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Rune

Page 22

by Christopher Fowler


  A lato di Carmody sedeva il tizio rossiccio dagli occhi aranciati che Harry aveva già incontrato, Slattery, il consulente legale. Sull'altro lato, un giovane azzimato dai capelli neri impomatati, che registrava ogni parola della riunione, scrivendo su un taccui­no con una penna a sfera d'oro. Anche Slattery prese appunti su un blocco di carta intestata con una calligrafia fitta e indecifrabi­le.

  Quando tutti furono seduti, Sharpe attaccò il discorso introduttivo standard di benvenuto riservato ai nuovi clienti. Come sempre, concerneva l'impegno e la creatività, curve d'assimila­zione e risposte del consumatore... una ragnatela di gergo spe­cialistico tessuta attorno alla promessa di fornire al cliente un "alto profilo" pubblico in cambio di un sostanzioso budget pub­blicitario annuale.

  Mentre Sharpe terminava la sua esibizione, Harry si preparò a prendere il toro per le corna. Aveva deciso di adottare un ap­proccio diretto e aggressivo con Carmody. Sapeva che i colleghi non avrebbero affatto gradito la cosa, perché probabilmente avrebbero pensato che stesse cercando di metterli in ombra. Ma ricordava di avere letto da qualche parte che il finanziere aveva fama di essere un tipo che parlava chiaro nelle trattative d'affa­ri.

  — Sicuramente il signor Carmody sa già cosa possa offrire là nostra agenzia alla sua organizzazione — esordì Harry, interve­nendo subito al termine del discorso di Sharpe. — Mi interesse­rebbe sentire qualcosa di più sulla odel e sulle sue motivazioni, la sua politica.

  — Credevo che aveste letto i testi informativi che vi abbiamo fornito su vostra richiesta — disse Carmody, freddo.

  — Li abbiamo letti — replicò Harry. — Ma quei testi conten­gono solo statistiche e materiale da reparto Pubbliche Relazioni. So che la principale fonte di guadagno della odel deriva dallo sviluppo innovativo delle tecnologie a fibre ottiche. So anche che da quando è entrato nella odel lei ha manifestato il desiderio di spostare la società dal campo delle telecomunicazioni a settori ricreativi inerenti. Sta rilevando diverse case editrici in difficoltà. Sta entrando nei network televisivi. Pare che il nuovo campo scelto da lei sia quello della diffusione delle informazioni. Quello che non capisco è il perché.

  Harry si appoggiò allo schienale della sedia, battendosi l'estre­mità della matita sui denti. Tutti lo stavano guardando, ma era deciso a procedere senza fretta, scegliendo attentamente le paro­le. — A un certo livello un calzolaio fabbrica scarpe perché gli piace farlo. Conosciamo tutti il suo background, signor Carmo­dy, sappiamo tutti che ha guadagnato il suo primo milione di sterline nel settore dell'editoria giornalistica prima di compiere ventun anni. Adesso può avere qualsiasi cosa desideri. E, a quanto pare, vuole spostare questa sua nuova grande società in una direzione diversa rispetto a quella in cui ha sempre dimostra­to abilità e competenza. Perché? I calzolai fabbricano scarpe. Cos'è che le piace? — Alzò il testo informativo copertinato in modo che tutti i presenti lo vedessero. — Qui dentro si accenna solo vagamente ai progetti a lungo termine, alle sue speranze per il futuro della società. Lei è considerato un capitano d'industria, signor Carmody. Dov'è diretta la nave?

  Ci fu un silenzio imbarazzante, e Darren Sharpe ne approfittò per lanciare un'occhiata d'avvertimento a Harry. Infine, Daniel Carmody parlò.

  — Riallacciandomi alla sua similitudine, signor Buckingham, un calzolaio fabbrica scarpe anche perché si accorge della pre­senza di uno spazio vuoto nel mercato calzaturiero. E esattamen­te quello che sta facendo la odel.

  — Ma che spazio state occupando? — chiese Harry, rendendo­si conto che stava rasentando la scortesia trasformando la presen­tazione in un interrogatorio. — Ci è stato detto che la odel sta investendo in modo massiccio in "tecnologie mediali innovative", qualunque cosa siano. Sappiamo inoltre che il vostro sistema di trasmissioni via satellite è quasi pronto a entrare in funzione. Pe­rò non sappiamo per cosa verrà usato. Ci sono punti in cui potreb­bero verificarsi dei conflitti di interessi. Il fatto che attualmente siate in trattative per un contratto governativo relativo alla difesa significa che le vostre case editrici non sarebbero interessate alla pubblicazione di un romanzo contro la guerra, per esempio?

  Slattery alzò gli occhi arancioni dal blocco di carta. Carmody serrò impercettibilmente le labbra, fissando Harry. Gli altri exe­cutive studiarono i loro appunti e si guardarono le unghie, inca­paci di rompere il silenzio, restii a intervenire.

  — Il libro che ha in mano parla degli interessi commerciali at­tuali della società — rispose Carmody, pacato. — Non c'è biso­gno che sappiate altro, per ora. Il vostro compito è quello di creare per noi un'immagine in cui il pubblico riconosca un'orga­nizzazione responsabile e seria. Vogliamo far vedere che la odel è una lungimirante società britannica di successo lungimi­rante, che gode della fiducia e del rispetto dei suoi dipendenti, apprezzata dal governo, amica dell'ambiente. Saprete senz'altro che quando una società come la nostra si espande e si diversifica così, è importantissimo che la sua immagine pubblica sia presen­tata con la maggiore chiarezza e semplicità possibile.

  — Anche a costo di mentire al pubblico?

  Darren Sharpe si agitò sulla sedia, a disagio. — Credo che Harry intenda dire che la campagna che creeremo per la odel dovrà essere una rappresentazione veritiera e accurata della sua società, signor Carmody.

  — Capisco — disse il magnate, sporgendosi in avanti per os­servare meglio il proprio interlocutore. — È ovvio che non ap­proveremmo nessuna iniziativa pubblicitaria che tentasse di ingannare la gente circa le nostre vere intenzioni.

  — Intendevo proprio arrivare a questo, signor Carmody. Quali sono le vostre vere intenzioni? — Harry battè la matita sul manuale informativo della odel, cercando deliberatamente di stimolare i presenti. — Ecco, guardo il profilo della vostra socie­tà e vedo che avete le mani in pasta in un numero crescente di settori diversi, tutti collegati grosso modo all'area delle comuni­cazioni. A quanto pare, non vi specializzate, e questo è insolito. Carmody rimase in silenzio, fissandolo, lasciando che prose­guisse. Intimidito, Harry si affrettò a continuare. — Per esem­pio, l'anno scorso avete fatto alcuni acquisti importanti, ma sen­za seguire uno schema logico. Il fatto che parecchie delle vostre operazioni di rilevamento siano state notevolmente aggressive dimostra che vi interessavano molto quelle aziende. Il mese scor­so avete concluso le trattative per l'acquisto di un network televi­sivo di dimensioni medie nel New Jersey. Appena la settimana scorsa avete assorbito di prepotenza una piccola azienda di vi­deotape qui a Soho. Questi assorbimenti apparentemente disor­dinati sono...

  — Harry, tutte queste domande non sono molto attinenti al problema immediato del signor Carmody. — Harry notò l'e­spressione rabbiosa di Sharpe, e si rese conto di avere esagerato.

  — Forse potremmo parlare di come il pubblico percepisca attual­mente l'immagine aziendale della odel.

  — Cosa diavolo stavi cercando di fare? — sibilò Darren Shar­pe mentre lasciavano la riunione. — Ci sono voluti tre mesi per farlo sedere a quel tavolo, e tu metti a repentaglio l'intero affare accusandolo in pratica di essere un imbroglione. Il tuo comporta­mento negli ultimi tempi ha preoccupato tutti, ma questo è il col­mo.

  Prima che Harry potesse ribattere, Daniel Carmody si stagliò sulla soglia alle loro spalle. — Signor Buckingham — chiamò, con un cenno dell'indice. — Se potesse dedicarmi un minuto...

  Harry avvertì una sensazione spiacevole alla bocca dello sto­maco mentre si voltava. Carmody rientrò nella sala vuota e tornò ad accomodarsi al proprio posto, lasciando Harry in piedi davan­ti a lui.

  — Chiuda la porta.

  Harry lo accontentò, poi si sedette al lato opposto del tavolo.

  — A quanto pare, ha delle opinioni decisamente critiche ri­guardo la nostra società. Per un pubblicitario, è un atteggiamen­to strano e ambivalente.

  — Be', signor Carmody, la pubblicità è in bilico su una sottile linea di demarcazione tra l'informazione e l'inquinamento visivo

  — osservò Harry. — Troppo spesso cade dalla parte sbagliata. Esempio, il manifesto del Muro di Berlino del grupp
o Saatchi, che a molta gente è sembrato un compendio offensivo della nostra industria. Le nostre azioni devono essere responsabili nei confronti della collettività.

  Carmody sorrise. — La maggior parte delle questioni sono se­parate da linee sottilissime, Harry. — Chiamandolo confiden­zialmente per nome, lo sorprese. — Quando lo si lascia decidere da solo, il pubblico si affida al sentimento, non alla ragione. Per­ché le pellicce sono offensive e i giubbotti di pelle no? Perché si salvano i cuccioli di foca mentre si permette l'estinzione di insetti rari? Qualcuno deve proteggere il pubblico dalle sue stesse incli­nazioni. — Carmody corrugò leggermente la fronte, rendendosi conto di avere espresso un parere personale. — A quanto pare, lei è preparato, è bene informato circa la odel. Mi dica una co­sa: crede che sia sbagliato per una società voler diventare più po­tente?

  — Il potere distrugge la libertà se è utilizzato male.

  — Via, non stiamo parlando di un cattivo uso. A me interessa l'uso corretto del potere per influenzare la gente in modo saluta­re e positivo.

  — Spiacente — disse Harry — ma diffido dei capitalisti filan­tropi. La contraddizione di base è troppo evidente. L'idea che la McDonald's promuova il senso civico quando i marciapiedi sono coperti di cartacce con la sua firma, be', diciamo che lascia un gusto sgradevole in bocca.

  — Non sto parlando di esercizi pacchiani di pubbliche relazio­ni — ribattè Carmody, sporgendosi di colpo in avanti. — E se una società potesse davvero cambiare il mondo?

  Centro! pensò Harry. Sta per vuotare il sacco. — Un cambia­mento di quale entità? — chiese, cercando di non mostrarsi trop­po curioso.

  — Abbastanza grande da avere un effetto globale, da modifi­care il nostro modo di pensare e di agire.

  Con la bocca improvvisamente secca, Harry formulò con cura l'osservazione successiva. — Una società del genere dovrebbe essere controllata con estrema attenzione. I piani grandiosi ten­dono a fallire. Non si può lasciare il controllo totale nelle mani di una sola persona.

  — Però è un concetto possibile, questo lo ammette, vero?

  — Immagino di sì. — Harry si schiarì la voce roca. — Sì — ripetè.

  — Bene. — Carmody gli rivolse un sorriso smagliante e si al­zò. Sembrava soddisfatto del colloquio. Prese il portafoglio dalla giacca e ne estrasse un biglietto. — A quanto pare, lei è un uomo capace di giudizi autonomi. Ho un invito per lei, Harry. I massi­mi dirigenti della odel si riuniscono questo weekend. Mi piacerebbe che fosse presente. Penso che potrebbe essere interessante per lei. Sarà mio ospite. La mia segretaria si occuperà dei dettagli.

  Infilò le carte nella borsa e lasciò la sala senza attendere la ri­sposta di Harry.

  Non appena fu tornato nel suo ufficio, arrivò Sharpe. Ma pri­ma che il superiore potesse esplodere, Harry gli raccontò gli ulti­mi sviluppi.

  — Bene — disse Sharpe, seccato di aver dovuto rinunciare al suo sfogo rabbioso. — Procedi pure, vacci assolutamente, pur­ché tu non sottragga altro tempo al lavoro. Ma ricorda che que­sto è un gruppo. Non si calpestano gli altri per fare carriera. — Si tolse di bocca il sigaro spento e lo contemplò.

  — Via, Darren, lo sai che sotto sotto la regola numero uno è "ognuno per sé". — Una volta tanto, Harry sentiva di avere la si­tuazione in pugno. — Sai cosa dicono del nostro settore?

  — Cosa?

  — Avere successo non è una soddisfazione sufficiente. Deve anche fallire il tuo migliore amico. Si gettò l'impermeabile sulla spalla e uscì.

  Stava per lasciare l'edificio, quando riconobbe il ragazzo che girellava lentamente nell'atrio cromato. Era la prima volta che Dexter si recava all'agenzia dopo la morte di Eden, e il suo disa­gio era palese. Gli abiti e il taglio di capelli alla moda erano gli stessi di prima, però adesso non riuscivano a stornare l'attenzio­ne dalla faccia terrea.

  — Dexter? — Harry gli si avvicinò circospetto, incerto della sua accoglienza.

  — Sono passato perché volevo vederla. — Dexter lanciò un'occhiata alla receptionist. — Possiamo andar fuori?

  Il traffico del rientro aveva bloccato tutta la St. Martin's Lane. Girarono verso il semaforo di Long Acre, mentre la pioggerellina picchiettava sulle loro spalle.

  — Volevo dirlo a lei prima di parlare con la polizia — iniziò Dexter, mentre attraversavano la strada. — Ècco, quelli mi hanno detto di chiamarli subito se... ma ho pensato... — Scosse la testa e tornò a fissare il marciapiede luccicante. Alcune cioc­che nere gli ricaddero sugli occhi. Harry decise di non fargli fretta.

  — Si tratta di qualcosa che ho ricordato — riprese infine il ra­gazzo. — La notte in cui è morta... aveva un pacchetto per lei... Non so cosa ci fosse dentro. Ha cercato di dirmelo ma io non la stavo ascoltando. Sa come succede... — Erano arrivati all'angolo della via.

  — Ti ha detto di chi era? Ti rendi conto che questo potrebbe c'entrare con la sua morte?

  — No, amico... era solo una faccenda di lavoro. L'avevano consegnato, credo, e lei era già uscito, così Eden l'aveva in cu­stodia.

  — Com'era il pacchetto, te lo ricordi?

  — Carta da pacchi marrone... la forma di un libro, sa... — Dexter indicò le dimensioni con le mani. — Un rilegato.

  — Che fine ha fatto?

  — Non lo so. Non l'hanno trovato vicino a lei, quindi deve averlo lasciato da qualche parte.

  — L'aveva ancora l'ultima volta che l'hai vista?

  — Credo di sì, sì.

  — Dexter, perché non l'hai detto a nessuno?

  Il ragazzo rispose lentamente. — Ho questa immagine, di Eden... nella mente. L'ultima volta... A volte hai un'immagine, l'hai proprio davanti, e vedi tutti i particolari, eppure ti sfugge la cosa più evidente. Capisce? Voleva che le dicessi "ti amo", e io non gliel'ho mai detto. Vorrei averlo fatto, perché l'amavo...

  — Forse puoi aiutarla adesso.

  Rimasero a parlare sotto la pioggia per alcuni minuti, poi Dex­ter si allontanò mesto per mescolarsi ai pendolari che sciamava­no lenti nell'ingresso della stazione del metro di Covent Garden. Harry s'incamminò verso Leicester Square. Domattina, per pri­ma cosa, avrebbe chiamato tutti i corrieri per scoprire chi avesse recapitato il pacco a Eden. Era un pensiero terribile, ma Harry non riusciva a levarselo dalla mente. E se in quel pacco ci fosse stata una videocassetta, e per qualche motivo Eden l'avesse guardata? I videotape da tre quarti di pollice assomigliavano a li­bri rilegati.

  In tal caso, Eden era morta al posto di Harry.

  33

  Rompere il ghiaccio

  Mentre John May raggiungeva l'estremità del corridoio, un uo­mo e una donna entrarono lentamente in scena e si ritrovarono immersi in un tenue chiarore azzurro chiaro che creava un effetto subacqueo. Gli abiti della coppia erano un miscuglio di capi appartenenti a epoche sartoriali diverse. L'uomo portava una gorgiera inamidata, jeans, stivaloni alla coscia e una maglietta macchiata di sangue.

  Quando i suoi occhi si furono adattati al buio, May scorse la fi­gura scarmigliata del collega stravaccata nella seconda fila di pol­trone. Si infilò nel posto dietro Bryant e annunciò il proprio arrivo.

  — Ho dei dubbi sull'abbigliamento — mormorò Bryant, gi­rando appena il capo. — E sulla luce azzurra. Sono sempre con­vinto che la tragedia giacobiana richieda il cremisi, alla Velasquez, e costumi da cerimonia. Dopo tutto, è una forma di teatro rigorosa, molto stilizzata.

  — Dove diavolo sei stato? — sibilò May, furioso. Bryant quel giorno si era reso irreperibile. — Ti hanno cercato tutti. Se non vuoi portare il cercapersone, abbi almeno la decenza di telefona­re e comunicarmi dove potrei trovarti in caso di bisogno.

  Bryant parve sinceramente sorpreso. — Non sapevo di essere tanto importante — disse. — Comunque, non sono un piccione. Non devi mettermi un anello alla zampa. Posso ancora uscire da solo. E se ti fossi preso la briga di guardare il calendario sulla mia scrivania avresti capito dov'ero.

  — L'abbiamo guardato. Avresti potuto lasciare un messaggio un po' più chiaro. "Martedì - Tragedia del Vendicatore." Pochi­no, n
o?

  — Smettila di lamentarti. Mi hai trovato. Mi lasciano sempre assistere alle prove. Aspetta, qui ci sono delle belle battute. — Indicò l'attore. — Ascolta Vindice. Un buon consiglio. Rompi il ghiaccio in un punto, si spaccherà anche in altri...

  — Arthur, stai proprio mettendo a dura prova la mia pazien­za. — May si alzò. — Devo parlarti. Fuori.

  — Oh, benissimo. — Bryant sospirò e raccolse le sue cose: una grande sciarpa e alcune borse di plastica.

  — Dio mio, sembri un barbone.

  — Grazie. Questa sciarpa l'ha fatta la mia padrona di casa. L'avrebbe fatta lunga dieci metri se non l'avessi fermata in tem­po. Penso che per lei il lavoro a maglia sia una specie di terapia, per alleviare la tensione sessuale. — Avevano raggiunto l'atrio appena dipinto del Phoenix Theatre. L'odore acre della vernice ristagnava nell'aria. Bryant annusò e si guardò attorno. — Stra­no posto, questo — disse, indugiando mentre May si avviava alla porta. — Lo sapevi, hanno iniziato con Olivier e Gertie Lawrence negli anni Trenta con Vite private, una splendida produzione. Dopo, questo posto ha vivacchiato. Era un music-hall prima di essere un teatro, l'Alcazar, credo. Anche quello non aveva avuto molto successo. Dev'esserci un motivo. L'ingresso è un può fuori mano, in effetti.

  May si fermò sulla porta, seccatissimo. Sembrava proprio che il vecchio Bryant stesse un po' rimbambendo. — Arthur, ti com­porti come un bambino irritante — borbottò.

  — Il modo migliore di comportarsi, te lo assicuro. — Bryant avvolse la sciarpa ben stretta attorno al collo e ne infilò le estre­mità nel cappotto. — Dato che hai faticato tanto per trovarmi, il minimo che possa fare è offrirti qualcosa.

 

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