02 Hold Me. Qui
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Alcune delle cose che scrive Rawls non mi sono subito chiare, avrei bisogno di cercare su Google alcuni concetti per poterli comprendere meglio. Di certo non è una lettura leggera, e immagino che anche gli altri testi di giurisprudenza non siano molto più semplici di questo, eppure continuo ad andare avanti. Procedo abbastanza lentamente, ma quando alzo la testa dalle pagine mi accorgo che sono passate già tre ore. Da ben tre ore mi sto confrontando con le teorie sulla giustizia di Rawls e, se ho ben capito, lui sostiene che il senso di giustizia sia una delle componenti fondamentali dell’essere umano. Però, solo in una società che abbia dei giusti fondamenti è possibile svilupparlo. Mi sembra un discorso molto sensato, e mi piacerebbe vivere in un posto del genere. Giusto. Ho il cervello piacevolmente stanco, e in qualche modo più leggero. Sono ancora agitata, ma per la prima volta da giorni sperimento anche una piacevole calma. Chiudo il libro e lo metto sotto il cuscino.
A cena c’è anche Elijah e, anche se non sono esattamente una fan di mio fratello, sono contenta che concentri l’attenzione su di sé. Non fa molta conversazione, ma mio padre è felice di averlo accanto e questa sera è più affabile. E poi facciamo un aperitivo in suo onore, e io ottengo addirittura il permesso di bere un bicchiere di vino. Elijah beve parecchio, il che non è molto da lui, così impegnato a mantenere le apparenze. Tutti, qui, sanno che non sono la benvenuta e che ho perso ogni diritto di partecipare al lusso di questa casa, ma per questa sera fingiamo comunque di essere una famiglia normale. È una situazione penosa, ma devo farmela andare bene.
Mio fratello non mi guarda nemmeno in faccia, probabilmente ho deluso anche lui. Del resto, ha visto con i suoi occhi come ho calpestato l’onore della famiglia, e proprio nel suo grande giorno, in presenza dei suoi partner. Vorrei chiedergli se è stato gentile con Malik, ma evito.
Quando finiamo di mangiare, Elijah mi sorprende di nuovo. E non in positivo.
«Credo di aver bevuto un po’ troppo per guidare. Va bene se resto a dormire qui, stanotte?»
«Ma certo, tesoro», cinguetta mia madre. «Dico ad Agnes di farti preparare una delle stanze degli ospiti. Hai preferenze?»
«La camera verde», risponde lui, e io sono felice, perché significa che rimarrà lontano dalla mia stanza. È già abbastanza brutto dormire accanto alla porta dei miei genitori.
Mentre Elijah aspetta che il letto sia pronto, restiamo seduti in salotto. L’atmosfera è piuttosto tesa. Vorrei scusarmi e ritirarmi in camera mia come faccio sempre, ma non appena provo a dirlo mia madre scuote la testa e risponde: «Non è bello quando la famiglia si riunisce?»
Quando finalmente andiamo a dormire è mezzanotte passata, e io sono furiosa, perché sono troppo stanca per continuare a leggere complicate teorie politiche.
Dall’altra parte della parete sento i miei parlare a bassa voce, e non è la prima volta che mi chiedo di quali argomenti discutano quando sono soli. Chissà che rapporto triste devono avere: la brava moglie trofeo senza alcuna vera ambizione e il severo uomo d’affari che porta i soldi a casa. Un matrimonio davvero ingiusto. Possibile che mia madre sia sempre stata così? O è per via di mio padre che è diventata così fredda e rispettosa delle convenzioni sociali?
Dopo un po’ le loro voci ammutoliscono, e un paio di minuti più tardi tutta la casa pare immersa nel sonno. Spengo la luce e le palpebre si fanno subito pesanti. Non si sente più alcun rumore e sto per addormentarmi, quando all’improvviso…
Qualcuno ha bussato? Devo averlo immaginato. Ma no, ecco di nuovo lo stesso rumore. Così lieve da essere quasi impercettibile. Che significa? Vado alla porta in punta di piedi. Non sono ancora sicura di non essermi immaginata tutto. Forse sto perdendo il senno. Ma, quando abbasso la maniglia e apro, mi trovo davanti Elijah.
Faccio per dire qualcosa, ma lui mi posa un dito sulle labbra e mi fa cenno di seguirlo. Sono stanca e non ho molta voglia di stare a sentire mio fratello, ma obbedisco. La camera verde, che deve il suo nome alla tappezzeria color giungla e alle poltrone rivestite di seta in tinta, è all’altro capo dell’ala ovest, mentre la mia stanza e quella dei miei genitori sono nell’ala est. Quando Elijah richiude la porta, mi azzardo a tirare il fiato.
«Elijah, ma che vuoi?» gli chiedo in un sussurro. Non mi fido ad alzare la voce.
«Siediti», mi ordina lui indicando il letto.
Faccio come dice, da una parte perché sono troppo stanca per oppormi, dall’altra perché sono davvero curiosa di sapere cosa vuole da me il mio fratello maggiore.
«Adesso ti racconterò una cosa, Zelda, e correrò un rischio. Se mi conoscessi, sapresti che questo comportamento non è affatto da me.»
Lo guardo e aggrotto la fronte. Di che sta parlando?
«Si tratta di una cosa che non ho mai detto a nessuno, almeno in questo mondo.»
In questo mondo? Ma che vuol dire? Esiste un altro mondo, per lui?
«Spero di non aver sbagliato a giudicarti. Ho riflettuto a lungo se ne valesse la pena e se posso davvero fidarmi di te, ma sono giunto alla conclusione che non riuscirei più a guardarmi allo specchio se continuassi ad assistere a quello che sta succedendo senza fare nulla. Ma tu devi promettere di tenere tutto per te. Guai a te se tradisci la mia fiducia. E da parte mia, io…» Si interrompe.
«Ma perché vuoi dirmi questo segreto, quando è evidente che non ti fidi di me?» chiedo, un po’ irritata. Non capisco perché abbia dovuto trascinarmi in camera sua, nel cuore della notte, solo per dirmi che non si fida. Davvero tipico.
«Perché voglio che tu capisca le mie motivazioni», risponde lui. Sono affascinata, questo discorso si fa sempre più misterioso.
«Motivazioni per cosa?» chiedo.
«Voglio aiutarti.»
Spalanco gli occhi, al punto che quasi mi cadono dalle orbite. «Cosa?» sussurro. «Perché?»
«Perché ho una motivazione personale, Zelda. È di questo che sto parlando. O non mi hai ascoltato?» dice con il tono di chi sta per perdere la pazienza.
«Sì, sì. Certo», mi affretto a rispondere.
Lui si lascia cadere su una delle poltrone imbottite e mi lancia un’occhiata penetrante. Poi si schiarisce la voce.
«Sono gay.»
Rimango a bocca aperta.
«Sono gay, e ho una relazione con un uomo già da diversi anni. Lui fa l’architetto e lo scorso autunno siamo andati a vivere insieme. Adesso puoi chiudere la bocca.»
Wow. Cosa? Sono sconcertata, ma obbedisco a Elijah e chiudo la bocca. Mio fratello è gay. E sta con qualcuno. Doppio wow.
«Aspetta un attimo. Da diversi anni? Da quanto?»
«Io e Marcus stiamo insieme ufficialmente da quattro anni.»
«Incredibile», commento, perché davvero non so cosa dire. All’improvviso tutto ha un senso. Elijah, che è sempre stato così taciturno, così chiuso. Il fatto che non abbia mai presentato una fidanzata. Le battutine dei nostri fratelli, i taciti rimproveri dei nostri genitori. Non c’è da stupirsi se a malapena dice una parola in casa!
«Incredibile? Davvero lo pensi?» chiede lui con un vago sorriso. Non credo di aver mai visto sul suo viso un’emozione che sembrasse così sincera.
«No, scusa. Non intendevo dire che non ci credo, è solo…» Sono confusa. «È incredibile che tu me l’abbia detto. O meglio, è incredibile che io sia l’unica persona a cui l’hai detto. Mi fa riflettere.»
«Be’, a qualsiasi conclusione tu giunga, adesso lo sai.»
Annuisco e, per un attimo, nessuno di noi due aggiunge altro. Io mi sento invadere da una sensazione di calore. Mio fratello si è fidato di me. Non di Sebastian o di Zachary. Di me! È davvero difficile da credere.
«So che io e te non abbiamo mai avuto un vero rapporto», riprende a parlare Elijah. «Ed è stata soprattutto colpa mia. Non mi sono mai sentito, come dire… a mio agio in questa famiglia. E sapevo che per te era lo stesso. E lo è ancora. Comunque, mi dispiace non aver capito prima che era mio dovere aiutarti.»
I suoi occhi azzurri mi fissano. Per la prima volta mi rendo conto che sono molto simili ai miei.
«Se davvero sei innamorata di questo Malik, se vuoi sta
re con lui e sei disposta a lasciarti alle spalle tutto questo – perché sai che andrà a finire così – allora ti aiuterò.»
«Santo cielo, Elijah», mormoro con le lacrime agli occhi. «Non so cosa dire.»
Sono assolutamente certa che Malik è tutto ciò che desidero. Sono pronta a rinunciare al resto, ai miei studi, che tanto finora non mi hanno portata da nessuna parte, alla mia famiglia. Tranne forse… Non so se posso permettermi questo pensiero, o se è davvero una possibilità, ma forse mi rimarrebbe ancora Elijah. Lui si alza, viene a sedersi accanto a me e mi cinge le spalle con un braccio. È una sensazione stranissima e sorprendente.
«Sì. Sì. Sono pronta a tutto questo», dico con tutta la convinzione che riesco a esprimere, anche se in questo momento sono sopraffatta da emozioni sconosciute. Per la prima volta in vita mia, ho davvero un fratello. È un pensiero stupefacente, che mi manda in confusione, e quasi non riesco ancora a crederci del tutto. Io ed Elijah. Ma la realtà è che lui è qui e mi sta offrendo il suo aiuto.
«Va bene. Immaginavo che le cose stessero così.» Nella voce di Elijah percepisco l’ombra di un sorriso. E una punta di orgoglio. Sì, sono sicura che fosse orgoglio. Quello di un fratello maggiore per la sua sorellina.
«Tieni. Qui ci sono un cellulare e la tua sim. Per non destare sospetti, ho lasciato il tuo telefono in cassaforte.»
«Elijah!» esclamo stupefatta. «Sei un genio!»
«Aspetta a dirlo», risponde. «Non posso prometterti niente, il grosso dovrai farlo tu. E immagino che per te sarà più dura di quanto è stato per me.»
Non riesco a trattenermi, getto le braccia al collo di mio fratello e lo stringo. Ma forse è lui che abbraccia me, in linea con il suo ruolo di fratello maggiore.
«Grazie, grazie, grazie», dico, bagnando la sua camicia di lacrime. Poi ho una sorta di illuminazione. «Hai bevuto troppo di proposito, per poter restare qui stanotte?»
Elijah sorride. «Può darsi. Mi dispiace di essere intervenuto così tardi», aggiunge accarezzandomi la schiena.
«No, non dispiacerti, davvero.» Sciolgo l’abbraccio e mi asciugo le lacrime, poi lo guardo negli occhi. «Questo è il miglior risarcimento che potrei mai avere per tutte le mie disgrazie. Ho davvero un fratello!»
«E io una sorella», ridacchia Elijah. Poi spegne di nuovo le emozioni e torna in modalità giurista iperefficiente.
«Ho parlato con il personale del Fairmont, mi hanno detto che Malik stava facendo un tirocinio per diventare chef.»
Annuisco.
«Un mio conoscente ha un buon ristorante a Pearley ed è spesso alla ricerca di collaboratori. Non sarebbe un vero e proprio tirocinio, ma potrebbe essere comunque un inizio. Gli ho già parlato ed è disposto a dare una possibilità a Malik.»
«Sul serio?» chiedo.
«Sul serio.»
«Ma anche tu devi riflettere bene, Zelda. Se te ne vai non avrai più un centesimo dai nostri genitori.»
«Lo so», rispondo, «ma non mi interessa. Ce la farò.»
«Lo dici adesso, ma tra un paio d’anni potresti domandarti se hai preso la decisione sbagliata. Mi dispiace chiedertelo proprio ora, ma devo saperlo. C’è qualcosa in cui sei brava? Qualcosa che ti piace fare?»
Siamo di nuovo lì. Questa è la domanda che mi pongo da quando mi sono trasferita a Pearley, e adesso esito un po’ prima di rispondere: «Lo sto ancora cercando».
«Okay. Non è esattamente la risposta che mi aspettavo. Pensaci, Zelda, che cosa ti interessa veramente? Cosa ti fa stare bene? La risposta non deve per forza essere Giurisprudenza, o Medicina, né un determinato ambito professionale. Magari c’è qualcosa che non hai mai preso in considerazione, perché ti sembrava troppo banale.»
«Mi piace discutere con gli arroganti», dico arrossendo un po’. Che idiota. «E provare gli smalti, ma queste sono tutte sciocchezze.»
«No che non lo sono», mi corregge Elijah. «Esistono i centri estetici, i saloni di bellezza.»
«E se non facesse per me?» chiedo incerta. «Se mi mancasse qualcosa?»
«Le discussioni?» ribatte Elijah ridacchiando. «Lo capisco, è per questo motivo che faccio l’avvocato.»
«Posso chiederti una cosa?» Sto per cambiare argomento in maniera un po’ brusca, ma sono troppo curiosa.
«Direi di sì. Il mio più grande segreto ormai te l’ho già detto.»
«In biblioteca ho trovato un libro di John Rawls, Una teoria della giustizia. Sai per caso come ci è arrivato?»
Elijah scoppia a ridere. «È mio», dice. «Oltre ai corsi di Giurisprudenza, per un paio di semestri ho seguito delle lezioni di Scienze politiche.»
«Non lo sapevo.» Mi chiedo quante cose non ho mai saputo di mio fratello. «Posso prenderlo in prestito?»
«Te lo regalo.»
40
Malik
È ARRIVATA Amy, riconosco la sua voce. Lei e Rhys sono seduti insieme in cucina a ripassare un’ultima volta la strategia per l’udienza che si terrà domani, in cui si giocano il tutto per tutto. C’è in ballo il futuro di una ragazzina e la felicità del mio migliore amico. Razionalmente comprendo l’importanza della questione, ma non provo nulla. Non ci riesco. Probabilmente ciò mi rende l’amico peggiore del mondo, ma anche questo per me è solo un concetto astratto.
Ho provato a fare pensieri positivi, ho provato a rimanere insensibile. Non funziona nulla, e io non conosco altre strategie. Non c’è modo di liberarmi del peso che sento addosso, della nebbia che mi avvolge e della morsa che mi toglie l’aria dai polmoni.
Nemmeno le visite di Jasmine aiutano. Lei cerca di venire a trovarmi ogni volta che può, si siede sul mio letto e mi stringe la mano. Mi racconta cosa succede a scuola e a casa. Io l’ascolto, ma niente di quello che dice fa breccia dentro di me. Solo quando mi chiede se deve dire la verità a mamma e papà mi riprendo per un attimo. La risposta è ovviamente no. Non devono sapere del mio fallimento. Non ancora. Un giorno glielo dirò, ma adesso mi serve tempo per digerire il colpo. Qualsiasi cosa voglia dire. Per il momento mi torna molto utile aver ridotto al minimo i contatti con loro dopo il disastroso pranzo, che a pensarci bene ha decretato l’inizio della fine.
Vorrei dire a Jasmine che deve smettere di venire, mi è insopportabile l’idea di essere un peso per la mia sorellina, dopo tutti i casini che ha dovuto affrontare a causa mia. Ma non ho la forza di convincerla, è troppo testarda.
Qualcuno bussa alla porta della mia camera, ma io non mi muovo. Tanto so che non andrà via, non lo fa mai. Sia Rhys sia Jasmine bussano sempre per educazione, ma poi non si fanno problemi a entrare anche se io non li invito. Anche in questo caso, la porta si apre. Mi volto verso la parete, come faccio sempre, perché in realtà non voglio vedere nessuno. Ma, soprattutto, non vorrei sentire la misera compassione nella voce di chi viene a trovarmi.
«Ciao Malik!» È Amy. «Come va?» Dopo una breve pausa, prosegue: «Domanda stupida, scusami. Sono bravissima a fare sempre le domande sbagliate. Ma sai, chiedere è comunque importante, si imparano tante cose, anche se non si ottengono risposte».
Non sembra compatirmi, più che altro mi pare stanca, ma non mi meraviglia. Di sicuro ha di meglio da fare che sprecare tempo con me.
«Mi dispiace non essere venuta prima, ma sai, domani c’è l’udienza… Rhys ti avrà raccontato. Non ce l’ho proprio fatta.»
Ed è meglio così, penso.
«Ho parlato con il signor Brentford», dice. «Gli ho raccontato quello che mi ha detto Rhys di te. Mi sarebbe piaciuto vederti di persona, ma come ti ho detto, negli ultimi giorni non sono riuscita nemmeno ad andare a fare la spesa.»
Se adesso se ne esce con la storia dei pensieri positivi del signor Brentford, giuro che scoppio a ridere. Ma poi ci ripenso e giungo alla conclusione che non lo farei mai. Non sono proprio in condizione di ridere.
«Nel tuo fascicolo c’è scritto che durante il secondo periodo di detenzione hai attraversato una fase depressiva», prosegue Amy. «Secondo il signor Brentford è importante che tu abbia qualcosa da fare. Per esempio, all’epoca lavorare in cucina ti ha aiutato.» Si ferma per un istante. «Non sono un
a psicologa, ma mi sembra evidente che finché rimani chiuso qui dentro le cose non miglioreranno.»
Mi mette una mano sulla spalla. È commovente il modo in cui si preoccupa per me, mi viene da chiedermi come mai nessuno si accorga che sono un caso senza speranza, uno che è capace solo di fare casini.
«Non posso prometterti di trovarti un altro tirocinio in una cucina.»
No, certo che no. La mia possibilità di diventare un cuoco me la sono giocata. In un colpo solo.
«Ma voglio che tu sappia che non sei solo. Io sono qui per te, come prima. E dopo l’udienza tornerò a concentrarmi su di te.»
Come se avesse senso farlo. Lei mi stringe la spalla e si alza.
«Insomma, non ti lascio andare, okay?»
Questa frase mi scatena qualcosa dentro, mi volto stancamente per guardare Amy. In piedi nella mia stanzetta spoglia sembra molto giovane. È stupefacente l’energia che mette nell’aiutare le persone.
«Grazie, Amy», rispondo con voce roca. Sono giorni che non parlo con nessuno. «Ma forse stai solo sprecando il tuo tempo.»
«Non credo», ribatte lei decisa. «Penso che tu sia una persona splendida, devi soltanto aprire gli occhi e vederti come ti vedono gli altri.»
Se ne va, senza lasciarmi il tempo di replicare.
Come mi vedono gli altri… Ridicolo. Clément mi guardava come un insetto da schiacciare, per i genitori di Zelda ero solo feccia. E lei ha scelto comunque loro. Non so cosa voglia dimostrarmi Amy, ma credo che sia lei a non aver capito come sono veramente. E, comunque, sa benissimo che non mi rimane molto tempo. Non ho soldi da parte e senza uno stipendio non sarò in grado di pagare l’affitto alla fine del mese. Preferisco essere un senzatetto piuttosto che gravare sulle spalle dei miei genitori.
Devi lottare, Malik, sussurra una voce flebile, nascosta da qualche parte nella mia testa. Ma è troppo lontana, e comunque non sa dirmi come fare. Se davvero esiste un modo per aggiustare le cose, è difficile che io non l’abbia già provato. La capacità di rialzare la testa è sempre stata uno dei miei punti di forza, ma arriva un momento in cui l’equilibrio tra la tua volontà e la merda che il mondo ti lancia addosso si fa insostenibile, e allora non ce la fai più.