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Rune

Page 31

by Christopher Fowler


  Il lieve scricchiolio della porta che si apriva fu sufficiente a de­starlo. Celia Carmody entrò nella stanza. Anche se il sole non era ancora sorto all'orizzonte, la donna era già vestita. Si accostò al letto e s'inginocchiò, portando un dito alle labbra. — Non dire nulla. Presto verrà a prenderti. Devi andartene.

  Harry le strinse il braccio. La sua pelle alabastrina era fresca e liscia. — Puoi farmi uscire?

  — Di notte lui chiude le porte. Nemmeno io ho le chiavi. Do­vrai passare dalla serra.

  Harry si alzò e cominciò a infilare le sue cose nella borsa da viaggio.

  — Lascia stare il bagaglio. Avrà messo qualcosa lì dentro, probabilmente nelle fodere dei vestiti. Non portare nulla con te. Non devi sottovalutare mio marito. — Sul volto pallido di Celia apparve un'espressione di paura. Harry si domandò cosa sarebbe accaduto se Carmody avesse scoperto che lei lo stava aiutando a fuggire.

  — Come hai fatto a sapere quel che è successo stanotte? — le chiese.

  — Non riuscivo a dormire. Ho sentito Daniel che passava da­vanti alla mia porta, così mi sono alzata. Dal pianerottolo del­l'ala ovest si vede nello studio. Dobbiamo sbrigarci. — Celia lo precedette lungo il corridoio, evitando le tavole che scricchiola­vano. Sulla scala, sussultarono quando l'orologio dell'atrio battè le cinque. Poi percorsero svelti e silenziosi il corridoio di pietra che conduceva nella serra.

  — Perché lo fai? — sussurrò Harry, lanciando un'occhiata alla sua forma indistinta che passava tra lembi di luce fioca. Sembra­va ancor più delicata ed eterea della prima volta che l'aveva vi­sta.

  — Sei diverso dagli altri. Penso che ci sia ancora una possibili­tà per te. E poi, tu puoi andartene, e io no. — Harry intravide di sfuggita il suo viso mentre lei rispondeva. Gli occhi erano quelli di una donna profondamente disillusa, gli occhi di qualcuno da troppo tempo senza amore. Celia gli prese la mano e lo guidò tra due file di palme in vaso.

  — Ho aperto una finestra. Muoviti, ma non prendere l'auto. Probabilmente l'hanno manomessa. Segui il sentiero in fondo al giardino. Non entrare nel bosco. Raggiungerai il villaggio in me­no di un'ora, e là troverai una stazione. Lui si alzerà solo tra un po'. Ti serve del denaro?

  Harry si tastò e sentì il portafoglio. — Ne ho a sufficienza. Ma... e tu, cosa farai?

  — Inventerò qualcosa da dirgli. Me la caverò.

  Obbedendo a un impulso improvviso, Harry tornò verso di lei e le strinse una mano. — Potresti venire con me.

  — Questa è ancora la mia casa. Non posso andarmene. Un giorno, le cose andranno meglio.

  Lui si chinò e la baciò delicatamente. Le labbra fresche di Ce­lia si schiusero, come se sperimentassero la tenerezza per la pri­ma volta. Celia si abbandonò al bacio solo per un attimo, poi po­sò la mano sul petto di Harry e lo spinse di nuovo verso la fine­stra. Harry attraversò il prato di corsa, oltrepassò il tratto di ter­riccio smosso dove aveva cercato di uccidersi poche ore prima. Mentre superava la siepe e sbucava nella strada, si voltò per un ultimo sguardo alla casa, e scorse Celia incorniciata nel riquadro della finestra che lo osservava.

  Di solito Dorothy Huxley si alzava presto, ma domenica matti­na era ancora a letto quando arrivò la polizia. Lottando contro gli effetti del sonnifero preso la sera prima, scostò la tenda della camera da letto e guardò giù.

  Due agenti aspettavano pazientemente davanti alla porta. Sembravano quasi fin troppo giovani per indossare una divisa. Senza dubbio, erano lì per farle altre domande su Frank. Men­tre si vestiva, Dorothy si chiese quale fosse il modo migliore per sbarazzarsi di loro.

  La morte dell'amico era stata uno shock tremendo ma, strana­mente, non una grande sorpresa per lei. Venerdì sera, quando era rincasata, Frank era rimasto a lavorare in biblioteca, seduto davanti al monitor, impegnato nel suo progetto. In qualche mo­do, aveva visto le rune. Era l'unica spiegazione possibile. Forse era morto in circostanze più bizzarre rispetto alle vittime degli incidenti di cui si occupava, ma il seme della sua morte era stato piantato in biblioteca, Dorothy ne era certa. Arrivando al lavoro sabato, aveva trovato ad attenderla davanti all'ingresso parecchi giornalisti. Uno l'aveva perfino seguita a casa, ed era rimasto di­verse ore sotto le sue finestre a gridarle offerte in denaro per un'intervista.

  Dorothy avrebbe aspettato tranquilla che i poliziotti se ne andassero, poi si sarebbe recata in biblioteca e avrebbe frugato tra le cose di Frank in cerca della maledizione runica prima che qualcun altro decidesse di fare altrettanto. Ormai non poteva più salvare Frank, probabilmente però non era troppo tardi per impedire che altre persone rimanessero vittima di un destino grottesco.

  Chiamò Grace dalla stazione, svegliandola. — Ripeti — disse la ragazza, con voce roca e insonnolita. — Dove sei?

  — Sto tornando a Londra. Il treno dovrebbe arrivare da un istante all'altro.

  — Credevo che fossi andato lì in auto.

  — Non c'è tempo per spiegare. Ascolta, non posso tornare a casa mia. È il primo posto dóve Carmody e i suoi uomini mi cer­cheranno.

  — Mi pare di capire che la missione non sia stata un successone.

  — Tu resta lì, verrò io da te. Non rispondere più al telefono fino al mio arrivo, non uscire, non guardare la televisione e non ascoltare la radio. E non aprire la porta a nessuno.

  — Sai quel che fai, suppongo... — Ci fu un attimo di silenzio.

  — La polizia ti ha cercato qui, Harry. Gli ho detto che non ti ve­devo da giorni. Cos'è che è andato storto?

  — Non ne sono sicuro. Qualcuno ha messo il mio nome nella lista nera elettronica di Carmody proprio quando lui aveva deci­so di fidarsi di me. — Le rotaie cominciarono a produrre una vi­brazione metallica annunciando l'arrivo di un treno. — Devo an­dare.

  — Aspetta, aspetta! Devo sapere cos'ha intenzione di fare quel tipo. Harry sorrise amaro, osservando le carrozze che rallentavano.

  — Diciamo che le Preghiere del Diavolo stanno per entrare nel settore pubblico. Ci vediamo tra un paio d'ore.

  Mentre l'autobus si avvicinava alla biblioteca, Dorothy con­trollò nella borsa per assicurarsi di non avere dimenticato le chia­vi. Se fosse stato necessario, avrebbe potuto tenere a bada sia la polizia sia la stampa mentre frugava nella scrivania di Frank. Si­stemò il vecchio cappello di feltro, calcandoselo in testa. La sua miglior difesa consisteva nell'assumere un atteggiamento di rimbambimento senile.

  Dopo una breve schiarita in cui la pioggia era cessata, il cielo si era oscurato di nuovo sui grattacieli della capitale, annunciando un temporale.

  Dorothy si abbottonò il soprabito e si alzò, notando soddi­sfatta che erano appena le nove e mezzo. I poliziotti erano ri­masti davanti alla sua porta solo per qualche minuto, prima che uno di loro rispondesse a una chiamata via radio. Non appena si erano allontanati per occuparsi d'altro, Dorothy era uscita al­la chetichella.

  La biblioteca fredda, umida e silenziosa l'attendeva. Dorothy provò un brivido di inquietudine quando attraversò il pavimento di parquet familiare diretta verso la scrivania di Frank. Avanzan­do, si accorse che il monitor dell'impianto video era rimasto ac­ceso.

  Dunque, il male era arrivato nel modo che temeva maggior­mente e comprendeva meno, pulsando attraverso un sistema in­visibile di particelle elettroniche. Dorothy capiva le complessità più oscure della pagina stampata, ma il nuovo mondo tecnologi­co era un mistero per lei. Raggiunse la scrivania, e si rese conto di avere paura di guardare lo schermo.

  Con la coda dell'occhio vide che l'immagine sul monitor era stabile e immobile, il normale monoscopio di rete. Aveva letto il libretto d'istruzioni dell'apparecchiatura video, ma non l'aveva capito del tutto.

  Cauta, passò accanto al monitor e rovistò nel ripiano della scrivania di Frank. C'era un astuccio vuoto accanto al videoregi­stratore. Si chinò e sbirciò nella fessura. La cassetta era ancora all'interno. Presumibilmente, Frank aveva guardato il nastro ma si era dimenticato di spegnere l'apparecchio. Trovò il telecoman­do e premette il tasto di riavvolgimento. Non appena il nastro fu tornato all'inizio, premette play e, lentamente,
alzò gli occhi verso lo schermo.

  odel Corporation

  Seguì un paragrafo che diffidava dal violare il copyright. Quindi un avviso di pericolo fisico reale.

  Doveva essere stato come un drappo rosso sventolato di fronte a un toro. Da una vita, Frank cercava delle prove che dimostras­sero l'esistenza del grande complotto. Come avrebbe potuto resistere alla tentazione di visionare materiale del genere? Aveva lasciato scorrere il nastro fino al termine, e così aveva attivato una maledizione runica. Dorothy premette il tasto di espulsione sul telecomando, e ripose la cassetta nell'astuccio prima di spe­gnere il monitor. Quella era la prova che aspettava.

  Frank era stato ucciso intenzionalmente, o involontariamen­te? Qualcuno aveva scoperto che stavano indagando. Se la morte di Frank era stata premeditata, forse il nastro era destinato anche a lei! Il che significava che non poteva nemmeno rischia­re di tornare a casa. La sua vita era in pericolo, ma a chi avreb­be potuto dirlo? Chi avrebbe creduto alla vecchia bibliotecaria pazza?

  Pensò alla Congregazione di Camden Town, ma sapeva che quelle persone probabilmente avrebbero finito col peggiorare la situazione invece di rendersi utili.

  In preda al panico, corse all'ingresso della biblioteca e ne sbar­rò la porta. Poi si sforzò di riflettere un istante. Il frigorifero sgangherato della sala personale era ben fornito di cibo. Se intendeva davvero barricarsi all'interno, cos'altro le sarebbe servi­to? Lavabo. Divano. Gabinetto. C'erano perfino degli indumen­ti di ricambio in uno degli armadi del ripostiglio. Tutto quello che le occorreva per la sopravvivenza era proprio lì. Frugò nella borsetta, cercando il numero della linea d'emergenza che Arthur Bryant le aveva dato. Nel giro di qualche secondo, ottenne la comunicazione.

  — Temo che il signor Bryant non sia reperibile in questo mo­mento — disse una voce femminile gradevolmente profonda.

  — È importantissimo. Sono una sua amica. Pensa che sia a ca­sa?

  — È andato all'ospedale ed è uscito presto stamattina, ma non è ancora rincasato. Posso farla richiamare?

  Dorothy si innervosì. — Avrete senz'altro qualche altro modo per mettervi in contatto tra voi, no? — chiese.

  — Se è un'amica del signor Bryant, saprà che si rifiuta di por­tare il cercapersone o la radio o aggeggi simili. Se dovesse farsi vivo, chi devo dire che ha chiamato?

  — Dorothy Huxley. Lei chi è?

  — Il sergente Longbright.

  Dorothy diede il proprio numero al sergente. Poi, tremando ancora, tornò a custodire le prove, in attesa dei soccorsi.

  Mentre il treno entrava nella stazione di Liverpool Street, Harry si domandò quale fosse la portata dei poteri di Carmody. Una volta informato della fuga del prigioniero, con che rapidità sarebbe stato in grado di organizzare un'operazione di rappresa­glia? La cosa migliore da fare era aspettarsi il peggio. Celia ave­va ragione. Date le conoscenze di Carmody in campo finanziario e tecnologico era impossibile sottovalutarlo.

  Harry scese dal treno e attraversò alla svelta l'atrio pressoché deserto, raggiungendo l'entrata del metro. Erano quasi le nove di domenica mattina. Decise di non richiamare Grace. Meglio andare subito da lei e trovare il modo di proteggersi dalle comu­nicazioni della odel.

  Quando suonò il campanello del suo appartamento, Grace si affacciò alla finestra per controllare chi fosse, e a Harry tornò in mente il giorno del loro primo incontro. A quell'ora del mattino, Grace non era ancora truccata, né aveva i capelli impomatati di gel, il che rendeva meno freddo il suo aspetto.

  — Meglio che tu salga e mi racconti tutto — gli disse, gettan­dogli le chiavi. — Hai un'aria terribile. — Harry annaspò, mancò la presa, e alzò lo sguardo con un sorriso di scusa, ma lei stava già chiudendo la finestra.

  Harry le descrisse dettagliatamente gli avvenimenti del weekend, iniziando dal suo arrivo a casa di Carmody. Purtroppo, al­la storia mancava una conclusione soddisfacente, e la cosa non sfuggì a Grace.

  — Vediamo se ho capito bene — disse. — Ora come ora, sei sospettato di omicidio plurimo e ricercato dalla polizia, sei stato condannato a morte da una delle più potenti multinazionali del paese, sei l'istigatore di un tipo di vendetta soprannaturale inar­restabile, e non puoi dimostrare un bel niente perché sei tornato senza uno straccio di prova.

  — Qualcosa del genere, sì — ammise Harry, accostandosi al divano e cingendole la vita. — Ho bisogno di un abbraccio.

  — Ormai Carmody saprà che sei fuggito. — Grace lo strinse con forza, posandogli la testa sul petto. — A parte la televisione, il telefono e la radio, quali altri sistemi può usare per trasmettere le rune? A cosa dobbiamo stare attenti?

  — È questo il problema. Conosco solo i sistemi che mi ha de­scritto. Sapendolo, Carmody cercherà di usare un metodo che io non immaginerei mai. Magari mentre mi aspetto un attacco tecnologico avanzato, potrebbe colpirmi con un semplice pezzo di carta stampato.

  — Non sa che sei qui con me.

  — Credo che non ci metterà molto a scoprirlo. Dobbiamo presumere che possa raggiungerci attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione usato per la pubblicità e l'informazione, come stampe pubblicitarie, riviste, giornali, etichette di prodotti, cam­pioni gratuiti... l'elenco è infinito.

  — Ma i suoi metodi per eliminarti sono sicuramente limitati, perché altrimenti anche tutti gli altri che vedranno le rune saran­no colpiti.

  — O ha scoperto un sistema per personalizzarle, o farà in mo­do che le veda solo io. Non dobbiamo trascurare nulla, l'attacco può arrivare da qualsiasi direzione.

  — Che ironia della sorte — commentò Grace. — Sei un pub­blicitario, hai fatto carriera in questo settore, e adesso a quanto pare il potere della pubblicità si è rivoltato contro di te. Nessuno ha detto che il Diavolo, al suo ritorno sulla terra, avrebbe indos­sato i panni di un uomo d'affari. Che facciamo?

  — Innanzi tutto, dobbiamo trovare un posto sicuro per te. È a me che Carmody sta dando la caccia. Tu non c'entri.

  — Frank è morto perché gli ho dato la cassetta con le rune. Qualunque cosa accada, noi stiamo insieme.

  — Va bene. Carmody ha altre persone che vuole togliere di mezzo prima che inizino le trasmissioni via satellite della odel.

  — Cosa trasmetterà di preciso?

  — A lungo termine, ha intenzione di inserire dei comandi ru­nici nelle immagini diffuse, messaggi che dovrebbero cambiare lentamente le abitudini sociali del suo pubblico, probabilmente in un arco di tempo piuttosto esteso grazie al quale il fenomeno passerà inosservato. Ma c'è dell'altro, qualcosa che Carmody stava dicendo la notte scorsa...

  — Cioè?

  — Credo che userà la prima trasmissione per sbarazzarsi dei suoi rivali, anche se non so come intenda farlo senza uccidere tutti quelli che si sintonizzeranno su quel programma.

  — Come hai detto prima, forse ha trovato il modo di persona­lizzare le maledizioni. Quando incominceranno queste trasmis­sioni?

  — Nessuno ha parlato di una data — rispose Harry. — Però ricordo di avere letto qualcosa a questo riguardo in uno degli ul­timi supplementi domenicali.

  — Aspetta, penso di avere ancora i giornali della scorsa setti­mana. — Grace ne tirò fuori un fascio da sotto il divano. — Co­mincia a dare un'occhiata.

  Poi prese il telefono e formò un numero. — Abbiamo ancora una prova concreta da presentare alle autorità, se ci ascolteran­no.

  — Chi stai chiamando?

  — È da ieri che sto cercando di mettermi in contatto con la biblioteca dove lavorava Frank. La nostra cassetta dev'essere ancora là. L'impianto video di cui si serviva Frank era quello della biblioteca. — Grace stava per riappendere dopo una quin­dicina di squilli, quando sollevarono il ricevitore. Dapprima pensò che non ci fosse nessuno all'altro capo della linea, però si sentiva un lieve sibilo, come se qualcuno stesse trattenendo il respiro.

  — Pronto? Non c'è nessuno? Sono un'amica di Frank.

  Il silenzio durò ancora a lungo e, apparentemente, fu rotto so­lo dopo un'attenta riflessione. — Frank Drake è morto — disse l'anziana bibliotecaria.r />
  — Lo so. Sono Grace Crispian.

  — Grace. — La vecchia signora ripetè il nome, e dal tono di voce sembrava che non fosse un nome nuovo per lei. Frank infat­ti aveva accennato parecchie volte alla ragazza.

  — Chiedi se il tuo amico ha lasciato qualcosa in biblioteca — sussurrò Harry. — Dobbiamo riavere il nastro.

  — Non posso.

  — Devi. Altrimenti non abbiamo nessuna prova.

  — Lei dev'essere Dorothy — disse infine Grace. — Frank mi ha parlato molto di lei. Se non sbaglio, lei l'ha anche portato a una seduta spiritica.

  — Sì. Lo stavo aiutando nel suo progetto.

  — Anche noi. Peccato che sia morto prima di poter pubblicare i risultati della sua ricerca.

  Ci fu una pausa, e in quel momento Grace ebbe la sensazione che Dorothy fosse al corrente del loro segreto. Capì di doversi affidare all'istinto.

  — Lei sa delle rune, vero? — disse all'improvviso. Alle sue spalle, Harry sussultò. — Sa che possono uccidere e farlo sem­brare un incidente. È questo che è successo a Frank.

  — Lo so.

  — Allora può aiutarci?

  — Forse.

  — Potremmo venire da lei, subito?

  — Non so... — Dorothy sembrava spaventata.

  — La prego — insistè Grace. — Ho già l'indirizzo.

  — Ha detto potremmo venire... Non è sola?

  — Sono con un amico. Anche lui sa delle rune. Ha conosciuto l'uomo responsabile di tutto questo.

  — D'accordo. Però quando arrivate passate dal retro. Ho sbarrato la porta principale.

  — Capisco. Saremo lì al più presto. — Mentre Grace riap­pendeva, Harry le porse una rivista.

  — La rete via satellite di Carmody entrerà in funzione a pieno ritmo solo tra parecchie settimane. Ma l'apparato tecnologico è pronto, e New York riceverà la prima trasmissione di prova lu­nedì alle diciannove. Una trasmissione di mezz'ora, che rag­giungerà la costa orientale degli Stati Uniti alle quattordici ora locale. Ecco il nostro limite massimo di tempo.

 

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