Book Read Free

Nessun Dove

Page 26

by Neil Gaiman


  «Non puoi costringermi» disse, con un tono davvero poco mu­sicale.

  Lui aumentò la pressione. «Restituiscigli la vita» spiegò bru­sco, «o ti spezzo il collo.»

  Trasalì, e lui la spinse verso Richard.

  Lamia prese la mano di Richard e gli respirò nel naso e nella bocca. Dalla bocca di lei usci del vapore che rotolò lentamente in quella di lui. Il ghiaccio sulla pelle cominciava a sciogliersi, la bri­na sui capelli a sparire.

  Le strinse ancora il collo. «Tutta, Lamia.»

  Lei sibilò, molto a malincuore, e apri di nuovo la bocca. Un ultimo sbuffo di vapore si spostò dalla sua bocca a quella di Ri­chard e scomparve.

  Richard sbatté le palpebre.

  «Cosa mi hai fatto?» chiese.

  «Ti stava bevendo la vita» rispose il Marchese de Carabas, in un rauco sospiro. «Ti prendeva il calore, trasformandoti in una cosa gelida come lei...»

  Il volto di Lamia si contorse, come quello di un bambino pic­colo a cui è stato tolto il giocattolo preferito. Gli occhi viola lam­peggiavano. «Ne ho più bisogno io di lui!» piagnucolò.

  «Pensavo di piacerti» disse stupidamente Richard.

  Il Marchese sollevò Lamia con una sola mano e ne portò il viso accanto al suo. «Prova ad avvicinarti ancora a lui, tu o qualunque altra Bambina Velluto, e verrò alla vostra caverna di giorno, men­tre dormite, a bruciare tutto. Capito?»

  Annuì.

  La lasciò andare e lei cadde sul pavimento. Poi si rimise in pie­di, in tutta la sua altezza, che in realtà non era esagerata, piegò la testa all'indietro e sputò con forza in faccia al Marchese.

  Lamia sollevò sul davanti il lungo abito di velluto e corse via, verso l'alto.

  Uno sputo nero, freddo come il ghiaccio, scivolava sulla guan­cia del Marchese, che se lo tolse.

  «Stava per uccidermi» disse Richard.

  «Non subito» spiegò il Marchese. «Alla fine saresti morto, cer­to, ma solo quando avesse finito di mangiarti la vita.»

  Richard fissò il Marchese. Sembrava si sentisse poco bene. Non aveva il solito trench, al suo posto indossava una vecchia coperta con cui si era avvolto le spalle a mo' di poncho, con qualcosa -Richard non capiva di cosa si trattasse - legato sotto. Era a piedi nudi. Per quella che Richard interpretò come bizzarra affettazione modaiola, avvolto intorno alla gola portava un alto pezzo di stoffa scolorita.

  «La stavamo cercando» disse Richard.

  «E adesso mi avete trovato» gracidò seccamente il Marchese.

  «Ci aspettavamo di vederla al mercato.»

  «Si, be'... Qualcuno pensava che fossi morto e sono stato co­stretto a non farmi notare.»

  «Perché... perché qualcuno pensava che fosse morto?»

  Il Marchese guardò Richard con occhi che avevano visto trop­po ed erano andati troppo oltre. «Perché mi avevano ucciso» dis­se. «Andiamo, non possono essere tanto lontane.»

  Richard guardò al di là del ciglio del sentiero, al di là del pozzo centrale. Dall'altra parte poteva vedere Porta e Hunter, a un livello inferiore rispetto a lui. Si guardavano intorno - probabilmente lo cercavano. Le chiamò, urlando e agitando le braccia, ma il suono non veniva trasmesso.

  Il Marchese appoggiò la mano sul braccio di Richard. «Guar­da» disse. Indicava il livello al di sotto di Porta e Hunter. Qualco­sa si muoveva. Richard socchiuse gli occhi: riusciva a scorgere due figure, appostate nell'ombra.

  «Croup e Vandemar» disse il Marchese. «È una trappola.»

  «Cosa facciamo?»

  «Corri!» disse il Marchese. «Avvertile. Io non posso correre... Vai, dannazione!»

  E Richard corse. Corse più forte che poteva, più in fretta che poteva, lungo la strada di pietra che scendeva sotto il mondo. Sen­tì un improvviso dolore lancinante al petto: una fitta. Ma proseguì, e continuò a correre.

  Svoltò un angolo e le vide.

  «Hunter! Porta!» rantolò, affannato. «Fermatevi! Attente!»

  Porta si girò.

  Mister Croup e mister Vandemar uscirono da dietro una colon­na. Mister Vandemar strattonò con violenza le braccia di Porta e con un'unica mossa gliele legò dietro la schiena con una striscia di nylon.

  Mister Croup teneva in mano qualcosa di lungo e sottile in una sacca di tela marrone, simile a quella che il padre di Richard usava per trasportare le canne da pesca.

  Hunter era rimasta ferma, a bocca aperta.

  «Hunter! Presto.»

  Lei ruotò su se stessa, sollevando un piede verso l'esterno, con un movimento fluido, quasi da ballerina.

  Il piede colpì Richard in pieno stomaco. Lui cadde a terra, pie­gato in due, senza fiato e dolorante.

  «Hunter?» boccheggiò.

  «Mi dispiace ma è cosi» disse Hunter.

  Mister Croup e mister Vandemar non degnavano né Richard né Hunter della benché minima attenzione. Mister Vandemar era im­pegnato a legare i polsi di Porta, mentre mister Croup se ne stava in piedi a guardare.

  «Non devi pensare a noi come ad assassini e tagliagole, signo­rina» stava dicendo amabilmente mister Croup. «Pensa a noi come a un servizio di accompagnatori.»

  «Senza prestazioni extra, però» aggiunse mister Vandemar.

  Mister Croup si rivolse a mister Vandemar. «Accompagnatori nel senso di scorta. Per assicurare che la nostra bella lady arrivi sana e salva dove deve arrivare. Non la stavo paragonando né a un gigolò d'alto bordo né a una comune lucciola di strada, mister Vandemar.»

  Mister Vandemar non si era ancora rabbonito. «Ha detto che eravamo un servizio di accompagnatori» brontolò. «So cos'è.»

  «Lo cancelli dal verbale, mister Vandemar. Non mi sono espres­so bene. D'ora in poi consideriamoci chaperon. Guardie. Cavalieri.»

  Mister Vandemar si grattò il naso con un anello di teschio di corvo. «D'accordo» disse.

  Mister Croup si voltò verso Porta e le sorrise, mostrando molti denti. «Vedi, Lady Porta. Dobbiamo assicurarci che arrivi sana e salva a destinazione.»

  Porta lo ignorò. «Hunter» gridò. «Cosa succede?»

  Mister Croup fece un ampio sorriso di orgoglio. «Prima di ac­cettare di lavorare per te, Hunter aveva accettato di lavorare per il nostro principale. Prendendosi cura di te.»

  «Te l'avevamo detto» si vantò mister Vandemar. «Te l'aveva­mo detto che uno di voi era un traditore.» Piegò la testa all'indie­tro e ululò come un lupo.

  «Credevo parlaste del Marchese» disse Porta.

  Mister Croup si grattò la testa, con mossa teatrale. «Parlando del Marchese, mi chiedo dove sia. Sembra scomparso, vero, mi­ster Vandemar?»

  «Già, proprio scomparso, mister Croup. Davvero scomparso.»

  «Al punto che d'ora in avanti dovremo chiamarlo lo scompar­so Marchese de Carabas. Purtroppo è giusto un pochino...»

  «Morto stecchito» concluse mister Vandemar.

  Richard, che respirava affannosamente e si contorceva a terra, riuscì a inspirare abbastanza aria nei polmoni da rantolare, «Tu, puttana traditrice.»

  Hunter abbassò lo sguardo. «Niente di personale» mormorò.

  «La chiave che avete preso dai Frati Neri,» chiese mister Croup a Porta «chi ce l'ha?»

  «Ce l'ho io» ansimò Richard. «Potete perquisirmi, se volete.» Si frugò nelle tasche - accorgendosi di qualcosa di duro e per nien­te familiare nella tasca posteriore, ma in quel momento non c'era il tempo di investigare - e ne tirò fuori la chiave della porta d'in­gresso del suo vecchio appartamento. Si trascinò in piedi e barcol­lò fino a mister Croup e mister Vandemar. «Ecco.»

  Mister Croup allungò una mano e gli prese la chiave di ottone. «Accidentaccio, mister Vandemar» disse, senza quasi degnarla di uno sguardo. «Mi sono lasciato completamente abbindolare da questa astuta manovra.» Passò la chiave a mister Vandemar, che la tenne tra pollice e indice e la accartocciò come fosse carta stagno­la. «Imbrogliati ancora, mister Croup» disse.

  «Gli faccia male, mister Vandemar» disse mister Croup.

  «Con piacere, mister Croup» disse mister Vandemar, assestan­do a Richard un calcio s
ulla rotula. Richard cadde a terra in ago­nia, tenendosi la gamba.

  Come proveniente da un luogo lontanissimo, poteva udire la voce di mister Vandemar. Sembrava stesse tenendo una conferen­za. «La gente pensa che sia la forza a fare male» diceva la voce di mister Vandemar. «Ma non è come sferri il calcio che conta. È dove. Voglio dire, questo è davvero un calcetto gentile...»

  Qualcosa sbatté contro la spalla sinistra di Richard. Il braccio era completamente intorpidito, e un fiore di dolore gli sbocciò sul­la spalla. Gli sembrava che tutta la parte sinistra andasse a fuoco, e congelasse, come se qualcuno gli avesse infilato uno stimolatore elettrico nella carne e avesse dato il massimo di corrente. Si mise a piagnucolare. E mister Vandemar diceva:

  «... Ma fa male quanto questo - che è molto più forte...»

  Lo stivale si conficcò nel fianco di Richard come una palla di cannone. Riusciva a sentirsi urlare e singhiozzare, e avrebbe tanto desiderato sapere come fare a smettere.

  «Ce l'ho io la chiave» senti dire Porta.

  «Se tu avessi un coltellino svizzero» continuava mister Vandemar rivolto a Richard con tono servizievole, «potrei farti vedere come si usano tutti i pezzi. Anche l'apribottiglie, e gli attrezzi per togliere i sassi dagli zoccoli dei cavalli.»

  «Lo lasci, mister Vandemar. Ci sarà tutto il tempo per i coltel­lini svizzeri. Allora, vediamo se ha il lasciapassare.»

  Mister Croup frugò nelle tasche di Porta e prese la statuetta scolpita nell'ossidiana: la piccola Bestia.

  La voce di Hunter era bassa e sonora. «E io? Dov'è il mio com­penso?»

  Mister Croup tirò su col naso e le lanciò la sacca per le canne da pesca. Lei l'afferrò con una mano.

  «Buona caccia» disse mister Croup. Poi lui e mister Vandemar si voltarono e si incamminarono lungo la tortuosa discesa di Dawn Street, con Porta nel mezzo.

  Hunter si inginocchiò e cominciò a sciogliere i lacci della bor­sa. Aveva gli occhi grandi e luminosi.

  Richard giaceva a terra e la osservava.

  «Cos'è?» chiese. «Trenta denari?»

  Lei la estrasse, lentamente, dalla guaina di stoffa, accarezzan­dola e lisciandola con le dita. Amandola.

  «Una lancia» disse.

  Era fatta di un metallo color bronzo; la lama era lunga e ricurva come un kris, tagliente da un lato, seghettata dall'altro; dei volti erano stati scolpiti sull'impugnatura, che appariva verde di verderame, e decorata con strani disegni e insolite volute. Era lunga cir­ca un metro e mezzo, dalla punta della lama alla fine dell'impu­gnatura. Hunter la toccava quasi con timore, come fosse la cosa più bella che avesse mai visto.

  «Hai venduto Porta per una lancia» disse Richard.

  Lei non rispose. Si inumidì le dita con la lingua rosea e con dolcezza le passò lungo la lama, controllando l'affilatura; sembrò soddisfatta.

  «Hai intenzione di uccidermi?» chiese Richard.

  Allora lei voltò la testa e lo guardò. Sembrava più viva che mai, più bella e più pericolosa. «E che razza di sfida sarebbe cac­ciare te, Richard Mayhew? Ho un avversario ben più grande da uccidere.»

  «Quella è la tua lancia per la caccia alla Grande Bestia di Lon­dra, vero?»

  Lei guardava la lancia come mai nessuna donna aveva guarda­to Richard. «Dicono che nulla le possa tenere testa.»

  «Ma Porta si fidava di te. Io mi fidavo di te.»

  «Basta.»

  Lentamente, il dolore cominciava a scemare, riducendosi a un sordo indolenzimento alla spalla, al fianco e al ginocchio. «Allora, per chi lavori? Dove la stanno portando? Chi c'è dietro tutto questo?»

  «Diglielo, Hunter» stridette il Marchese de Carabas.

  Teneva una balestra puntata contro Hunter, i piedi nudi ben piantati per terra, e aveva sul viso un'aria implacabile.

  «Mi chiedevo se eri davvero morto come dicevano Croup e Vandemar» disse Hunter. «Mi avevi dato l'impressione di uno duro da uccidere.»

  Lui piegò il capo, in un ironico inchino. «Anche tu mi dai la stessa impressione, cara signora. Ma una freccia di balestra nella gola e una caduta di un centinaio di metri potrebbero smentirmi, ti pare? Posa la lancia e fai un passo indietro.»

  Appoggiò la lancia a terra, con gentilezza, con amore. Poi si alzò e si allontanò.

  «Puoi anche dirglielo, Hunter» disse il Marchese. «Io lo so. Ho trovato la strada difficile. Digli chi sta dietro a tutto questo.»

  «Islington» rispose lei.

  Richard scosse il capo, come se stesse cercando di scacciare una mosca. «Non può essere» disse. «Cioè, ho incontrato Islington. È un angelo.» Poi, in tono quasi disperato, «Perché?»

  Il Marchese non aveva staccato gli occhi da Hunter e la punta della balestra non aveva vacillato. «Vorrei saperlo. Ma Islington è in fondo a Down Street e in fondo a questa storia. E tra noi e Islington ci sono il labirinto e la Bestia. Richard, prendi la lancia. Hun­ter, davanti a me, per favore.»

  Richard sollevò la lancia poi, goffamente, utilizzandola come punto di appoggio, si rimise in piedi. «Vuole che venga con noi anche lei?» chiese, stupito.

  «Preferiresti averla alle spalle?» domandò secco il Marchese.

  Richard scosse il capo.

  E ricominciarono a scendere.

  SEDICI

  Camminarono in silenzio per ore, seguendo la sinuosa strada di pietra che portava in basso. Richard era ancora dolorante e zoppi­cava. Inoltre provava una strana agitazione fisica e mentale: den­tro di lui si rincorrevano sensazioni di sconfitta e tradimento che, associate al rischio di perdere la vita a causa di Lamia, al danno inflittogli da mister Vandemar e all'esperienza sulla passerella là in alto, lo facevano sentire un vero rottame. E, tanto per peggiora­re ulteriormente le cose, era assolutamente certo che tutte le sue esperienze dell'ultimo giorno sarebbero impallidite fino a diventa­re qualcosa di assolutamente insignificante se paragonate a quello che doveva avere passato il Marchese. Perciò, non diceva nulla.

  Il Marchese stava in silenzio, dato che ogni parola che pronun­ciava gli faceva dolere la gola. Si accontentava di lasciarla guarire e di concentrarsi su Hunter. Sapeva che se avesse distolto l'attenzione anche per un solo istante, lei se ne sarebbe accorta e sarebbe scappata, o li avrebbe attaccati. Perciò, non diceva nulla.

  Hunter camminava davanti a loro, a qualche passo di distanza. Anche lei non diceva nulla.

  Dopo un po' raggiunsero la fine di Down Street. La strada ter­minava con un cancello, un ampio passaggio ciclopico - costruito con enormi blocchi di pietra grezza.

  Quel cancello l'hanno costruito i giganti, pensò Richard, senza però saper dire come avesse avuto quell'intuizione.

  Da molto tempo il cancello vero e proprio si era arrugginito e sgretolato. Ne potevano ancora vedere dei frammenti nel fango sotto i loro piedi o inutilmente penzolanti dal cardine arrugginito a lato dell'ingresso. Il cardine era più alto di Richard.

  Il Marchese fece cenno a Hunter di fermarsi. Si inumidì le lab­bra e disse, «Questo cancello segna la fine di Down Street e l'ini­zio del labirinto. Oltre il labirinto attende l'Angelo Islington. Nel labirinto c'è la Bestia.»

  «Io ancora non capisco» disse Richard. «Islington. L'ho incon­trato sul serio. Esso... Egli... Lui è un angelo. Voglio dire... un vero angelo.»

  Il Marchese sorrise, senza ironia. «Quando gli angeli vanno a male, Richard, marciscono più di chiunque altro. Ricordati che an­che Lucifero era un angelo.»

  Hunter fissò Richard con occhi color marron glacé. «Il luogo che hai visitato tu è la cittadella di Islington, e la sua prigione. Non può lasciarla.»

  Il Marchese la guardò. «Presumo che il labirinto e la Bestia sia­no qui per scoraggiare i visitatori.»

  Lei chinò il capo. «Così presumo anch'io.»

  Richard si rivolse al Marchese, eruttando tutta la rabbia, l'im­potenza e la frustrazione in un'unica iraconda esplosione. «Perché diamine le rivolge la parola? Perché quella sta ancora con noi? È una traditrice - ha cercato di farci credere che il traditore era lei.»

  «E ti ho salvato la vita, Richard Mayhew»
disse Hunter, paca­ta. «Molte volte. Sul ponte. Allo Spazio Vuoto. Sulla passerella là sopra.»

  Lo guardò negli occhi, e fu Richard a distogliere lo sguardo.

  Qualcosa echeggiò attraverso i tunnel: un muggito, o un ruggi­to. I peli sulla nuca di Richard si drizzarono. Era molto lontano, ma quello era l'unico aspetto della cosa che poteva dargli un mini­mo di conforto. Conosceva quel suono. L'aveva già udito nei suoi sogni. Non pareva né un toro né un cinghiale. Sembrava un leone. Sembrava un drago.

  «Il labirinto è uno dei luoghi più antichi di Londra Sotto» spie­gò il Marchese. «Prima che re Lud fondasse il villaggio sulle palu­di del Tamigi, qui c'era un labirinto.»

  «Nessuna Bestia, però» disse Richard.

  «Non a quel tempo.»

  Richard esitò. Il ruggito lontano si fece udire di nuovo. «Io... io credo di avere sognato della Bestia» disse.

  Il Marchese inarcò un sopracciglio. «In che tipo di sogni?»

  «Brutti» rispose Richard.

  Il Marchese ci pensò sopra, gli occhi che guizzavano. Poi disse, «Senti, Richard, io porto Hunter. Se tu vuoi aspettare, be', nes­suno ti accuserà di codardia.»

  Richard scosse il capo. A volte non hai alternative. «Non torno sui miei passi. Non ora. Hanno preso Porta.»

  «D'accordo» disse il Marchese. «Bene, allora. Andiamo?»

  Le perfette labbra di zucchero caramellato di Hunter si contor­sero in un ghigno. «Dovete essere pazzi per andare là dentro» dis­se. «Senza il pegno dell'angelo non riuscirete mai a trovare la stra­da. Non supererete mai il cinghiale.»

  Il Marchese infilò la mano sotto la coperta poncho e ne estrasse la statuina di ossidiana presa nello studio del padre di Porta. «In­tendi uno di questi?» domandò.

  In quel momento il Marchese pensò che molto di quello che aveva passato la settimana precedente era compensato dall'espres­sione sul viso di Hunter. Superarono il cancello, entrando nel labi­rinto.

  Porta aveva le mani legate dietro la schiena e mister Vandemar la spingeva avanti appoggiandole una manona sulla spalla. Mister Croup li precedeva a passi rapidi, tenendo ben alto e visibile il talismano di ossidiana preso alla ragazza, e scrutava nervosamente da una parte e dall'altra, come una donnola sul punto di razziare un pollaio.

 

‹ Prev