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Nessun Dove

Page 25

by Neil Gaiman


  «Ecco» disse Porta.

  «Mia signora» disse Fabbroferraio. Le prese la scatola e spa­lancò lo sportellino. All'interno c'era un cassetto, e lo apri.

  Il piccolo rospo nel cassetto gracidò e si guardò intorno senza alcuna curiosità. Fabbroferraio fece la faccia lunga. «Speravo ci fossero perle e diamanti» disse.

  Porta allungò la mano e accarezzò la testa del rospo.

  «Ha dei begli occhi» disse. «Tienilo, Fabbroferraio. Ti porterà fortuna. E grazie ancora. So di poter contare sulla tua discrezione.»

  «Puoi contare su di me, signora» disse in tutta sincerità Fab­broferraio.

  Sedevano insieme in cima alle mura di Londra, senza parlare. Lentamente Old Bailey fece scendere le ruote della carrozzina sul terreno sottostante.

  «Dov'è il mercato?» domandò il Marchese.

  Old Bailey indicò la nave da guerra. «Là.»

  «Porta e gli altri. Mi staranno aspettando.»

  «Non sei in condizione di andare da nessuna parte.»

  Il Marchese tossì con uno spasmo. Old Bailey aveva l'impres­sione che avesse i polmoni ancora pieni di fogna.

  «Ho fatto un lungo viaggio, oggi» sussurrò. «Proseguire ancora un po' non mi farà male.» Si esaminò le mani, piegò le dita, piano piano, come per controllare se avrebbero fatto ciò che desiderava, oppure no. Poi ruotò il corpo da una parte e dall'altra e con movi­menti impacciati cominciò a scendere dal muro. Prima di farlo, però, con voce rauca e forse velata di tristezza, aveva detto, «Sem­bra proprio, Old Bailey, che ti debba un favore.»

  Quando Richard ritornò con le pietanze al curry, Porta gli cor­se incontro e gli mise le braccia al collo. Lo abbracciò forte, gli diede persino una pacca sul sedere, prima di strappargli la busta di carta con il cibo e aprirla con grande entusiasmo.

  Prese un contenitore con le verdure e iniziò a mangiare tutta contenta. «Grazie» disse, con la bocca piena. «Ancora nessun se­gno del Marchese?»

  «Nessuno» rispose Hunter.

  «Croup e Vandemar?»

  «No.»

  «Che delizia il curry! Questo è davvero buono.»

  «Hai avuto la catena?» chiese Richard.

  Porta allontanò la catena dal collo quel tanto che bastava per far vedere che c'era, poi la lasciò ricadere, trascinata dal peso del­la chiave.

  «Porta,» disse Richard «questa è Lamia. È una guida. Dice che può portarci ovunque nel Mondo di Sotto.»

  «Ovunque?» Porta stava sgranocchiando un poppadom.

  «Ovunque» rispose Lamia.

  Porta piegò la testa da un lato. «Sai dov'è l'Angelo Islington?»

  Lamia sbatté le palpebre, le lunghe ciglia a svelare e coprire gli occhi color digitale. «Islington?» disse. «Non ci potete andare...»

  «Lo sai?»

  «Down Street» rispose Lamia. «In fondo a Down Street. Ma non è sicuro.»

  Hunter osservava la conversazione a braccia incrociate, per nul­la impressionata. Poi disse, «Non ci serve una guida.»

  «Be',» disse Richard «io penso di si. Il Marchese non è nei pa­raggi. Sappiamo che sarà un viaggio pericoloso. Dobbiamo porta­re la... la cosa che ho preso... all'Angelo. Cosi lui racconterà a Porta della sua famiglia e dirà a me come tornare a casa.»

  Lamia alzò lo sguardo su Hunter con aria deliziata. «E a te darà un po' di cervello» disse «e a me un cuore.»

  Porta ripulì anche l'ultima briciola di curry dal contenitore usan­do le dita, poi se le leccò. «Staremo benissimo noi tre, Richard. Non ci possiamo permettere una guida.»

  Lamia si risenti. «Sarà lui a pagarmi, non tu.»

  «E che tipo di pagamento pretende una come te?» chiese Hunter.

  «Questo» disse Lamia con un dolce sorriso «sta a me saperlo e a lui scoprirlo.»

  Porta scosse il capo. «Non penso proprio.»

  Richard sbuffò. «È solo che non vi piace l'idea che per una volta sia io a risolvere le cose invece di seguirvi ciecamente e andare sempre dove mi viene detto.»

  «Non è cosi. Per niente.»

  Richard si rivolse a Hunter. «Be', Hunter, tu la conosci la stra­da per andare da Islington?»

  Hunter scosse il capo.

  Porta sospirò. «Dovremmo proprio muoverci. Down Street, hai detto?»

  Lamia sorrise con le labbra color prugna. «Si, signora.»

  Quando il Marchese arrivò al mercato, se ne erano andati.

  QUINDICI

  Lasciarono la nave e raggiunsero la riva, dove scesero alcuni scalini, attraversarono un lungo sottopassaggio e risalirono di nuovo.

  Lamia procedeva sicura a grandi passi in testa al gruppo. Li condusse in un vicoletto acciottolato, con i muri illuminati dagli scoppiettanti lampioni a gas.

  «Terza porta» disse.

  Si fermarono davanti alla porta in questione, su cui campeggia­va una targa di ottone che diceva:

  ACCADEMIA REALE DELLE SCIENZE

  PER LA PREVENZIONE DELLA CRUDELTÀ

  CONTRO LE CASE

  E sotto, a caratteri più piccoli:

  DOWN STREET. SI PREGA DI BUSSARE.

  «Si arriva alla strada attraversando la casa?» chiese Richard.

  «No,» rispose Lamia «la strada è nella casa.»

  Richard bussò alla porta. Non accadde nulla. Aspettarono e rab­brividirono. Bussò di nuovo. Infine, suonò il campanello.

  La porta venne aperta da un domestico dall'aria assonnata che indossava una parrucca incipriata e una livrea scarlatta. Guardò l'eterogeneo e disordinato gruppo con un'espressione che indica­va chiaramente che non era gente per cui valesse la pena di alzarsi dal letto.

  «Si?» disse il servitore. Richard era stato mandato a farsi fottere e a morire ammazzato con maggior calore e buona grazia.

  «Down Street» disse Lamia con tono imperioso.

  «Da questa parte,» sospirò il domestico «se vi pulite i piedi.»

  Attraversarono un ingresso davvero imponente. Poi attesero che il domestico accendesse tutte le candele di un candelabro, del tipo che di solito si vede solo sulle copertine dei libri, dove viene tradi­zionalmente tenuto ben saldo da giovani signorine in camicia da notte svolazzante, in fuga da un maniero dove è accesa un'unica luce, proveniente, guarda caso, da una finestra della soffitta.

  Poi scesero un'imponente scalinata con sfarzosa passatoia. Quin­di una rampa di scale meno imponente e meno sfarzosamente co­perta dalla passatoia.

  Scesero una rampa per nulla imponente con passatoia in lisa tela di sacco marrone.

  Poi una rampa di scale di legno grezzo priva della benché mi­nima traccia di passatoia.

  Ai piedi di quest'ultima scala c'era un antico ascensore di ser­vizio con sopra un cartello. Su cui era scritto:

  FUORI SERVIZIO

  Il domestico ignorò il cartello e apri la porta esterna a rete con un rumore metallico. Lamia lo ringraziò educatamente ed entrò nell'ascensore. Gli altri la seguirono.

  Il servitore voltò loro le spalle. Attraverso la grata Richard lo vide afferrare il candelabro e tornare alla scala di legno.

  Sulla parete dell'ascensore c'era una breve serie di pulsanti. Lamia premette quello più in basso. La grata metallica si richiuse automaticamente con un bang. Si ingranò un motore e l'ascensore cominciò, lentamente e cigolando, a scendere.

  Nell'ascensore i quattro stavano piuttosto stipati. Richard notò di poter sentire il profumo di ognuna delle donne insieme a lui. Porta odorava principalmente di curry; Hunter odorava, in modo assolutamente non sgradevole, di sudore, in una maniera che lo fece pensare ai grandi felini nelle gabbie degli zoo; Lamia, invece, odorava in modo inebriante di caprifoglio, mughetto e muschio.

  L'ascensore continuava a scendere. Richard si accorse che sta­va sudando, un sudore viscido e freddo, e si era conficcato le un­ghie nel palmo delle mani. Con il tono più disinvolto che riusci a ottenere, disse «Questo non sarebbe il momento migliore per sco­prire che si soffre di claustrofobia, vero?»

  «Già» rispose Porta.

  «Allora non lo faccio» disse Richard.

>   E continuarono a scendere.

  Ci fu un sobbalzo, un clunk, e il rumore del motorino di arre­sto, quindi l'ascensore si fermò. Hunter apri la porta, esitò un istan­te, poi usci su una sorta di stretta piattaforma.

  Richard guardò fuori dalla porta dell'ascensore. Erano sospesi nell'aria, in cima a qualcosa che gli ricordò un dipinto della torre di Babele, o meglio l'aspetto che avrebbe avuto la torre di Babele del quadro vista dall'interno. Si trattava di un enorme e decoratissimo sentiero a spirale, intagliato nella roccia, che si sviluppava intorno a un pozzo centrale. Ed era in cima a quel pozzo centrale, a qualche centinaio di metri da terra, che era sospeso l'ascensore. Ondeggiava un po'.

  Richard fece un respiro profondo e mise il piede sulla sporgen­za di legno. Poi, pur sapendo che era una pessima idea, guardò giù. Non c'era nient'altro che un asse a dividerlo dal piano roccioso, centinaia di metri più sotto.

  Tra la sporgenza su cui si trovavano e la cima della strada di pietra, a una distanza di circa tre metri, c'era una lunga passerella di legno.

  «E immagino» disse, con molta meno noncuranza di quanto credeva, «che non sarebbe un buon momento per far presente che sono una vera nullità quando si tratta di altezze.»

  «È sicuro» disse Lamia. «O almeno lo era l'ultima volta che sono stata qui. Guarda.»

  Attraversò la passerella, un fruscio di velluto nero. Avrebbe potuto portare in equilibrio sulla testa una decina di libri senza far­ne cadere neppure uno. Arrivata al sentiero di pietra si fermò, si voltò e sorrise con aria incoraggiante.

  Hunter la segui al di là della passerella, si girò e rimase sul ci­glio accanto a lei, in attesa.

  «Visto?» disse Porta. Allungò una mano e strinse il braccio di Richard. «È a posto.»

  Richard annui, e deglutì. A posto.

  Porta attraversò. Non sembrava divertirsi, ma attraversò comun­que.

  Le tre donne stavano aspettando Richard, che era rimasto in­dietro. Si accorse che non sembrava avere fatto neppure un passo sulla passerella di legno, nonostante avesse ripetutamente ordinato alle proprie gambe di camminare.

  Molto sopra di loro venne premuto un pulsante.

  Richard udi il tunk e la lontana messa in moto di un vecchio motore elettrico. La porta dell'ascensore si chiuse di botto, lascian­dolo in precario equilibrio sulla stretta piattaforma di legno, non più ampia della passerella stessa.

  «Richard!» gridò Porta. «Muoviti!»

  L'ascensore cominciò a salire. Richard passò dalla piattaforma tremolante alla passerella di legno, senti le gambe diventargli di ge­latina e si mise carponi, cercando di tenere duro per salvarsi la pelle.

  C'era una minuscola parte razionale del suo cervello che si in­teressava all'ascensore: chi l'aveva chiamato, e perché? Il resto della mente, tuttavia, era impegnato a dire a tutti e quattro i suoi arti di tenersi rigorosamente aggrappati alla passerella, e a gridare, con quanta voce mentale aveva, «Non voglio morire!» Richard chiuse gli occhi stretti stretti, certo che se li avesse aperti e avesse visto il muro di roccia sotto di lui avrebbe sicuramente lasciato la presa per precipitare, precipitare, precipitare...

  «Non ho paura di cadere» si disse. «Quello di cui ho paura è il momento in cui smetti di cadere e cominci a essere morto.» Ma sapeva di mentire a se stesso. Era la caduta che temeva - il pen­siero di agitarsi e ruzzolare impotente nell'aria, sapendo di non poter fare nulla, che nessun miracolo ti può salvare...

  Lentamente si rese conto che qualcuno gli stava parlando.

  «Arrampicati semplicemente lungo la passerella, Richard.»

  «Io... non ce la faccio» sussurrò.

  «Hai passato di molto peggio per ottenere la chiave, Richard» disse una voce. Era Porta che parlava.

  «Non sono per niente bravo con l'altezza» disse ostinatamente, il viso premuto con forza contro le assi di legno. Quindi, «Voglio andare a casa.»

  Sentiva il legno contro il viso.

  Poi la passerella cominciò a vibrare.

  La voce di Hunter disse, «In realtà non so che peso possa reg­gere quell'asse. Voi due fate da contrappeso qui.»

  La passerella vibrava come se qualcuno la stesse percorrendo, muovendosi verso di lui. L'afferrò ancora più saldamente, sempre a occhi chiusi. Quindi Hunter, suadente, calma, gli disse all'orecchio, «Richard?»

  «Mmm.»

  «Avanza lentamente, Richard. Un pezzetto alla volta. Vieni...» Le dita di zucchero caramellato gli accarezzarono la mano dalle nocche bianche che stringeva l'asse di legno. «Vieni.»

  Fece un respiro profondo e avanzò di qualche centimetro. E si bloccò di nuovo.

  «Stai andando ottimamente» disse Hunter. «Va bene cosi. Vieni.»

  E centimetro dopo centimetro, strisciando e trascinando, con la sua voce portò Richard lungo la passerella, quindi, alla fine della passerella, lo sollevò semplicemente di peso prendendolo sotto le ascelle e lo posò sulla terra ferma.

  «Grazie» le disse. Non riusciva a pensare a nient'altro da dire a Hunter che avesse un valore tale da compensare quanto aveva ap­pena fatto per lui. Lo ripeté. «Grazie.» Poi, rivolto a tutte e tre, aggiunse, «Mi dispiace.»

  Porta lo guardò. «Va tutto bene» disse. «Sei in salvo adesso.»

  Richard guardò la sinuosa strada a spirale sotto il mondo, che scendeva, scendeva; poi guardò Hunter, Porta e Lamia, e scoppiò a ridere fino alle lacrime.

  Alla fine Porta gli domandò, «Cosa c'è di tanto divertente?»

  «'In salvo'!» disse lui.

  Porta lo fissò, poi anche lei sorrise.

  «Allora, adesso dove andiamo?» chiese Richard.

  «Giù» rispose Lamia.

  Cominciarono a discendere Down Street. Hunter era alla testa del gruppo, con accanto Porta. Richard, che camminava vicino a Lamia, ne respirava il profumo di mughetto e caprifoglio e ne apprezzava la compagnia.

  «Sono davvero contento che tu sia venuta con noi» le disse. «Dato che sei una guida. Spero che non ti porti sfortuna.»

  Lei lo fissò con gli occhi color digitale. «Perché dovrebbe por­tarmi sfortuna?»

  «Sai chi sono i parla-coi-ratti?»

  «Certo.»

  «C'era una ragazza parla-coi-ratti di nome Anestesia. Lei... be', siamo diventati un po' amici e lei mi stava guidando in un posto. Ma poi è stata portata via. Sul Ponte della Notte. Continuo a chiedermi cosa può esserle successo.»

  Gli sorrise con aria comprensiva. «Anche tra la mia gente cir­colano storie simili. Alcune potrebbero pure essere vere.»

  «Me le devi raccontare» disse. Faceva freddo. Nell'aria gelida il suo respiro diventava fumo.

  «Un giorno o l'altro» disse Lamia, il cui respiro non si trasforma­va in vapore. «È molto gentile da parte vostra farmi venire con voi.»

  «È il minimo che possiamo fare.»

  Davanti a loro Porta e Hunter svoltarono seguendo una curva e le persero di vista.

  «Guarda,» disse Richard «ci stando distanziando. È meglio che ci affrettiamo.»

  «Lasciamole andare» disse dolcemente Lamia. «Poi le raggiun­giamo.»

  Richard provava la strana sensazione di quando, da adolescen­ti, si va al cinema con una ragazza. O meglio, era come quando si torna a casa dopo, e si indugia dietro a un cartellone pubblicitario o accanto a un muro per carpire un bacio, un frettoloso annaspare di pelle e un groviglio di lingue, per poi mettersi a correre per rag­giungere i tuoi compagni e le sue amiche.

  Lamia gli fece scorrere un dito gelido lungo la guancia.

  «Sei cosi caldo» gli disse con ammirazione. «Deve essere me­raviglioso avere tanto calore.»

  Richard tentò di apparire modesto. «In realtà, non è una cosa a cui penso molto» ammise.

  Sopra di loro, lontano, udi il suono metallico della porta del­l'ascensore che sbatteva.

  Lamia lo guardava, con aria dolce e supplichevole. «Mi daresti un po' del tuo calore, Richard?» chiese. «Sono cosi fredda.»

  Richard era in dubbio se baciarla oppure no. «Cosa? Io...»

  Lei pareva delusa. «Non ti piaccio?»
domandò. Lui sperava follemente di non avere urtato i suoi sentimenti.

  «Certo che mi piaci» si senti dire. «Sei molto carina.»

  «E tu non lo stai usando tutto, il tuo calore, vero?» sottolineò, in modo assolutamente ragionevole.

  «Suppongo di no...»

  «E hai detto che mi avresti pagata per farvi da guida. E questo è quello che voglio come compenso. Calore. Posso averne un po'?»

  Tutto quello che voleva. Tutto. Il caprifoglio e il mughetto lo avvolsero, e i suoi occhi non videro altro che una pelle pallida e scure labbra color prugna, e capelli color dell'ebano. Annuì.

  Da qualche parte dentro di lui qualcosa stava gridando, ma qua­lunque cosa fosse, poteva aspettare.

  Lamia gli mise le mani intorno al viso e lo attirò dolcemente a sé. Poi lo baciò, un bacio lungo e languido. Inizialmente Richard rimase un po' scioccato per il gelo delle labbra e il freddo della lingua, quindi si lasciò andare.

  Dopo qualche tempo, lei si ritrasse.

  Richard sentiva di avere del ghiaccio sulle labbra. Barcollò all'indietro contro il muro. Cercò di sbattere le palpebre, ma i suoi occhi erano come congelati e restarono aperti.

  Lei lo guardò e sorrise deliziata. Ora aveva la pelle rosea e ros­sa, e le labbra scarlatte. Nell'aria gelida, il suo respiro produceva vapore. Si passò la lingua sulle labbra, una calda lingua rosa su labbra vermiglie. Il mondo di Richard cominciò a oscurarsi. Gli parve di scorgere un'ombra scura al limite estremo della sua visio­ne periferica.

  «Ancora» disse Lamia. E si allungò verso di lui.

  Aveva visto la Velluto tirare a sé Richard per il primo bacio, visto la brina e il ghiaccio ricoprirgli la pelle. L'aveva vista allon­tanarlo con aria felice.

  Quindi le era arrivato accanto e, mentre si muoveva per finire quello che aveva cominciato, allungò una mano e l'afferrò, con forza, per il collo, sollevandola da terra.

  «Ridagliela» le disse all'orecchio con voce stridula. «Ridagli la sua vita.» La Velluto reagì come un gattino caduto nella vasca da bagno, dimenandosi, soffiando, sputando e graffiando, ma era inutile. La teneva saldamente per la gola.

 

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