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Rune

Page 30

by Christopher Fowler


  Si era prodotto uno strappo muscolare a una spalla, ma non gl'importava. Era vivo, contava solo questo. — Cos'era? — chie­se rauco. — Sapevi di quella creatura... L'hai vista anche tu.

  — No, io non l'ho vista, anche se so cos'è — ammise Carmody. — È una versione dello stesso essere che la maggior parte della gente vede. Qualcosa che proviene da un ricordo collettivo ancestrale. Se la runa fosse stata un simbolo bianco, ti sarebbe toccato il Demone dei Ghiacci, che ti avrebbe ucciso. Ma questa, quella sulla scatoletta, era un Poerdh rosso. È il simbolo più mi­sterioso di tutto il linguaggio runico. Molta gente pensa che sia sessuale.

  — E l'uomo che è stato ucciso?

  — Ah, questo è interessante. A quanto pare, hai visto una co­sa che non è ancora accaduta, che forse non accadrà nemmeno.

  — Come posso averla vista, allora?

  — Francamente, non saprei di preciso. Ti ho detto che era un simbolo misterioso. A volte penso che stiamo solo scalfendo in superficie quello che possiamo apprendere. — Carmody annusò l'aria. — Immagino che vorrai andare a cambiarti. Penso che tu abbia avuto un incidente. Poi faresti meglio a tornare qui.

  Carmody gli volse le spalle, congedandolo, e Harry uscì bar­collando dalla stanza. Umiliato, esausto, vergognoso.

  43

  Disinformazione

  Rufus sedeva sul bordo dello sgabello, coi piedi che non arriva­vano al pavimento. Le sue dita si muovevano rapide sulla tastie­ra, mentre cercava di penetrare nell'archivio della odel. In pie­di dietro di lui, Janice Longbright lo osservava meravigliata, col volto illuminato dal tenue riflesso verde giada dello schermo.

  — Che velocità — mormorò. — Non capisco come faccia a pensare.

  — Non ha bisogno di pensare — disse May. — Per lui, usare un computer è una cosa automatica, naturale come respirare. — Si drizzò meglio sul letto, puntellandosi con un altro cuscino, per poter seguire i movimenti del ragazzino. Nella camera angusta erano state portate parecchie altre apparecchiature, con grande collera dell'infermiera. — Dovrebbe stare in riposo assoluto — si era lamentata prima con Janice. — Come farà a ristabilirsi, altri­menti? Non può continuarle qualcun altro le sue indagini?

  — A questo punto, non le affiderebbe a nessun altro — le ave­va spiegato Janice, prendendo il braccio dell'infermiera e condu­cendola fuori dalla stanza. — Non si rilasserà finché non avrà trovato delle prove inoppugnabili. — In cuor suo, condivideva il punto di vista medico. Lo stato d'animo di May era migliore del­le sue condizioni fisiche. Sperava solo che Rufus riuscisse a scoprire qualche elemento decisivo.

  — Dove li avete presi questi file? — chiese Rufus, girandosi sullo sgabello. — L'effe di pi che ha programmato sta merda non vuole lasciare entrare nessuno.

  — Che sta dicendo? — chiese Bryant, sconcertato.

  — Abbiamo piazzato due nostri uomini nella sede centrale della odel, spacciandoli per personale della squadra manuten­zione — disse May. — Questo è tutto quello che sono riusciti a procurarsi.

  — Non possono aver copiato sta roba, amico. È protetta di brutto!

  — Infatti. Hanno preso i dischetti originali.

  — Quando?

  — Alle sei di ieri sera. Abbiamo tempo fino alle sette di do­mattina per forzarli e rimetterli a posto. I miei uomini hanno fo­tografato la loro posizione nei cassetti da cui li hanno sottratti.

  — Come faccio a entrare qua dentro? — Rufus bevve un sorso di Pepsi e tornò a voltarsi verso la tastiera. — Per ogni file c'è una stringa d'ordine cifrata, e senza, non si entra, afferrato? Sen­za parola d'ordine, non si combina un cazzo.

  — Credo di avere capito il nocciolo del problema — interven­ne Bryant, illuminandosi. — Il nome odel è di per sé una runa. Ho la sensazione che battendo i nomi delle altre rune riusciremo a inserirci in almeno un file.

  — Ottima idea — annuì May, sfregandosi le mani ansioso. — Li hai, i nomi?

  — No, purtroppo no.

  — Be', come possiamo saperli?

  — Ho qui fuori che aspetta qualcuno che li ricorda tutti. Un secondo. — Bryant si affacciò oltre la soglia. — Kirkpatrick, per favore, vuoi accomodarti? — E fece entrare l'allampanato paleo­grafo.

  — Non so come mai io mi trovi qui — si lagnò Kirkpatrick. — Dovrei essere a casa.

  — Sei sempre a casa — disse May. — Dovrai sederti sul tavoli­no. Comincia ad assomigliare a una scena di un film dei fratelli Marx, questa.

  — Ciao, bambino — disse Kirkpatrick, sporgendosi oltre la spalla di Rufus. — Sei alla tastiera, eh? Bravo bravo.

  — Levati di torno, cazzo! — sbottò Rufus indignato, spingen­dolo via. Mentre caricava un nuovo dischetto, il logo della odel scorse sullo schermo.

  — Interessante — commentò Kirkpatrick. — La runa odel in genere è collegata alla costruzione di una dinastia finanziaria. Può essere impiegata per proteggere la ricchezza. Bene, ascolta, figliolo — disse, battendo affettuosamente sulla testa di Rufus — ti detterò lettera per lettera i nomi delle rune più usate, e tu li batterai per me. Pensi di riuscirci?

  — Gli parli tu con questo stronzo, o gli parlo io? — chiese Ru­fus, rabbioso. May chiamò il paleografo con un cenno e gli spie­gò la situazione. Ridimensionato, Kirkpatrick tornò al compu­ter, tenendosi a rispettosa distanza dal piccolo operatore. Insie­me, cominciarono a passare in rassegna l'alfabeto runico.

  Carmody sedeva dove Harry l'aveva lasciato venti minuti pri­ma. Sotto la luce verde riposante della lampada da tavolo, lavo­rava al computer, spostando e cancellando parti di relazioni. Quando Harry apparve sulla soglia in abiti puliti, Carmody gli indicò una poltrona su un lato della stanza.

  — Ti confesso che rappresenti un problema per me, Harry — esordì. — Mi serve qualcuno che metta a punto una campagna pubblicitaria mondiale per la odel, e tu sembri la persona ideale per questo incarico. Volevo fidarmi di te fin dall'inizio, ma Slattery mi ha messo in guardia. Ho deciso che non valeva la pena di rischiare un impero per te. — Inserì un microdisk in un drive, e osservò la schermata che cambiava. — Dietro consiglio di Slattery, ti abbiamo inviato una runa mortale, ma a quanto pare la tua segretaria l'ha guardata per caso e ne ha subito le conseguenze.

  Harry stava per dirgli che Eden non era stata la sola vittima del nastro codificato, ma si rese conto che così Carmody avreb­be avuto un motivo in più per non fidarsi di lui.

  — Ma forse la tua salvezza è stata un evento fortuito — con­cesse Carmody. — Sei qui, e adesso sai parecchie cose. Hai spe­rimentato di persona i poteri runici. Il satellite della odel è in orbita e in funzione. La nostra stazione televisiva via cavo di New York riceverà la prima trasmissione di prova tra due giorni, martedì sera. Credo che il tuo attaccamento all'organizzazione sia potenzialmente molto più grande del tuo attaccamento al ri­cordo di un padre che non amavi. Questo significa che penso an­cora che tu sia l'uomo giusto per quell'incarico?

  — Dal modo in cui mi stai parlando, suppongo di sì — rispose cauto Harry.

  Carmody continuò a guardare lo schermo. — Abbiamo biso­gno di una prova, di un test — disse. — Vieni qui.

  Harry si alzò e andò accanto alla scrivania. Carmody aveva chiamato sullo schermo una serie di nomi.

  — Voglio che ti studi questa — disse. — È la lista nera della odel, aggiornata costantemente da Slattery. Questi sono i nomi delle persone che sono riuscite a infiltrarsi nella rete informatica della odel. Il sistema è disseminato di mine runiche, ma ogni tanto qualcuno riesce a sgusciare all'interno.

  — Forse entrano nel sistema per caso — disse Harry.

  — Impossibile. Bisogna possedere conoscenze runiche per aprire qualsiasi file. Inoltre, ci sono sequenze virus specifiche che proteggono tutte le informazioni della odel. — Carmody indicò lo schermo. — Le persone elencate qui sono tutte pene­trate in programmi bloccati usando simboli runici. Cos'hanno scoperto sul nostro conto? Saranno in combutta tra loro?

  — Io cosa c'entro con questo? — chiese Harry.

  — Con tutto il denaro i
nvestito nel programma di espansione della odel, non possiamo permetterci sgradevoli sorprese — ri­spose Carmody. — Bisogna fare un po' di pulizia, e affiderò a te questa operazione. Subito. Stanotte stessa. — Fissò l'elenco di una mezza dozzina di nomi. — Voglio che tu elimini per noi que­ste persone.

  — Feoh — disse Kirkpatrick. — f-e-o-h. Poi Doerg. d-o-e-r-g. Questo è l'ultimo nome. — Tutti osservarono lo schermo. Non accadde nulla. Rufus si drizzò sullo sgabello, la fronte lucci­cante di sudore. — Manca qualcosa, amico — disse. — Ci serve qualche numero qui sullo schermo.

  — Un attimo... ogni runa ha il proprio numero. Vediamo, Feoh corrisponde a 1, Doerg a 8...

  — Dall'inizio, e dimmeli in ordine alfabetico runico. — Rufus battè i tasti, mentre Kirkpatrick al suo fianco controllava i nume­ri sul proprio taccuino.

  — Sono dentro — annunciò tranquillo Rufus. — Chiede un nome per l'accesso al materiale. Che nome devo usare?

  — I nostri, no — rispose May. — Potrebbero risalire fino a noi. Usa quello del nostro uomo scomparso. Buckingham. Harry Buckingham.

  Rufus battè il nome. La schermata cambiò.

  — Cristo, ragazzi, abbiamo una grossa operazione di disi in corso.

  — Cosa sarebbe? — chiese Janice Longbright.

  — Disinformazione, signora. Stanno spargendo informazioni velenose attraverso altri sistemi. Eliminano la concorrenza. Se becchi un virus del genere è finita. Devi gettare tutto il tuo programma tra i rifiuti.

  — Non c'è modo di impedire che accada?

  — Si possono inserire certe stringhe comando per annullare l'effetto della stringa virus, ma bisogna sapere con cosa si ha a che fare.

  — Talismani — disse Kirkpatrick. — Per respingere le maledi­zioni. È la versione aggiornata di un sistema di vendetta vecchio come la civiltà.

  — Questa "disinformazione", fino a dove potrebbe essere dif­fusa? — domandò Bryant.

  Rufus rifletté un attimo. — In tutto il mondo, credo, con un segnale abbastanza forte. Bisognerebbe allacciarsi a trasmissioni via satellite.

  — La odel inizierà a trasmettere con la sua prima stazione via cavo da un giorno all'altro — disse Janice. — Sono settimane che tutti i giornali ne parlano. Dobbiamo trovare il modo di fermarli.

  — Non potremmo chiedere un'ingiunzione del tribunale per fargli chiudere bottega?

  — Ci vorrebbe troppo tempo, Arthur. Cerca di scoprire con precisione quando andranno in onda.

  — Ragazzi, mai visto un sistema del genere prima d'ora. — Si girarono verso Rufus, che sedeva ipnotizzato davanti al monitor. Lo schermo aveva cominciato a pulsare, trasmettendo una serie di simboli a grande velocità, come se immagini spurie fantasmàtiche stessero guizzando fugaci nel sistema.

  — Hai fatto scattare qualche congegno protettivo — disse May. — Spegni! — Non trovando nulla che assomigliasse a un interruttore sulla tastiera, Bryant afferrò la spina di alimentazio­ne del computer e cercò inutilmente di staccarla dalla parete. In­fine fu Janice Longbright a intervenire, sbattendo il monitor sul pavimento con una spinta e frantumando lo schermo.

  — Spero che abbiamo interrotto in tempo quel guazzabuglio di immagini. Rufus, cos'hai visto? — Janice fece girare il ragazzi­no sullo sgabello e guardò le sue pupille dilatate.

  — Non so, roba forte. Immagini, cose bibliche, credo. — Ru­fus si strofinò gli occhi col palmo delle mani. — Comincia a sva­nire. Una specie di codice elettronico, che penetra dritto nel subcosciente. Mi piacerebbe conoscere il tizio che ha inventato que­sto.

  — Ci sono voluti secoli per portarlo a questo stadio di svilup­po — commentò Bryant.

  — Una lingua elettronica interattiva — disse Kirkpatrick, im­pressionato. — La fase successiva più logica, suppongo. Non si può provocare l'epilessia con una luce stroboscopica? Le possibi­lità sono...

  — Lo sappiamo, grazie, Kirkpatrick. Adesso mi interessa di più trovare il modo di bloccarli prima che arrivino al pubblico.

  — E a noi — soggiunse Rufus.

  — Cosa intendi dire?

  — Abbiamo attivato i loro codici d'allarme — spiegò il ragaz­zino. — Sanno che siamo penetrati nel sistema.

  — Non dovrebbe essere difficile — disse Carmody, alzandosi dalla scrivania e volgendo le spalle allo schermo. — Entro do­mattina voglio che tutte le persone sulla lista abbiano visto o sen­tito uno dei più potenti comandi runici della odel.

  Harry osservò i nomi sullo schermo. Mezza dozzina di pirati informatici che erano riusciti a scalare le mura elettroniche della odel erano appena stati condannati a morte. Stava per tornare a rivolgere la propria attenzione a Carmody, quando un nuovo nome apparve lentamente in fondo all'elenco:

  HARRY BUCKINGHAM

  Harry ebbe un tuffo al cuore. Mentre Carmody si voltava di nuovo, si affrettò a spostarsi davanti al monitor, coprendogli la visuale.

  — Se riuscirai a condurre in porto l'operazione con un certo stile — disse Carmody — creeremo l'equipe di collegamento e ti assumeremo a tempo pieno come consulente pubblicitario capo. Che te ne pare?

  — Ah, perfetto. — Harry cercò di rimanere tra Carmody e lo schermo del computer, ma la sua posizione cominciava a sem­brare goffa.

  — Ti occorreranno gli indirizzi scritti. — Carmody allungò la mano oltre Harry e battè alcuni tasti, accendendo la stampante. Quindi si portò sull'altro lato della scrivania e attese che la lista apparisse sul tabulato. Harry osservò la macchina che emetteva il suo ordine di esecuzione capitale. Giunta in fondo alla pagina, la stampante si spense automaticamente.

  Carmody strappò il foglio e lo fissò in silenzio... un silenzio che sembrò durare ore. Infine sollevò il ricevitore del telefono della scrivania e formò un numero di due cifre. — Slattery, po­tresti scendere un minuto?

  La mente di Harry lavorava a ritmo frenetico. — Oh, il nome. Probabilmente è quello di mio padre.

  Carmody alzò lo sguardo. I suoi occhi scintillavano truci. — Tuo padre è morto. — Mostrò il foglio. — Qui c'è scritto "Har­ry". E significa che sei penetrato nel sistema della odel qualche minuto fa.

  — Com'è possibile? Sono sempre stato qui.

  — Hai un programma di ricerca in funzione da qualche parte, a nome tuo. — Carmody si sporse in avanti, entrando nel riflesso della lampada. — Dov'è?

  — Non so di cosa tu stia parlando — rispose Harry, mentre il panico gli si diffondeva nel petto come schegge di ghiaccio. — Io non ho in funzione proprio niente.

  Dietro di loro, l'avvocato di Carmody si materializzò sulla so­glia. — Ah, Slattery. A quanto pare, avevi ragione tu. È depri­mente dover ammettere che abbiamo un pirata professionista tra noi. È stato più scaltro di quel che sembra.

  — State prendendo un abbaglio colossale... — protestò Har­ry, avanzando.

  Carmody si staccò dalla scrivania in una frazione di secondo, zittendo Harry con un pugno forte e preciso che lo fece piegare su se stesso e stramazzare sul pavimento.

  — Voglio che gli altri rimangano all'oscuro di questa faccen­da. — Carmody si controllò le nocche per vedere se ci fosse qual­che segno. — Nulla deve mettere a repentaglio le trattative. Se i giapponesi subodorassero qualcosa... — Sferrò un calcio a Har­ry, centrandolo allo stomaco.

  — Chiudilo in camera sua mentre rifletto. Questa storia si è ri­petuta troppe volte. Adesso basta. Dovremo dargli una punizio­ne esemplare.

  Harry provò a drizzarsi, ma il dolore all'addome lo costrinse a piegarsi di nuovo. Carmody lo fissò spassionatamente.

  — Pare che la testardaggine sia un difetto di famiglia, eh? — disse. — Uno come te avrebbe potuto essere utile all'organizza­zione. — Abbassando la voce, mormorò: — Hai perso, Harry. Ricordi quell'essere, il Poerdh? Be', non era nulla. Credo che sperimenteremo le nostre ultime rune su di te. Entro domani se­ra, ci implorerai di lasciarti morire.

  44

  Barricate

  La porta di quercia massiccia era chiusa a chiave dall'esterno. E anche sprangata in alto, apparentemente. Harry spinse co
n la spalla i pannelli centrali, ma non avvertì il minimo cedimento. Era di nuovo in camera sua, dopo essere stato scortato fin lì da Slattery. Mentre si chiedeva se le poche forze che gli rimanevano gli avrebbero consentito di aggredire l'avvocato e tentare la fuga, erano giunti a destinazione. Non si erano scambiati una parola, e la porta si era chiusa tra loro, ma non appena aveva sentito il ru­more della chiave nella serratura Harry si era precipitato al tele­fono e aveva scoperto che la linea era interrotta.

  Guardò l'orologio sulla mensola del caminetto, e constatò che dovevano trascorrere ancora tre ore prima dell'alba. Le finestre erano bloccate da arabeschi di ferro battuto che, oltre a essere decorativi, fungevano anche da sbarre. Non gli restava che atten­dere e vedere cosa sarebbe successo l'indomani mattina. Con le membra pesanti come piombo, si sedette adagio sul bordo del letto.

  All'improvviso, il televisore accanto a lui si accese, e alcuni di­segni runici scintillarono attraverso una bianca foschia statica di elettroni. Dagli altoparlanti scaturirono suoni che sembravano al di fuori di qualsiasi gamma audio normale. Carmody gli stava in­viando la maledizione servendosi dell'impianto televisivo a cir­cuito chiuso della casa. Harry si buttò sul letto, afferrò il teleco­mando e ne premette l'interruttore, ma non accadde nulla. Die­tro il televisore, uno spesso cavo bianco scompariva nel battisco­pa. Inginocchiatosi, Harry strinse il cavo con entrambe le mani e tirò con quanta forza aveva in corpo. Inutile. Non riuscì a stac­carlo. I segnali runici proiettavano chiazze di luce pulsante sulle pareti della stanza.

  Harry corse in bagno e prese un paio di forbici dal nécessaire da toeletta sulla mensola del lavabo. Tenendole attraverso il ny­lon gommato della busta, tornò accanto al televisore e si mise a tagliare il cavo. I sibili e gli strilli della trasmissione cominciava­no a provocargli un senso di nausea. Ci fu una vampata di luce, e Harry ebbe l'impressione che il braccio gli fosse stato lambito da una fiamma. I suoni e le immagini cessarono, e lo schermò tornò nero. Harry si abbandonò di nuovo sul letto, stringendosi il go­mito ustionato.

 

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