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Rune

Page 23

by Christopher Fowler


  Andarono a sedersi in uno snack bar pieno di vapore in Charing Cross Road, e May aspettò paziente mentre il collega mette­va sei zollette di zucchero nel tè e cominciava a parlare svelto sottovoce.

  — Senti, John, ho un indovinello per te. Quand'è che un inci­dente non è un incidente? Quando si scopre che è un omicidio. Come si fa a dimostrare che un incidente è un omicidio? Colle­gando la morte a un elemento estraneo colpevole. Ma un inci­dente, per sua natura, non ha un elemento estraneo colpevole. Anatema! Inutile lambiccarsi il cervello. Invece, dobbiamo pre­sumere che un omicidio possa essere camuffato da incidente, in modo così convincente che perfino i testimoni del delitto non hanno dubbi e credono ai loro occhi. — Bryant spezzettò una ciambellina zuccherata e ne lasciò cadere un pezzo nel tè.

  — Poi dobbiamo separare le vittime degli omicidi dai suicidi veri e da quelli morti in normali incidenti. Be', naturalmente, cerchiamo un legame comune, ma con tante carte false nel mazzo, com'è possibile? Meglio chiederci chi stiamo cercando. Un pazzo? Difficile. C'è troppo metodo nella sua pazzia. Un uomo sano di mente ha uno scopo sensato, ma quale potrebbe essere? La vendetta, forse? L'eliminazione dei nemici, reali o presunti. Come potrebbe un solo uomo avere tanti nemici diversi? Attra­verso qualche circolo sociale? Ma le vittime non hanno alcun rapporto sociale tra loro. Conoscenze di lavoro, allora? Un con­corrente che nutre del risentimento? Ma come potrebbe un uo­mo solo commettere in pratica un genocidio? Un gruppo di uo­mini, allora? Diciamo che siamo di fronte a un gruppo di uomini, che agiscono seguendo uno schema, in base a un piano preciso.

  — I rivali d'affari combattono a colpi di prezzi, di spionaggio industriale, Arthur. Non si sbarazzano della concorrenza usando maledizioni runiche.

  — Se hanno trovato il modo di utilizzarle efficacemente, per­ché no?

  May passò un dito sull'orlo della tazza. — Perché non credo alle forze soprannaturali — rispose infine.

  — Chi ha parlato di soprannaturale? Forse è una specie di ver­sione tecnologica di una maledizione. Il microchip assassino. Tu in particolare dovresti credere a certe possibilità scientifiche.

  — No. — May scosse il capo. — Troppo assurdo, anche consi­derando gli ultimi sviluppi dei circuiti simultanei.

  Bryant bevve il tè e si chinò in avanti per non farsi sentire dalla coppia seduta al tavolino accanto. — Ti dirò io come fanno, al­lora — mormorò. — Usano delle videocassette. Videotape U-Matic da tre quarti di pollice. Credo che qualcuno filmi le male­dizioni con uno di quegli aggeggi...

  — Videocamere.

  — E quando la vittima guarda lo schermo, sente o vede qual­cosa di così orribile che è spinta a uccidersi. Forse sul nastro c'è un rumore che agisce sul cervello. È un sistema che gli scienziati americani sperimentano da anni, da quando le immagini subliminali venivano inserite nei film all'inizio degli anni Cinquanta. Henry Dell trattava videotape. Supponiamo che abbia visto uno di quei nastri e che perciò sia morto. Il suo negozio è stato bru­ciato per distruggere la merce. Ricordi che ti ho detto che parec­chi videoregistratori erano stati azzerati venti minuti prima che scoppiasse l'incendio? Secondo me, anche Mark, il ragazzo, ha visto uno dei nastri, o è stato costretto a farlo dall'incendiario. Chi ha usato l'apparecchio, senza volerlo ha fatto mancare la corrente e gli orologi digitali sono ripartiti da zero. Mark è so­pravvissuto all'incendio, ma aveva visto il nastro, capisci? Per questo si è ucciso non appena ha ripreso conoscenza. — Bryant lasciò cadere gli altri pezzi di ciambellina nel tè e agitò la tazza.

  — Ieri, due nostri ragazzi hanno trovato una videocassetta rotta vicino al binario dove la Cleveland si è fatta stendere dall'espres­so delle 19,35 per Crewe. Sfortunatamente, pare che la cassetta sia stata smontata da alcuni bambini, che hanno srotolato il na­stro e l'hanno disperso. Ma almeno abbiamo la scatola da analiz­zare. Infine, c'è il ladro d'auto, Coltis: siamo riusciti a ricostruire i suoi precedenti lavorativi, e abbiamo scoperto che aveva svolto parecchi lavori manuali in aziende collegate al settore video.

  — Perché non mi è stato detto prima?

  — Immagino che i dettagli siano tutti nel dossier. Sai, il rap­porto viene battuto a macchina su pezzi di carta e inserito in una cartella di cartone. Non nel computer.

  May fissò l'amico socchiudendo gli occhi, perplesso e soddi­sfatto nel contempo. Dunque, il vecchio diavolo aveva lavorato.

  — Queste cassette... sei sicuro che chiunque le guardi muoia?

  — Non so ancora se è esattamente così. Ci serve uno di quei nastri, intatto. Le scatole sono protette da formule magiche runiche, talismani. Ecco cosa abbiamo trovato nel negozio di Dell.

  — Allora cos'erano le maledizioni trovate addosso a Dell, Meadows e Coltis?

  — Non lo so ancora di preciso.

  May si drizzò sullo sgabello e rifletté un istante. — Ti spiace­rebbe dirmi come sei arrivato a questo?

  — Grazie all'aiuto di una vecchia amica.

  — Non quella bibliotecaria... Dorothy vattelapesca come si chiama...

  — Huxley. Proprio lei.

  — Ma è suonata. Non hai detto che crede a ogni genere di as­surdità mistiche?

  — L'hai incontrata una volta, John, ricordi?

  — Come potrei dimenticare? Mi ha convinto a fare l'agopun­tura.

  — Ha funzionato, no?

  — Oh, sì, a meraviglia. Per quindici giorni non sono riuscito a sedermi. Per amor del cielo, non dire a nessun altro che stiamo consultando esperti del paranormale per avere informazioni. La stampa scandalistica ci farebbe a pezzi. Non hai nient'altro per me?

  — Una domanda. — Bryant consultò il taccuino tascabile. — Sappiamo che non c'era nessuna cassetta tra le cose di Coltis. Avete controllato le altre vittime?

  — Sì, e non abbiamo trovato nulla. Non so, forse quelle dan­nate cassette si autodistruggono.

  — È più probabile che qualcuno se le riprenda semplicemen­te, no? Credo che sia ora che ti metta al lavoro col tuo computer. Dobbiamo individuare i veri omicidi e scartare il resto.

  — Janice e io ci stiamo già lavorando — disse May. — Stasera inizieremo a indicizzare i dati raccolti. Vuoi unirti a noi?

  — È la cosa peggiore che potrei fare. — Bryant pagò il conto al banco. — E poi, ho altri impegni.

  — Allora promettimi che ti terrai in contatto.

  — Mi sforzerò di collaborare maggiormente, questa volta. Sa­lutami Janice.

  — Immagino che tu non voglia dirmi dove stai andando, eh?

  — Non proprio. — Bryant rifletté un attimo, inclinando il ca­po. — Innanzitutto credo che tornerò in teatro. Ho bisogno di pensare "giacobiano". È proprio come dice il vendicatore. Ab­biamo rotto il ghiaccio in un punto. Si spaccherà in altri. — Posò la mano sul braccio di May. Le pupille dei suoi occhi erano gran­di e scure. — Capisci perché devo andare in pensione, vero? Vi­viamo in una società alimentata da due ossessioni, la giovinezza e il successo. Ma l'immaginazione ha un ruolo importantissimo nella formazione del mondo. L'immaginazione, eterna e libera come la luna. — Guardò il marciapiede affollato. — Nessuno là fuori ne ha più bisogno.

  Osservando la figura trasandata di Bryant che s'incamminava verso il teatro tra la ressa pomeridiana di compratori, May provò un grande affetto per lui. Peccato che non potesse fare nulla per scacciare il senso di delusione del collega.

  — Scusi, lei — disse una voce alle sue spalle. May si voltò e vi­de che l'italiana corpulenta dietro il banco dello snack bar lo sta­va chiamando, gesticolando. — Il suo amico ha dimenticato qualcosa.

  Mostrò l'oggetto di plastica nero che aveva in mano.

  Era il cercapersone di Bryant.

  34

  L'alone vitreo

  Era la prima volta che Harry si fermava a casa di Grace, ed era stata la prima notte ininterrotta trascorsa insieme. A letto, il ca­lore e la generosità di Grace lo avevano costretto a rivedere la sua etichetta sessuale e a imparare da capo. Al mattino, Harry cercò di dimostrarsi altrettanto abile con una padella, mentre Grace abbandonava riluttante
le lenzuola e entrava nella doccia.

  — Ah, se smettesse di piovere! — Avvolta in un lenzuolo da bagno, accanto alla finestra, la ragazza osservava l'acqua che gocciolava dalle grondaie. — Sembra quasi che il mondo stia finendo.

  — Non sta finendo, sta solo cambiando. — Harry le cinse la vita, sentendo il calore della sua pelle sotto il tessuto umido. Lei premette il corpo contro il suo. — Potremmo andare in qualche posto con un bel cielo azzurro.

  — No, mi piace qui. Londra è accogliente... sicura. — Grace pulì il vetro appannato con un lembo dell'asciugamano. — Ma c'è qualcosa di nuovo là fuori. Nascosto dalla pioggia. — Si girò a baciarlo. Lui la strinse forte, e si ritrovarono di nuovo a letto.

  — Contatterò Frank Drake e gli dirò di passare a prendere la cassetta — disse Grace a colazione, spalmando uno strato di marmellata di fragole sul bacon. — Sa tutto quello che c'è da sa­pere sulla codificazione di messaggi segreti. Suona ancora i di­schi di heavy metal al contrario, cercando di scoprirne i significati nascosti.

  — Sicura di poterti fidare di lui? Non la porterà a qualcun al­tro? — Il vecchio cane di Grace sedeva immobile tra loro, ip­notizzato dal bacon che penzolava dalle forchette.

  — Custodirà il nastro a qualunque costo.

  — Come fai a esserne tanto sicura?

  — È perdutamente innamorato di me. Lo è sempre stato.

  — Comunque, assicurati che si renda conto bene del pericolo. Ma non dirgli tutto.

  — Credi che Daniel Carmody stesse tastando il terreno con te?

  — Penso che sia rimasto sorpreso di vedermi ancora vivo. Ec­co perché sono stato invitato nella sua dimora di campagna. Ho dimostrato di sapermela cavare, e chi sa cavarsela gli serve.

  — Giocherà in casa, avrà tutti i vantaggi. E se cercasse di farti uccidere?

  — Prima vorrà scoprire cosa so. Starò al gioco. Sono anch'io del mestiere. — Incredulo, il cane fissò Harry che finiva il bacon.

  — Allora, come facciamo a batterci contro una multinaziona­le?

  — C'è un unico modo. Dall'interno. — Mentre Harry si puli­va la bocca, il telefono squillò. Rispose Grace.

  — Non voglio parlare con lei, voglio parlare con lui — disse Hilary.

  — Pronto, Hilary, come hai avuto questo numero? Come stai?

  — È nelle Pagine Gialle, sotto Barboni. E dovresti preoccu­parti della tua salute, non della mia. Probabilmente, quella ti avrà già attaccato dei parassiti sessuali. Si dà il caso che non stia chiamando per una questione privata. C'è qui un pacco col tuo nome. Stavo per spedirtelo in ufficio, ma così avrei dovuto spen­dere dei soldi per te.

  I battiti del cuore di Harry accelerarono. Doveva essere il pac­chetto preso in consegna da Eden. — Quando è arrivato?

  — Qualche giorno fa. Ero nelle Midlands a coordinare le no­stre riunioni con gli agenti di zona. Era qui al mio ritorno, e puoi benissimo venirlo a prendere tu.

  Harry rifletté in fretta. Eden gli aveva portato del lavoro altre volte a casa di Hilary in Wigmore Street. Doveva avere conse­gnato il videotape dopo il concerto. noij poteva sapere che lui e Hilary avevano troncato.

  — Hilary, ascolta. Non aprire assolutamente il pacchetto.

  — Oh, senti, non m'interessano proprio i tuoi segreti da due soldi, non dirmi...

  — Hilary, potrebbe ucciderti. Lascia stare il pacchetto!

  — Troppo tardi, l'ho già aperto. È solo uno stupido videota­pe. Harry raggelò. — Non l'avrai guardato, eh?

  — Sì, ed era molto strano. Non so cosa combini ultimamente coi tuoi nuovi amici, ma...

  — Aspetta, come hai fatto a guardarlo. Il formato... — Harry sapeva che i nastri da tre quarti di pollice non erano compatibili con i normali videoregistratori domestici.

  — Non te l'ho detto? È arrivata la promozione. E con la pro­mozione è arrivato anche un impianto video professionale.

  — Mio Dio, non uscire, resta in casa finché non ti raggiungo. Ti senti bene?

  — Harold, che diamine ti succede? Non era certo materiale top-secret.

  — Cosa c'era sul nastro? Cosa hai visto?

  — Dovresti saperlo, c'era scritto il tuo nome, e c'era una pic­cola etichetta con degli scarabocchi.

  — Dimmelo!

  Il panico che alterava la voce di Harry la costrinse a pensare. — C'era il logo di una società...

  — Che società?

  — Sto cercando di ricordare! — La stava spaventando.

  — odel? Era la odel?

  — Credo di sì, sì.

  — Poi, cosa?

  — Un colore. Rosso, credo. Poi un'incredibile...

  La comunicazione s'interruppe.

  Harry si precipitò fuori.

  Hilary fissò il ricevitore. Harry aveva avuto davvero il corag­gio di riattaccare? Battè sulla forcella ma la linea non tornò. Il panico svanì. Seccante, oltremodo seccante. Tipico di Harry po­sare male il ricevitore. O forse c'era un guasto sulla linea. La British Telecom continuava ad armeggiare coi cavi nelle strade. Si accostò alla finestra e guardò giù, ma non c'era traccia di lavori in corso.

  Perché diamine Harry era tanto agitato? In un certo senso, era contenta che la loro relazione fosse finita. Non lo aveva mai capi­to veramente. Guardando l'orologio irritata, andò nell'ingresso e si fermò davanti a uno specchio a sistemarsi i capelli, non che la sua perfetta treccia bionda ne avesse bisogno.

  Come osava pretendere che lei rimanesse in casa ad aspettar­lo, dal momento che non si parlavano nemmeno? Entro mezz'o­ra doveva essere al lavoro. Gli avrebbe concesso dieci minuti al massimo. Strizzò un occhio e tolse una macchiolina di mascara blu dalla palpebra. L'aria tra la sua faccia e il vetro sembrava opaca, piena di pulviscolo.

  Dietro di lei, nel salotto, l'orologio sul caminetto battè la mez­z'ora. Il suono era distorto, come se provenisse da una camera a eco. Hilary si girò, ascoltò, quindi riprese a esaminare il trucco. La sua immagine riflessa sembrò assottigliarsi. Com'era possibi­le? Gli zigomi si stavano allungando, il mento pure... come una faccia in uno specchio deformante al luna park. All'improvviso si accorse che era il vetro: stava incurvandosi verso di lei. Con uno schiocco acuto, lo specchio si spaccò da un angolo all'altro, tem­pestandola di schegge affilate come rasoi. Ammutolita, Hilary le tolse dalle guance con la mano, lasciando tanti taglietti cremisi.

  Si spostò barcollando nel salotto, semiaccecata. La gonna bei­ge attillata le impediva movimenti rapidi. Di fronte a lei, c'erano due splendide finestre dall'intelaiatura di piombo, istoriate con scene pie. Monaci genuflessi dinanzi a santi eterei. Preti rustici che gioivano dell'abbondanza pastorale. Dell'appartamento, era la caratteristica che l'aveva attratta maggiormente.

  Aveva l'impressione di avere i minuscoli frammenti di vetro nei polmoni. Respirare era proprio doloroso, sì. Un infarto? si chiese. Cercò di pensare, ma sembrava che la nebbia diffusasi nell'aria adesso le fosse penetrata nel cervello. Dalle finestre giunse un rumore, come di ghiaccio che si spaccava in un bicchier d'acqua. Hilary spalancò gli occhi, incredula. I riquadri di vetro colorato stavano staccandosi a uno a uno dai piombi, dividendosi e rompendosi, avanzando lentamente verso di lei nell'aria greve, come un banco di pesci tropicali splendenti.

  Alzò le braccia nude per ripararsi il viso e fece un passo indie­tro. Il primo ad arrivare fu un triangolo giallo traslucido. Sulla sua superficie, un santo alzava gli occhi al cielo, le mani giunte in eterna preghiera. Per un attimo, si librò di fronte a lei, poi si ab­bassò e le dentello una spalla asportandole uno spicchio di carne. Parecchi altri frammenti di finestra arrivarono insieme, tutti raffiguranti sacerdoti, mosaici topazio, smeraldo e viola che calaro­no sulle sue braccia praticando lunghe incisioni profonde con precisione chirurgica.

  Finalmente, le tornò la voce. Il sangue schizzava sul bianco inamidato della camicetta. Un'arteria del polso era stata recisa. Il suo grido durò parecchi secondi, poi una lunga lama di corallo trasparente le si infilò in bocca, un angelo eburneo si spezzò in due in fondo alla gola.

  I frammenti vitrei formaro
no una nube attorno a lei, un arco­baleno di luce scintillante e mortale. Fluttuarono, guizzarono co­me uccelli opalescenti, punzecchiandola, aprendole squarci geo­metrici nella pelle, finché Hilary non avvertì altro che un vortice di vetro e di luce e di carne slabbrata da sfregi tribali scuri di san­gue.

  Mentre la coscienza svaniva, sentì che il suo corpo si sollevava e attraversava l'alone vitreo, andando verso il mondo esterno e la strada sottostante.

  Arrestando l'auto, Harry provò un senso nauseante di déjà vu. Alcuni spettatori si accalcavano contro i nastri arancione le­gati ai lampioni per sbarrare il marciapiede. C'era un'ambulan­za, le luci e la sirena spente. Uomini e donne in divisa erano chi­ni in un punto, come giocatori di rugby che si accingessero a en­trare in mischia.

  Harry chiuse la portiera e salì sul marciapiede. C'erano diver­si poliziotti, troppi. Alzò gli occhi all'edificio, vide l'interno buio della sua stanza attraverso le finestre in frantumi, e capì che Hilary era morta. Il vetro era schizzato all'esterno, sfondato dal­l'impatto del corpo. Parte del cadavere occupava la sede strada­le; le gambe spuntavano da una coperta scura. Sangue e vetri, scuri e luccicanti sotto la pioggia. Si era gettata dalla finestra po­chi minuti dopo aver parlato con lui. Quanto tempo dopo avere guardato il nastro? Harry si staccò dalla folla e corse alla macchi­na, riuscendo quasi a raggiungerla prima di vomitare.

  Partì male, le mani gli scivolavano sul volante bagnato. Senti­va che il nastro era ancora nell'appartamento di Hilary, ma per nulla al mondo sarebbe tornato là a prenderlo, non adesso.

  35

  La congregazione di Camden Town

  Frank Drake era leggermente più bravo nel maneggiare i compu­ter che nel trattare le persone. Spesso si fermava fino a tarda ora in biblioteca, i lineamenti scarni illuminati dallo schermo verde, le dita che sfioravano agili la tastiera. I file che aveva creato era­no complessi, con molti rimandi, ma i suoi tentativi di mantenere una visione d'insieme scientifica del progetto scemavano via via che aggiungeva dati statistici. I file aumentavano, e aumentava anche la sua confusione.

 

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