Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)
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de la mala coltura, quando il loglio
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si lagnerà che l’arca li sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancor troveria carta →
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u’ leggerebbe ‘I’ mi son quel ch’i’ soglio’;
ma non fia da Casal né d’Acquasparta, →
là onde vegnon tali a la scrittura, →
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ch’uno la fugge e altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura → →
da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
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sempre pospuosi la sinistra cura. →
Illuminato e Augustin son quici, →
che fuor de’ primi scalzi poverelli
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che nel capestro a Dio si fero amici. →
Ugo da San Vittore è qui con elli, →
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, → →
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lo qual giù luce in dodici libelli;
Natàn profeta e ’l metropolitano → →
Crisostomo e Anselmo e quel Donato → →
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ch’a la prim’ arte degnò porre mano.
Rabano è qui, e lucemi dallato →
il calavrese abate Giovacchino →
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di spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino →
mi mosse l’infiammata cortesia → →
di fra Tommaso e ’l discreto latino; →
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e mosse meco questa compagnia.”
PARADISO XIII
Imagini, chi bene intender cupe → →
quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image, →
3
mentre ch’io dico, come ferma rupe—,
quindici stelle che ’n diverse plage
lo cielo avvivan di tanto sereno
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che soperchia de l’aere ogne compage;
imagini quel carro a cu’ il seno →
basta del nostro cielo e notte e giorno,
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si ch’al volger del temo non vien meno;
imagini la bocca di quel corno →
che si comincia in punta de lo stelo
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a cui la prima rota va dintorno,
aver fatto di sé due segni in cielo, →
qual fece la figliuola di Minoi
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allora che sentì di morte il gelo;
e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, →
e amendue girarsi per maniera
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che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
e avrà quasi l’ombra de la vera →
costellazione e de la doppia danza
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che circulava il punto dov’ io era:
poi ch’è tanto di là da nostra usanza, →
quanto di là dal mover de la Chiana
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si move il ciel che tutti li altri avanza.
Lì si cantò non Bacco, non Peana, →
ma tre persone in divina natura,
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e in una persona essa e l’umana.
Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; →
e attesersi a noi quei santi lumi,
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felicitando sé di cura in cura.
Ruppe il silenzio ne’ concordi numi → →
poscia la luce in che mirabil vita
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del poverel di Dio narrata fumi,
e disse: “Quando l’una paglia è trita, →
quando la sua semenza è già riposta,
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a batter l’altra dolce amor m’invita.
Tu credi che nel petto onde la costa → →
si trasse per formar la bella guancia
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il cui palato a tutto ’l mondo costa,
e in quel che, forato da la lancia, →
e prima e poscia tanto sodisfece,
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che d’ogne colpa vince la bilancia,
quantunque a la natura umana lece →
aver di lume, tutto fosse infuso
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da quel valor che l’uno e l’altro fece;
e però miri a ciò ch’io dissi suso,
quando narrai che non ebbe ’l secondo
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lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, →
e vedräi il tuo credere e ’l mio dire →
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nel vero farsi come centro in tondo.
Ciò che non more e ciò che può morire → →
non è se non splendor di quella idea →
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che partorisce, amando, il nostro Sire;
ché quella viva luce che sì mea →
dal suo lucente, che non si disuna
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da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, →
per sua bontate il suo raggiare aduna,
quasi specchiato, in nove sussistenze, →
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etternalmente rimanendosi una. →
Quindi discende a l’ultime potenze →
giù d’atto in atto, tanto divenendo,
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che più non fa che brevi contingenze;
e queste contingenze essere intendo
le cose generate, che produce
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con seme e sanza seme il ciel movendo.
La cera di costoro e chi la duce →
non sta d’un modo; e però sotto ’l segno
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idëale poi più e men traluce.
Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,
secondo specie, meglio e peggio frutta;
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e voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a punto la cera dedutta
e fosse il cielo in sua virtù supprema,
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la luce del suggel parrebbe tutta;
ma la natura la dà sempre scema,
similemente operando a l’artista →
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ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.
Però se ’l caldo amor la chiara vista →
de la prima virtù dispone e segna,
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tutta la perfezion quivi s’acquista.
Così fu fatta già la terra degna
di tutta l’animal perfezïone;
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così fu fatta la Vergine pregna;
sì ch’io commendo tua oppinïone,
che l’umana natura mai non fue
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né fia qual fu in quelle due persone.
Or s’i’ non procedesse avanti piùe, →
‘Dunque, come costui fu sanza pare?’
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comincerebber le parole tue.
Ma perché paia ben ciò che non pare,
pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
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quando fu detto ‘Chiedi,’ a dimandare.
Non ho parlato sì, che tu non posse
ben veder ch’el fu re, che chiese senno
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acciò che re sufficïente fosse;
non per sapere il numero in che enno → →
li motor di qua sù, o se necesse →
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con contingente mai necesse fenno;
non si est dare primum motum esse, →
o se del mezzo cerchio far si puote →
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trïangol sì ch’un retto non avesse.
Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, →
regal prudenza è quel vedere impari
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in che lo stral di mia intenzion percuote;
e se al ‘surse’ drizzi li occhi chiari, →
vedrai aver solamente respetto
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ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
Con questa distinzion prendi ’l mio detto; →
e così puote star con quel che credi
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del primo padre e del nostro Diletto.
E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, → →
per farti mover lento com’ uom lasso
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e al sì e al no che tu non vedi:
ché quelli è tra li stolti bene a basso, →
che sanza distinzione afferma e nega
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ne l’un così come ne l’altro passo;
perch’ elli ’ncontra che più volte piega
l’oppinïon corrente in falsa parte,
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e poi l’affetto l’intelletto lega.
Vie più che ’ndarno da riva si parte, → →
perché non torna tal qual e’ si move,
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chi pesca per lo vero e non ha l’arte.
E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti, →
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li quali andaro e non sapëan dove;
sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti →
che furon come spade a le Scritture →
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in render torti li diritti volti.
Non sien le genti, ancor, troppo sicure →
a giudicar, sì come quei che stima
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le biade in campo pria che sien mature;
ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima →
lo prun mostrarsi rigido e feroce,
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poscia portar la rosa in su la cima; →
e legno vidi già dritto e veloce →
correr lo mar per tutto suo cammino,
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perire al fine a l’intrar de la foce.
Non creda donna Berta e ser Martino, →
per vedere un furare, altro offerere, →
vederli dentro al consiglio divino;
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ché quel può surgere, e quel può cadere.” →
PARADISO XIV
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro →
movesi l’acqua in un ritondo vaso,
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secondo ch’è percosso fuori o dentro:
ne la mia mente fé sùbito caso →
questo ch’io dico, sì come si tacque
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la glorïosa vita di Tommaso, →
per la similitudine che nacque →
del suo parlare e di quel di Beatrice,
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a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
“A costui fa mestieri, e nol vi dice →
né con la voce né pensando ancora,
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d’un altro vero andare a la radice.
Diteli se la luce onde s’infiora
vostra sustanza, rimarrà con voi
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etternalmente sì com’ ell’ è ora;
e se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti,
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esser porà ch’al veder non vi nòi.”
Come, da più letizia pinti e tratti, →
a la fiata quei che vanno a rota
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levan la voce e rallegrano li atti,
così, a l’orazion pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
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nel torneare e ne la mira nota.
Qual si lamenta perché qui si moia →
per viver colà sù, non vide quive
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lo refrigerio de l’etterna ploia.
Quell’ uno e due e tre che sempre vive →
e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
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non circunscritto, e tutto circunscrive, →
tre volte era cantato da ciascuno →
di quelli spiriti con tal melodia,
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ch’ad ogne merto saria giusto muno. →
E io udi’ ne la luce più dia → →
del minor cerchio una voce modesta, →
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forse qual fu da l’angelo a Maria, →
risponder: “Quanto fia lunga la festa → →
di paradiso, tanto il nostro amore
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si raggerà dintorno cotal vesta.
La sua chiarezza séguita l’ardore; → →
l’ardor la visïone, e quella è tanta,
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quant’ ha di grazia sovra suo valore.
Come la carne glorïosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
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più grata fia per esser tutta quanta;
per che s’accrescerà ciò che ne dona
di gratüito lume il sommo bene,
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lume ch’a lui veder ne condiziona;
onde la visïon crescer convene, →
crescer l’ardor che di quella s’accende,
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crescer lo raggio che da esso vene.
Ma sì come carbon che fiamma rende, →
e per vivo candor quella soverchia,
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sì che la sua parvenza si difende;
così questo folgór che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
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che tutto dì la terra ricoperchia;
né potrà tanta luce affaticarne: →
ché li organi del corpo saran forti
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a tutto ciò che potrà dilettarne.”
Tanto mi parver sùbiti e accorti →
e l’uno e l’altro coro a dicer “Amme!” →
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che ben mostrar disio d’i corpi morti:
forse non pur per lor, ma per le mamme, →
per li padri e per li altri che fuor cari
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anzi che fosser sempiterne fiamme.
Ed ecco intorno, di chiarezza pari, → →
nascere un lustro sopra quel che v’era, →
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per guisa d’orizzonte che rischiari.
E sì come al salir di prima sera →
comincian per lo ciel nove parvenze,
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sì che la vista pare e non par vera,
parvemi lì novelle sussistenze →
cominciare a vedere, e fare un giro
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di fuor da l’altre due circunferenze.
Oh vero sfavillar del Santo Spiro! →
come si fece sùbito e candente
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a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
Ma Bëatrice sì bella e ridente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
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si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser li occhi miei virtute →
a rilevarsi; e vidimi translato →
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sol con mia donna in più alta salute.
Ben m’accors’ io ch’io era più levato,
per l’affocato riso de la stella, →
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che mi parea più roggio che l’usato.
Con tutto ’l core e con quella favella → →
ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, →
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qual conveniesi a la grazia novella.
E non er’ anco del mio petto essausto
l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
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esso litare stato accetto e fausto;
ché con tanto lucore e tanto robbi →
m’apparvero splendor dentro a due raggi, →
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ch’io dissi: “O Elïòs che sì li addobbi!” →
Come distinta da minori e maggi →
lumi biancheggia tra ’ poli del mondo
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Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno →
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che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; → →
ché quella croce lampeggiava Cristo,
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sì ch’io non so trovare essempro degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo, →
ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
108
vedendo in quell’ albor balenar Cristo. →
Di corno in corno e tra la cima e ’l basso → →
si movien lumi, scintillando forte →
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nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
così si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
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le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, →
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l’ombra che, per sua difesa,
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la gente con ingegno e arte acquista. →
E come giga e arpa, in tempra tesa → →
di molte corde, fa dolce tintinno
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a tal da cui la nota non è intesa,
così da’ lumi che lì m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
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che mi rapiva, sanza intender l’inno.
Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,
però ch’a me venìa “Resurgi” e “Vinci”
126
come a colui che non intende e ode.
Ïo m’innamorava tanto quinci, →
che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
129
che mi legasse con sì dolci vinci.
Forse la mia parola par troppo osa, →
posponendo il piacer de li occhi belli,
132
ne’ quai mirando mio disio ha posa;