canne, reti e ami improvvisati, a osser­vare la superficie torbida dell'acqua.

  Indossavano abiti - abiti verdi e marrone, coperti da uno spes­so strato di quella che poteva essere muffa o una fanghiglia deri­vata da prodotti petroliferi, e poteva anche tranquillamente essere qualcosa di molto peggio. Portavano i capelli lunghi e aggroviglia­ti. Puzzavano più o meno come si può facilmente immaginare.

  Lungo il tunnel erano appese vecchie lanterne a vento. Nessu­no sapeva cosa il Popolo delle Fogne utilizzasse come combustibi­le, ma nelle loro lanterne ardeva una fiamma blu e verde piuttosto ripugnante.

  Si ignorava in che modo quelle persone comunicassero tra loro. Nei pochi contatti con il mondo esterno usavano una sorta di lin­guaggio dei segni. Vivevano in un mondo di gorgoglii e sgocciolii, gli uomini, le donne e i silenziosi bambini delle fogne.

  Dunnikin individuò qualcosa nell'acqua. Era il capo del Popo­lo delle Fogne, il più saggio e il più anziano. Conosceva le fogne meglio dei costruttori originali. Dunnikin prese una lunga rete per la pesca ai gamberetti; un abile movimento della mano, e aveva pescato un telefonino alquanto sporco. Camminò fino a un mucchietto di robaccia messo in un angolo, e aggiunse il telefono por­tatile al resto del bottino. Fino a quel momento il frutto di una gior­nata di lavoro consisteva in: due guanti spaiati, una scarpa, un cra­nio di gatto, una copia di Fiesta, un pacchetto di sigarette fradicio, una gamba artificiale, un cocker spaniel morto, un paio di corna di cervo (montate) e la metà inferiore di una carrozzina.

  Non avevano fatto una buona pesca. E quella sera era sera di mercato.

  Dunnikin continuava a tenere gli occhi sull'acqua. Non si sa mai cosa può saltar fuori.

  Old Bailey stava stendendo il bucato ad asciugare. Sventolava e si gonfiava nel vento, sulla cima del Centre Point. A Old Bailey non importava molto del Centre Point in sé, ma, come spesso ave­va spiegato agli uccelli, la vista dal tetto era incomparabile.

  Il vento strappò alcune penne dal cappotto di Old Bailey e le soffiò via, lontano, sopra Londra. Non se ne curava. Come aveva spesso detto agli uccelli, nel posto da cui provenivano ce n'erano molte altre.

  Un grosso ratto nero attraversò strisciando la copertura strap­pata di un cunicolo di ventilazione, si guardò intorno, quindi andò fino alla tenda chiazzata dagli uccelli. Risali il lato della tenda, poi percorse la fune da bucato di Old Bailey e gli squittì qualcosa con tono pressante.

  «Piano, piano» disse Old Bailey. Il ratto ripeté quanto aveva detto con voce meno acuta e più lentamente. «Santo cielo!» disse Old Bailey.

  Si precipitò nella tenda e tornò con le sue armi - il forchettone da barbecue e una pala per il carbone. Poi corse di nuovo nella ten­da e ne usci con alcuni arnesi da barattare. Quindi rientrò nella ten­da camminando, apri la cassapanca di legno e si mise in tasca la scatola d'argento.

  «Proprio non ho tempo per queste scempiaggini» disse al ratto, una volta fatta l'ultima uscita dalla tenda. «Sono un uomo molto impegnato. Gli uccelli non si prendono da soli, sai?»

  Il ratto squitti ancora.

  Old Bailey stava slegando il rotolo di corda che portava alla cintola. «Be',» disse al ratto «non sono l'unico che può prendere il corpo. Non sono più giovane come una volta. Non mi piacciono i luoghi sotterranei. Sono un uomo dei tetti, io, nato e cresciuto.»

  Il ratto fece un rumore aspro.

  «La gatta frettolosa fece i gattini ciechi!» replicò Old Bailey. «Sto andando. Giovane presuntuosello. Conoscevo il tuo bis-bisnonno, giovane amico-ratto, perciò non provare a darti tante arie... Allora, dov'è il mercato?»

  Il ratto glielo disse. Poi Old Bailey si mise il ratto in tasca e scavalcò la facciata dell'edificio.

  Seduto sulla sporgenza a lato della fognatura, nella sua poltron­cina da giardino di plastica, Dunnikin era sopraffatto da un pre­sentimento di ricchezza e prosperità. Sentiva che stava arrivando da ovest a est, proprio verso di loro.

  Batté forte le mani. Altri uomini corsero da lui, e le donne e i bambini, e allo stesso tempo afferravano ami e reti. Si misero in fila lungo la sudicia sporgenza, nella crepitante luce verde della fo­gnatura.

  Dunnikin puntò il dito e aspettarono, in silenzio, perché è cosi che il Popolo delle Fogne aspetta.

  Il corpo del Marchese de Carabas giunse galleggiando a faccia in giù lungo la fognatura, la corrente che lo portava con la lentez­za e la solennità di un vascello funebre.

  Lo trascinarono con gli ami e le reti, in silenzio, e ben presto lo adagiarono sulla sporgenza. Gli tolsero il soprabito, gli stivali e il contenuto delle tasche del soprabito, ma il resto degli indumenti venne lasciato sul cadavere.

  «Sei sicura che il Marchese verrà al mercato?» Richard doman­dò a Porta, mentre il sentiero cominciava, lentamente, a salire.

  «Non ci pianterebbe mai in asso» rispose, con tutta la baldanza che riusciva a mostrare. «Sono certa che verrà.»

  QUATTORDICI

  La nave di Sua Maestà battezzata Belfast è un incrociatore di 11.000 tonnellate, commissionato
nel 1939 e in servizio attivo du­rante la seconda guerra mondiale. Terminato il conflitto, è stato ormeggiato alla sponda sud del Tamigi, in zona cartoline, tra Tower Bridge e London Bridge, di fronte alla Torre di Londra. Da li si possono vedere la cattedrale di St Paul e il monumento al grande incendio eretto da Cristopher Wren. Viene utilizzato come museo galleggiante, come monumento alla memoria e come campo di ad­destramento.

  Una passerella collegava la nave alla riva, e su quella passerel­la c'era un grande andirivieni di persone che salivano e scendeva­no a due e a tre per volta, poi a decine. Tutte le tribù di Londra Sotto posizionavano le bancarelle il prima possibile, unite dall'Ar­mistizio del Mercato e dal desiderio comune di sistemare le loro cose quanto più lontano si riesce dal banco del Popolo delle Fo­gne.

  Oltre un secolo prima era stato concordato che il Popolo delle Fogne aveva il diritto di montare un chiosco solo durante i mercati all'aria aperta.

  Dunnikin e i suoi rovesciarono il loro bottino su un telo di gom­ma sotto una gigantesca arma da fuoco, creando un gran mucchio. Nessuno si dirigeva subito al banco del Popolo delle Fogne, ma verso la fine del mercato arrivavano i cercatori di buone occasioni, i curiosi e quei pochi fortunati individui benedetti dalla mancanza del senso dell'olfatto.

  Richard, Hunter e Porta si fecero strada in mezzo alla folla sul ponte della nave.

  Richard si accorse di non sentire più la necessità di fermarsi a fissare il prossimo. La gente non era meno strana che al preceden­te Mercato Fluttuante, ma, pensava, con ogni probabilità lui era strano allo stesso modo.

  Si guardò intorno, esaminando con attenzione i volti tra la fol­la, alla ricerca del sorriso ironico del Marchese.

  «Non lo vedo» disse.

  Si stavano avvicinando al banco del fabbro. Un uomo, che se non fosse stato per l'ispida barba marrone sarebbe stato scambiato per una piccola montagna, stava gettando un rosso pezzo di metallo arroventato su un'incudine. Richard non aveva mai visto una vera incudine. Poteva sentire il calore del metallo rovente a qual­che metro di distanza.

 

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