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Nessun Dove

Page 31

by Neil Gaiman


  Il taxista accusò Richard di volersi prendere gioco di lui, e tenne il broncio per tutto il tragitto di cinque minuti lungo lo Strand. A Richard non importava e gli diede comunque una mancia assurda.

  Quindi si diresse verso il suo ufficio.

  Mentre entrava nel palazzo, senti che il sorriso gli si dileguava dalla faccia. A ogni passo era più ansioso e a disagio. E se fosse stato ancora senza lavoro? E se bambini ricoperti di cioccolato e taxisti avessero potuto vederlo ma fosse rimasto invisibile ai colleghi? E se...

  Il signor Figgis, la guardia di sicurezza, alzò lo sguardo da una copia di Capricciose ninfette adolescenti, nascosta all'interno di una copia del Sun, e tirò su col naso.

  «'Giorno signor Mayhew» disse. Non era un «buongiorno» di benvenuto. Era il tipo di «buongiorno» che implica che a chi lo pronuncia non importa un fico secco se la persona a cui è rivolto vive o muore - né, peraltro, se è giorno o sera.

  «Figgis!» esclamò Richard pieno di gioia. «Salve anche a lei, signor Figgis, la nostra eccezionale guardia di sicurezza!»

  Nessuno aveva mai detto una cosa simile al signor Figgis, nem­meno le signorine nude che popolavano la sua immaginazione. Fis­sò Richard con sospetto finché non fu entrato nell'ascensore, spa­rendo alla vista. Quindi tornò a rivolgere la propria attenzione alle capricciose ninfette adolescenti, nessuna delle quali, cominciava seriamente a sospettare, aspettava ancora ventinove candeline, lec­ca-lecca o non lecca-lecca.

  Richard usci dall'ascensore e si diresse, un po' esitante, verso il corridoio.

  Sarà tutto a posto, continuava a ripetersi. Basta che la mia scri­vania sia ancora li. Se c'è la scrivania, andrà tutto bene.

  Camminava nel grande ufficio open-space in cui aveva lavora­to per tre anni. C'era gente che lavorava alla scrivania, parlava al telefono, scartabellava negli schedari, beveva del cattivo tè e un caffè anche peggiore. Era il suo ufficio.

  E c'era uno spazio accanto alla finestra dove un tempo stava la sua scrivania, e che ora era occupato da un grigio insieme di mo­bili da archivio e da una yucca.

  Stava per voltarsi e scappare quando qualcuno gli allungò del tè in una tazza di plastica.

  «Il ritorno del figliol prodigo, eh?» disse Garry. «Eccoti qui.»

  «Ciao, Garry» disse Richard. «Dov'è la mia scrivania?»

  «Da questa parte» rispose Garry. «Com'era Maiorca?»

  «Maiorca?»

  «Non vai sempre a Maiorca?» domandò Garry. Stavano salen­do le scale che portano al quarto piano.

  «Non questa volta» disse Richard.

  «Stavo proprio per dirti che non sei granché abbronzato.»

  «No» convenne Richard. «Be', sai, avevo voglia di cambiare.»

  Garry annui. Indicò una porta che, nel periodo in cui Richard aveva lavorato li, era sempre stata quella della stanza delle prati­che dei dirigenti e del magazzino.

  «Volevi cambiare, eh? Be', questo mi sembra davvero un bel cambiamento. Posso essere il primo a congratularmi?»

  La targa sulla porta diceva

  R.O. MAYHEW

  SOCIO GIOVANE

  «Congratulazioni» ripeté Garry.

  Si allontanò, e Richard entrò nel nuovo ufficio.

  C'era la sua scrivania. I troll erano stati accuratamente riposti in un cassetto, quindi li prese e li posizionò in giro per la stanza. Aveva una finestra tutta sua, con una bella vista sul fiume e la sponda sud. C'era persino una grande pianta verde, con lunghe foglie lucide, del tipo che sembra finta ma non lo è. Il monitor del computer color crema era stato sostituito da uno nero molto più sottile che occupava meno spazio sulla scrivania.

  Guardò fuori dalla finestra sorseggiando il tè.

  «Hai trovato tutto a posto, allora?»

  Alzò gli occhi. Vivace ed efficente, Sylvia, la PR dell'AD, sta­va sulla soglia e gli sorrideva.

  «Hmm. Si. Senti, ci sono delle cose di cui mi devo occupare a casa... pensi che andrebbe bene se mi prendessi il resto della gior­nata e...»

  «Fai pure. Non era previsto che tornassi prima di domani, co­munque.»

  «A no?» chiese. «Bene.»

  Sylvia aggrottò le sopracciglia. «Cosa ti è successo al dito?»

  «L'ho rotto» le rispose Richard.

  Lei gli osservò le mani con aria preoccupata. «Non sei stato coinvolto in una rissa, vero?»

  «Io?»

  La donna sorrise. «Ti stavo solo prendendo in giro. Immagino te lo sia chiuso in una porta. Mia sorella ha fatto cosi.»

  «No» sbottò Richard. «È stato in una ri...» Sylvia inarcò un so­pracciglio. «Una porta» concluse, in modo poco convincente.

  Al vecchio appartamento andò in taxi. Non era sicuro di potersi fidare a prendere la metropolitana. Non ancora.

  Non avendo la chiave, bussò alla porta di casa sua e fu molto deluso quando venne aperta dalla donna che ricordava di avere in­contrato, o meglio di non essere riuscito a incontrare, nel bagno.

  Si presentò come l'inquilino precedente e stabili che a) lui, Ri­chard, non abitava più li, e b) la signora non aveva la minima idea di quale fosse stata la sorte degli oggetti di sua proprietà. Richard prese degli appunti, quindi salutò gentilmente e chiamò un altro taxi per andare a trovare l'uomo con il cappotto di pelo di cam­mello.

  L'uomo con il cappotto di pelo di cammello non indossava il cappotto, e in realtà aveva un tono molto meno suadente dell'ulti­ma volta che l'aveva visto.

  Erano seduti nel suo ufficio, e l'uomo aveva ascoltato i rimpro­veri di Richard con l'espressione di chi abbia accidentalmente in­ghiottito un ragno vivo e cominci a sentirlo muoversi.

  «Be', si» ammise, dopo avere consultato l'archivio. «Sembra essersi verificato qualche piccolo problema, ora che me lo fa nota­re. Non capisco proprio come possa essere accaduto.»

  «A questo punto non credo sia importante come è successo» disse molto ragionevolmente Richard. «Quello che conta è che mentre io mi sono allontanato per qualche settimana voi avete affittato il mio appartamento a...» consultò gli appunti «George e Adele Buchanan. Che non hanno nessuna intenzione di andarsene.»

  L'uomo richiuse la cartellina della pratica. «Be',» disse «capita a tutti di sbagliare. Errore umano. Purtroppo non possiamo farci nulla.»

  Richard era perfettamente consapevole che il vecchio Richard, quello che abitava nell'appartamento che ora era dei signori Bu­chanan, a questo punto sarebbe andato in pezzi, si sarebbe scusato del disturbo e avrebbe lasciato l'ufficio. Invece, disse, «Davvero? Non potete farci nulla? Voi affittate ad altri una proprietà che io avevo legalmente preso in affitto dalla vostra società, nell'opera­zione perdo tutti i miei effetti personali, e lei dice che non potete farci nulla? Vede, penso proprio, e sono certo che anche il mio avvocato sarà della stessa opinione, che ci sia invece molto che potete fare.»

  Sembrava che il ragno ingoiato dall'uomo senza il cappotto di pelo di cammello stesse cominciando a risalirgli la gola. «Ma non abbiamo altri appartamenti liberi come il suo nel palazzo» disse. «C'è solo la suite all'attico.»

  «Quella» disse con freddezza Richard «andrà benissimo...»

  L'uomo si rilassò.

  «... Per quanto riguarda l'alloggio. Ora» continuò «parliamo del risarcimento per la perdita dei beni.»

  Il nuovo appartamento era molto più gradevole di quello che aveva lasciato. Aveva più finestre, un balcone, un salotto spazioso e una camera per gli ospiti vera e propria. Ma Richard si aggirava scontento tra le stanze.

  Estremamente a malincuore, l'uomo-senza-il-cappotto-di-pelo-di-cammello aveva fatto portare nell'appartamento un letto, un di­vano, svariate sedie e un televisore.

  Richard appoggiò il pugnale di Hunter sulla mensola del camino.

  Aveva comprato del cibo al curry nel ristorante indiano take-away sull'altro lato della strada e si sedette a mangiarlo sul pavi­mento moquettato del suo nuovo appartamento, chiedendosi se aveva davvero mangiato curry la sera tardi a un mercato tenuto sul ponte di un incrociatore ormeggiato accanto al Tower Bridge. Non sembrava molto probabile,
a pensarci bene.

  Il campanello suonò e si alzò per aprire la porta.

  «Abbiamo trovato buona parte della sua roba, signor Mayhew» disse l'uomo che indossava di nuovo il cappotto di pelo di cam­mello. «Si è scoperto che era stata messa in un deposito. Bene, portate tutto dentro, ragazzi.»

  Un paio di uomini corpulenti trascinarono all'interno parecchie casse di tè piene degli oggetti di Richard.

  «Grazie» disse Richard.

  Allungò la mano nella prima cassa e tolse la carta che avvolgeva il primo oggetto, che risultò essere una fotografia incorniciata di Jessica. La fissò per qualche istante, poi la rimise nella cassa da imballaggio.

  Infine trovò quella che conteneva i vestiti e la vuotò, ma le al­tre rimasero in mezzo alla stanza cosi com'erano arrivate. Con il passare dei giorni si sentiva sempre più in colpa per non avere sistemato il contenuto delle casse, ma continuò a non farlo.

  Quando squillò il cicalino dell'interfono, era nel suo ufficio, se­duto alla sua scrivania, a guardare fuori dalla sua finestra. «Ri­chard?» disse Sylvia. «L'amministratore delegato richiede una riu­nione nel suo ufficio tra venti minuti per discutere il rapporto Wandsworth.»

  «Ci sarò» rispose.

  Poi, dato che non aveva altro da fare per i successivi dieci mi­nuti, prese in mano un troll arancione e con esso minacciò un troll dai capelli verdi, leggermente più piccolo.

  «Sono il più forte guerriero di Londra Sotto. Preparati a mori­re!» disse, con una temibile voce da troll, agitando il troll arancio­ne. Quindi prese quello dai capelli verdi e disse, «Aha! Ma prima devi bere una buona tazza di tè...»

  Qualcuno bussò alla porta e, sentendosi colto in fallo, rimise a posto i troll.

  «Avanti!»

  La porta si apri e apparve Jessica, che si fermò sulla soglia. Sembrava nervosa.

  Aveva dimenticato quanto fosse bella.

  «Ciao Richard» disse.

  «Ciao Jess» rispose Richard, poi si corresse. «Scusa - Jessica.»

  Lei sorrise, scuotendo i capelli. «Oh, Jess va benissimo.» Pare­va quasi che dicesse sul serio. «Jessica - Jess. Nessuno mi chiama Jess da cosi tanto tempo. Ne sento la mancanza.»

  «Dunque,» disse Richard «cosa ti porta, sono onorato... tu, hmm...»

  «In realtà volevo solo vederti.»

  Non sapeva bene cosa dire. Decise per «È una cosa carina.»

  Lei chiuse la porta dell'ufficio e fece qualche passo verso di lui.

  «Richard. Vuoi sapere una cosa strana? Ricordo di avere rotto il fidanzamento, ma non riesco a ricordare perché abbiamo litigato.»

  «No?»

  «Non è una cosa importante, comunque. Vero?» Si guardò in­torno. «Hai avuto una promozione.»

  «Si.»

  «Sono felice per te.» Si infilo una mano nella tasca del cappot­to e ne tolse una scatolina marrone. La appoggiò sulla scrivania di Richard.

  Lui la apri, anche se sapeva benissimo cosa conteneva.

  «È l'anello di fidanzamento. Pensavo che, be', forse potrei re­stituirtelo e poi, be', se le cose funzionassero, be', forse un giorno potresti regalarmelo di nuovo.»

  Brillava al sole: la più grande quantità di denaro che avesse mai speso in assoluto.

  Chiuse la scatola e gliela restituì.

  «Tienilo, Jessica» disse. Poi aggiunse, «Mi dispiace.»

  Lei si morse il labbro inferiore. «Hai incontrato un'altra?»

  Lui esitò. Pensò a Lamia, a Hunter, a Anestesia, e persino a Porta, ma nessuna di loro era l'altra che intendeva lei.

  «No. Nessuna» rispose. Poi, rendendosi conto mentre lo diceva che era la verità, «Semplicemente sono cambiato. Tutto qui.»

  L'interfono squillò. «Richard? Ti stiamo aspettando.»

  Premette un pulsante. «Arrivo subito, Sylvia.» Guardò Jessica.

  Lei non diceva nulla. Forse non si fidava delle parole che avrebbe potuto dire. Se ne andò, chiudendosi lentamente la porta alle spalle.

  Con una mano Richard prese le carte e i documenti che gli ser­vivano, mentre si passava l'altra sul viso, cancellando qualcosa: dispiacere, forse, oppure lacrime, oppure Jessica.

  Aveva ricominciato a prendere la metropolitana per andare e tornare dall'ufficio. Acquistava i giornali da leggere al mattino e alla sera, ma invece di farlo preferiva scrutare i volti degli altri passeggeri, chiedendosi se erano tutti di Londra Sopra, chiedendo­si cosa passava dietro i loro occhi.

  Durante l'ora di punta serale, qualche giorno dopo l'incontro con Jessica, gli parve di scorgere Lamia dall'altra parte del vago­ne, che gli dava le spalle, i capelli raccolti in alto sulla nuca e il vestito lungo e nero. Il cuore cominciò a battergli forte nel petto.

  Si fece largo tra la gente stipata nel vagone. Mentre si avvici­nava, arrivarono a una stazione dove la ragazza scese. Ma non si trattava di Lamia: era semplicemente un'altra giovane barbara lon­dinese pronta per una lunga serata. Se ne accorse con disappunto.

  Un mercoledì vide un grosso ratto marrone seduto sui bidoni della spazzatura sul retro di Newton Mansions, il palazzo dove abi­tava, con l'aria di essere il padrone del mondo.

  All'arrivo di Richard scivolò sul marciapiede e attese all'om­bra del bidone, fissandolo con i piccoli occhi neri.

  Richard si accovacciò li vicino.

  «Salve» disse con cortesia. «Ci conosciamo?»

  Il ratto non disse nulla ma non fuggì.

  «Io mi chiamo Richard» continuò a bassa voce. «In realtà non sono un parla-coi-ratti, ma, hmm, conosco qualche ratto e mi chie­devo se sei amico di Lady Porta...»

  Senti un rumore di scarpe alle sue spalle, e si voltò per vedere i Buchanan che lo osservavano incuriositi.

  «Ha... perso qualcosa?» chiese la signora Buchanan.

  Richard udì, ma ignorò, lo sgarbato sussurro del marito. «Solo qualche rotella.»

  «No,» rispose Richard in tutta sincerità «stavo, hmm, salutando un...»

  Il ratto si affrettò ad allontanarsi.

  «Era un ratto?» abbaiò George Buchanan. «Protesterò in comu­ne. È una vergogna. Ma questa è la Londra che fa per lei, vero?»

  Si, convenne Richard. Era proprio vero.

  La sua roba continuava a rimanere nelle casse in mezzo al sa­lotto.

  Non accendeva neppure il televisore. Alla sera tornava a casa a mangiare. Poi si metteva alla finestra e guardava Londra, le auto, i tetti, le luci, mentre il crepuscolo diventava notte e le luci si pro­pagavano in tutta la città. E alla fine, riluttante, si spogliava, anda­va a letto e provava a dormire.

  Sylvia entrò nel suo ufficio un venerdì pomeriggio.

  Lui stava aprendo delle lettere usando un pugnale - il pugnale di Hunter - come tagliacarte.

  «Richard?» disse. «Mi chiedevo. Stai uscendo molto in questo periodo?»

  Lui scosse il capo.

  «Be', stasera facciamo un'uscita di gruppo. Ti andrebbe di unir­ti a noi?»

  «Hmm, si, certo» rispose Richard. «Mi divertirò di sicuro.»

  Si annoiava a morte.

  Erano in otto: Sylvia e il suo ragazzo, che aveva a che fare con le auto d'epoca, Garry della sezione conti aziendali, che aveva rot­to da poco con la fidanzata a causa di un malinteso (lui aveva cre­duto che sarebbe stata molto più comprensiva riguardo al fatto che andava a letto con la sua migliore amica di quanto in realtà si era rivelata una volta scoperta la cosa), diverse persone carine e amici di persone carine, e la nuova ragazza dell'assistenza computer.

  Per prima cosa andarono a vedere un film all'Odeon, in Leicester Square. Alla fine vinceva il buono, e nelle fasi intermedie c'erano esplosioni e oggetti volanti in grande quantità.

  Mangiarono a La Reache, in Old Compton Street, dove si rim­pinzarono di couscous e piccoli bocconcini esotici, poi si sposta­rono in un pub che piaceva a Sylvia, in Berwick Street, dove bevvero alcuni drink e si misero a chiacchierare.

  Con il trascorrere della serata, la nuova ragazza dell'assistenza computer sorrideva molto in direzione di Richard, e a lui non ve­niva in mente niente da dirle. Pag
ò un giro di drink e la ragazza dell'assistenza computer lo aiutò a portare i bicchieri al tavolo.

  Garry andò in bagno, e la ragazza dell'assistenza computer si mise a sedere accanto a Richard, al posto che fino a quel momento era stato di Garry. La testa di Richard era piena del tintinnio dei bicchieri e del chiasso assordante del juke box, dell'odore di birra e Bacardi rovesciato, e di fumo di sigaretta. Cercava di seguire la conversazione che si svolgeva al tavolo e si accorse di non riuscire più a concentrarsi su quello che veniva detto, e che comunque non era minimamente interessato a nessuno dei brani di frase che riu­sciva a cogliere.

  E allora gli fu tutto chiaro, come se stesse vedendo l'azione sul grande schermo dell'Odeon di Leicester Square: quella sera sarebbe tornato a casa con la ragazza dell'assistenza computer e avreb­bero fatto l'amore, e dato che il giorno dopo era sabato, avrebbero passato la mattinata a letto. Poi si sarebbe alzato, e insieme avreb­bero disfatto tutta la roba impacchettata nelle casse, e nell'arco di un anno avrebbe sposato la ragazza dell'assistenza computer e ot­tenuto un'altra promozione, avrebbero avuto due bambini, un ma­schio e una femmina, e si sarebbero spostati in periferia, a Harrow, a Croydon o a Hampstead, o forse addirittura a Reading.

  E non sarebbe stata una brutta vita. Sapeva anche quello. A volte non ha alternative.

  Quando Garry tornò dalla toilette si guardò intorno con stupo­re. C'erano tutti tranne...

  «Richard?» chiese.

  La ragazza dell'assistenza computer si strinse nelle spalle.

  Garry usci in Berwick Street. Il freddo della notte ebbe sul suo viso l'effetto di una secchiata d'acqua. Poteva sentire l'inverno nell'aria. Gridò, «Dick? Ehi? Richard?»

  «Sono qui.»

  Richard se ne stava appoggiato contro al muro, nell'ombra. «Volevo solo prendere un po' d'aria fresca.»

  «Stai bene?» chiese Garry.

  «Si» rispose Richard. «No. Non lo so.»

  «Be', questo copre tutte le possibilità. Ne vuoi parlare?»

  Richard lo guardò con aria seria. «Riderai di me.»

 

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