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Nessun Dove

Page 28

by Neil Gaiman


  «L'ho fatto» disse a Hunter.

  «Bene» sussurrò lei.

  Poi non disse più nulla.

  Il Marchese de Carabas allungò la mano e le chiuse gli occhi. Richard pulì il pugnale di Hunter sulla camicia. Era quello che gli aveva detto di fare. Gli evitava di pensare.

  «Andiamo» disse il Marchese, alzandosi.

  «Ma non possiamo lasciarla qui.»

  «Possiamo. Potremo tornare dopo a prendere il corpo.»

  Richard lucido al meglio la lama sulla camicia. «E se non c'è un dopo?»

  «Allora potremo soltanto sperare che qualcuno trovi una degna sistemazione per tutte le nostre salme. Inclusa quella di Lady Porta. Che a quest'ora si sarà anche stancata di aspettarci.»

  Richard abbassò lo sguardo. Tolse l'ultima traccia del sangue di Hunter dal pugnale, e se lo infilò nella cintura. Quindi fece un cenno di assenso.

  «Tu vai» disse de Carabas. «Io ti seguo più in fretta che posso.» Richard esitò, poi, come meglio poteva, si mise a correre.

  Forse era per il sangue della Bestia. Non riusciva a dare un'al­tra spiegazione. Quale che fosse il motivo, andò dritto e sicuro at­traverso il labirinto, che per lui non aveva più segreti. Sentiva di conoscerne ogni svolta, ogni sentiero, ogni vicolo, strettoia o tun­nel.

  Corse, esausto, lungo il labirinto, il sangue che gli pulsava nel­le tempie. Mentre correva aveva in testa una rima, che seguiva il ritmo dei passi. Era qualcosa che aveva sentito da bambino.

  Notte, notte, sempre questa notte

  Ogni notte per tutta la notte

  Fuoco, fiamma e luce di candela

  Cristo accolga la tua anima che anela.

  Le parole continuavano a volteggiargli nella mente come un inno funebre. Fuoco, fiamma e luce di candela...

  Alla fine del labirinto si elevava a picco una scogliera di grani­to, e nella rupe era inserita una porta di legno a due battenti. Su uno dei battenti era appeso uno specchio ovale.

  La porta era chiusa. Toccò il legno, e al suo tocco la porta si apri silenziosamente.

  Richard entrò.

  DICIASSETTE

  Richard segui un sentiero segnato da candele accese che attra­verso un corridoio a vòlte lo portò al Gran Salone. Lo riconobbe. Era li che aveva bevuto il vino dell'angelo: un ottagono di piloni di ferro, l'enorme porta nera, il tavolo, le candele.

  Porta era incatenata con braccia e gambe divaricate a due pila­stri vicini alla porta di silice e argento. Mentre entrava lo fissò, gli occhi da folletto dallo strano colore enormi e spaventati.

  L'Angelo Islington, che era in piedi accanto a lei, si voltò e gli sorrise. Era in assoluto la cosa più raggelante: la gentile compas­sione, la dolcezza di quel sorriso.

  «Vieni, Richard Mayhew. Entra» disse l'Angelo Islington. «Po­vero me! Hai un aspetto davvero terribile.» La sua voce mostrava preoccupazione. Richard era riluttante.

  «Ti prego.» L'angelo fece un gesto, piegando le dita, che lo invitava ad affrettarsi a entrare. «Penso ci conosciamo tutti. Natu­ralmente conosci Lady Porta, e i miei soci, mister Croup e mister Vandemar.»

  Richard si girò. Croup e Vandemar erano al suo fianco, uno da una parte e uno dall'altra. Mister Vandemar gli sorrise. Mister Croup, no.

  «Speravo proprio che saresti arrivato» disse l'angelo. Si toccò lievemente la fronte, quindi chiese, «A proposito, dov'è Hunter?»

  «È morta» rispose Richard.

  Sentì Porta sospirare.

  «Oh, povera cara» commentò Islington. Scosse il capo, chiaramente rammaricato per l'insensata perdita di una vita umana, per la fragilità di tutti i mortali.

  «Tuttavia» disse mister Croup «non si può fare una frittata sen­za uccidere un po' di gente.»

  Richard si sforzò di non fare caso a loro. «Porta? Stai bene?»

  «Più o meno, grazie. Per ora.» Aveva il labbro inferiore gonfio e un livido sulla guancia.

  «Purtroppo» disse Islington «la signorina Porta si è dimostrata un tantino intransigente. Stavo giusto decidendo se chiedere a mi­ster Croup e a mister Vandemar di...» Esitò. Ovviamente c'erano termini che trovava sgradevole pronunciare.

  «Torturarla» suggerì il servizievole mister Vandemar.

  «Dopo tutto» aggiunse mister Croup «siamo famosi in ogni an­golo del creato per la nostra abilità nell'arte della tortura.»

  «Siamo bravi a far male alla gente» spiegò mister Vandemar.

  L'angelo continuò come se non avesse udito nessuno dei due. «Comunque la signorina Porta non mi sembra una persona che cambia facilmente idea.»

  «Dateci abbastanza tempo» disse mister Croup «e la spezziamo noi.»

  «In tanti piccoli pezzettini umidicci» disse mister Vandemar.

  Islington scosse il capo e sorrise con indulgenza a tale dimo­strazione di entusiasmo. «Non c'è tempo,» disse rivolto a Richard «non c'è tempo. Tuttavia, mi sembra invece una persona che agi­sce per porre fine al dolore e alle sofferenze di un amico, di un mortale suo pari come te, Richard...»

  Allora mister Croup colpi Richard allo stomaco, poi sferrò un violento colpo di taglio alla nuca.

  Richard si piegò in due. Senti le dita di mister Vandemar sul collo che lo riportavano in posizione eretta.

  «Ma è ingiusto!» esclamò Porta.

  Islington sembrava pensoso. «Ingiusto?» disse, come se cercas­se di ricordare il concetto.

  Mister Croup si rivolse a Richard. «È andato cosi oltre ciò che è giusto e ciò che è ingiusto che non li saprebbe distingure neppu­re con un telescopio in una bella notte limpida» disse. «Ora, mi­ster Vandemar, vuole fare lei gli onori di casa?» Mister Vandemar prese la mano sinistra di Richard nella sua. Trovò il mignolo e, con un unico rapido movimento, lo piegò all'indietro fino a spezzarlo.

  Richard gridò.

  L'angelo si voltò lentamente. Sembrava confuso. Socchiuse gli occhi scuri. «C'è qualcun altro là fuori, mister Croup?»

  Nel punto in cui si trovava mister Croup si vide un oscuro scin­tillio, e lui non era più li.

  Il Marchese de Carabas si era appiattito contro la parete di gra­nito, fissando le porte di quercia che conducevano al rifugio di Islington.

  Per la testa gli frullavano piani e macchinazioni. Aveva sempre pensato che una volta arrivato a quel punto avrebbe saputo cosa fare, e con grande disgusto stava scoprendo che invece non ne aveva la più pallida idea. Non c'erano altri favori da riscuotere, niente leve da spingere né pulsanti da premere.

  Perciò fissava le porte. Forse sarebbe accaduto qualcosa. Dopo tutto aveva dalla sua l'effetto sorpresa.

  Poi senti la lama di un coltello contro la gola e all'orecchio udi l'untuosa voce di mister Croup.

  «Ti ho già ucciso una volta, oggi» diceva. «Certa gente non impara proprio mai.»

  Quando mister Croup fece ritorno pungolando il Marchese de Carabas con il coltello, Richard era stato ammanettato e incatenato a due piloni di ferro.

  L'angelo guardò il Marchese, poi, dolcemente, scosse la bella testa. «Mi avevate detto che era morto» disse.

  «Lo è» disse mister Vandemar.

  «Lo era» corresse mister Croup.

  La voce dell'angelo era di una sfumatura meno dolce e meno gentile. «A me non si può mentire» disse.

  «Noi non mentiamo» disse mister Croup, offeso.

  «Si che lo facciamo» disse mister Vandemar.

  Esasperato, mister Croup si passò una mano sudicia tra i capel­li lerci. «Certo che lo facciamo, ma non questa volta.»

  Il dolore alla mano di Richard non sembrava intenzionato a di­minuire. «Come puoi comportarti cosi?» chiese rabbioso. «Sei un angelo.»

  «Cosa ti ho detto prima, Richard?» domandò seccamente il Marchese.

  Richard ci pensò un attimo. «Ha detto che anche Lucifero era un angelo.»

  Islington scoppiò a ridere. «Lucifero? Lucifero era un idiota. Ha finito per diventare signore e padrone del nulla più assoluto.»

  Il Marchese sogghignò. «E tu, invece, che hai finito per essere il signore e padrone di due farabutti e di
una stanza piena di candele?»

  L'angelo si inumidì le labbra. «Mi hanno detto che era la mia punizione per Atlantide. Io ho spiegato che non c'era nient'altro che potessi fare. Tutta quella faccenda è stata...» esitò, alla ricerca della parola giusta. «Uno sfortunato incidente.»

  «Ma sono morte milioni di persone» disse Porta.

  Islington unì le mani davanti al petto come stesse posando per un biglietto di auguri di Natale. «Queste cose accadono» spiegò con tono equilibrato. «Di città che sprofondano si ha notizia ogni giorno.»

  «E tu non c'entravi per niente?» chiese garbatamente il Mar­chese.

  In un periodo di fatti impressionanti e spaventosi, questo fu il più terribile a cui a Richard era capitato di assistere. La serena bel­lezza dell'angelo si incrinò, e con gli occhi fiammeggianti si mise a urlare contro di loro, spaventosamente pazzo e del tutto privo di autocontrollo, «Se lo sono meritato!»

  Era come se fosse stato scoperchiato qualcosa di oscuro e fre­mente: un pozzo di sconvolgimento, di furia e di estrema malvagità.

  Ci fu un istante di silenzio, poi l'angelo abbassò la testa, la sol­levò di nuovo e disse, con voce pacata e sfiorata dal rammarico, «Proprio una di quelle cose.» Quindi puntò il dito verso il Marchese e disse, «Incatenatelo.»

  Croup e Vandemar chiusero le manette intorno ai polsi del Mar­chese e lo incatenarono saldamente ai piloni accanto a Richard. L'angelo aveva rivolto la sua attenzione su Porta. Le si era avvici­nato, aveva allungato una mano e, mettendogliela sotto il mento, le aveva alzato il viso, per guardarla negli occhi. «La tua famiglia» disse, dolcemente. «Tu provieni da una famiglia davvero notevole. Davvero notevole.»

  «E allora perché hai voluto ucciderci?»

  «Non tutti» disse. Richard pensava stesse parlando di Porta, ma poi aggiunse, «C'era sempre la possibilità che tu potessi non... operare bene come invece hai fatto.»

  Le lasciò il mento e le accarezzò il viso con un lungo dito bian­co, quindi disse, «Quelli della tua stirpe possono aprire porte. Pos­sono creare porte dove non ce ne sono. Possono aprire porte sprangate. Aprire porte che non erano state fatte per essere aperte.» Le fece scorrere le dita sulla nuca, dolcemente, come in una lunga ca­rezza, poi strinse le dita attorno alla catena che portava al collo.

  «Quando sono stato condannato a rimanere qui, mi hanno dato la porta della mia prigione. Quindi hanno preso la chiave della porta e hanno messo quaggiù anche lei. Una raffinata forma di tor­tura.»

  Con gentilezza tirò la catena, estraendola da sotto gli strati di seta, pizzo e cotone di Porta, rivelando la chiave d'argento; poi fece scorrere le dita sulla chiave, come stesse esplorando luoghi segreti.

  Allora Richard comprese. «Quindi i Frati Neri la tenevano al sicuro da te» disse.

  Islington lasciò la chiave. Accanto a Porta c'era la porta di silice e argento. L'angelo la raggiunse e ci appoggiò sopra una mano, bianca contro il nero della pietra.

  «Da me» convenne Islington. «Una chiave. Una porta. Un apritore della porta. Dovevano esserci tutti e tre, vedete - un tipo di scherzo di gran classe. L'idea era che quando avessero stabilito che mi ero guadagnato il perdono e la libertà, mi avrebbero mandato un apritore e consegnato la chiave. Solo che io ho deciso di pren­dere in mano la faccenda e di andarmene un po' prima.»

  Tornò da Porta. Di nuovo accarezzò la chiave. Poi serrò la mano sul piccolo oggetto d'argento e tirò con forza. La catena si spezzò di colpo e Porta trasalì.

  «Ho parlato con tuo padre, Porta» continuò l'angelo. «Si preoc­cupava per il Mondo di Sotto. Voleva unire Londra Sotto, unire baronie e feudi - forse addirittura creare qualche tipo di legame con Londra Sopra. Gli ho detto che l'avrei aiutato se lui avesse aiutato me. Quando gli ho spiegato la natura dell'aiuto di cui ave­vo bisogno, mi ha riso in faccia.» Ripeté le parole come se ancora non riuscisse a crederci. «Ha riso. In faccia a me.»

  Porta scosse il capo. «E l'hai ucciso perché si è rifiutato di aiutarti?»

  «Non l'ho ucciso» disse Islington, con infinita dolcezza. «L'ho fatto uccidere.»

  «Ma mi ha detto che potevo fidarmi di te. Mi ha detto di venire qui. Nel suo diario.»

  Mister Croup cominciò a ridere scioccamente. «Non l'ha fatto» disse. «Non l'ha mai fatto. Siamo stati noi. Cosa diceva in realtà, mister Vandemar?»

  «Non fidarti di Islington» disse mister Vandemar con la voce di Portico. Era un'imitazione perfetta. «C'è Islington dietro a tutto questo. È pericoloso, Porta - tieniti lontana da lui...»

  Islington le accarezzò la guancia con la chiave. «Pensavo che la mia versione ti avrebbe fatta arrivare qui un po' più in fretta.»

  «Abbiamo preso il diario,» disse mister Croup «l'abbiamo si­stemato, poi l'abbiamo riportato al suo posto.»

  «Dove si va superando quella porta?» gridò Richard.

  «A casa» disse l'angelo.

  «In Paradiso?»

  E Islington non rispose, però sorrise, come sorride un gatto che non ha divorato solo la panna e il canarino, ma anche il pollo pron­to per la cena e la crème brûlée prevista per dessert.

  «Quindi pensi che non si accorgeranno che sei tornato?» sog­ghignò il Marchese. «Giusto un 'Oh, guarda, c'è un altro angelo, tieni, prendi un'arpa e diamoci dentro con gli osanna'?»

  Gli occhi di Islinton erano splendenti. «Non fa per me la tran­quilla agonia dell'adulazione, degli inni, delle aureole e delle pre­ghiere egoiste» disse. «Io ho... il mio programma.»

  «Be', adesso hai la chiave» disse Porta.

  «E ho te» disse l'angelo. «Tu sei l'apritore. Senza di te la chia­ve è inutile. Apri per me quella porta.»

  «Le hai ucciso la famiglia,» intervenne Richard «l'hai fatta in­seguire per tutta Londra Sotto. Adesso vorresti che ti aprisse la porta per permetterti di invadere da solo il Paradiso? Non sei molto bravo a giudicare il carattere delle persone, vero? Non lo farà mai.»

  Allora l'angelo lo guardò con occhi molto più antichi della Via Lattea. Poi disse, «Ah, povero me» quindi gli voltò le spalle quasi fos­se impreparato a vedere il fatto spiacevole che stava per verificarsi.

  «Gli faccia ancora male, mister Vandemar» disse mister Croup. «Gli tagli un'orecchio.»

  Mister Vandemar sollevò una mano. Era vuota. Contrasse impercettibilmente il braccio ed ecco, reggeva un coltello.

  «Te l'avevo detto che un giorno avresti scoperto che sapore ha il tuo stesso fegato» disse. «Sembra proprio che la tua giornata for­tunata sia oggi.»

  Fece scivolare dolcemente la lama del coltello sotto il lobo del­l'orecchio di Richard, che non senti dolore - forse, pensò, ne ave­va già provato anche troppo quel giorno, forse la lama era troppo affilata per far male. Però sentiva gocciolare il sangue, bagnato, che dall'orecchio scendeva sul collo.

  Porta lo osservava, e il visino da elfo con gli enormi occhi dal­lo strano colore occupavano completamente il campo visivo di lui. Provò a inviarle un messaggio mentale. Tieni duro. Non permette­re che te lo facciano fare. Starò bene.

  Poi mister Vandemar diede una lieve pressione al coltello, e Richard cominciò a gridare.

  «Fermali!» disse Porta. «Aprirò la tua porta.»

  Islington fece un rapido gesto, e mister Vandemar, sospirando pietosamente, mise via il coltello. Il sangue caldo gocciolava lun­go il collo di Richard e gli formava una pozza nell'incavo dell'os­so della spalla.

  Mister Croup si avvicinò a Porta e apri le manette che le bloc­cavano la mano destra. Lei, incorniciata dai piloni, rimase in piedi massaggiandosi il polso. La mano sinistra era ancora incatenata, ma ora godeva di una certa libertà di movimento. Tese la mano per farsi dare la chiave.

  «Ricorda» disse Islington «che ho i tuoi amici.»

  Lei lo guardò con profondo disprezzo, in tutto e per tutto figlia maggiore di Lord Portico. «Dammi la chiave» disse.

  L'angelo le consegnò la chiave d'argento.

  «Porta!» gridò Richard. «Non farlo. Non liberarlo. Noi non contiamo!»

  «In verità,» disse il Marchese de Carabas «io
conto eccome. Ma devo comunque dirmi d'accordo. Non lo fare.»

  Lo sguardo della ragazza passò da Richard al Marchese, i suoi occhi indugiarono sulle loro mani legate, sulle pesanti catene che li inchiodavano ai neri piloni di ferro. Pareva molto vulnerabile; poi distolse lo sguardo e camminò fino a dove le permetteva la catena, fino a trovarsi davanti alla porta nera costruita con silice e argento.

  Non c'era buco della serratura. Appoggiò il palmo della mano destra sulla porta e chiuse gli occhi. Quando tolse la mano, nel pun­to dove l'aveva posata si trovava un buco di serratura, attraverso cui filtrava una luce bianca che contrastava con il buio del salone.

  La ragazza infilò la chiave d'argento nella toppa. Ci fu un mo­mento di pausa, poi fece scattare la serratura. Qualcosa fece click e si udì un suono armonioso, e all'improvviso la porta fu incorni­ciata di luce.

  «Quando me ne sarò andato,» disse l'angelo a mister Croup e a mister Vandemar, con voce fascinosa, dolce e compassionevole, «uccideteli tutti nel modo che preferite.»

  Tornò a guardare la porta, che Porta stava aprendo a fatica. Si apriva molto lentamente, come se la ragazza incontrasse resisten­za. Sudava copiosamente.

  «Quindi il vostro principale se ne va» disse il Marchese a mi­ster Croup. «Spero che abbia pagato entrambi quanto pattuito.»

  Croup guardò il Marchese con attenzione e disse, «Cosa?»

  «Be',» disse Richard cogliendo la palla al balzo, «non pensere­te certo di rivederlo, giusto?»

  Mister Vandemar socchiuse lentamente gli occhi e disse, «Cosa?»

  Mister Croup si grattò il mento. «I futuri cadaveri hanno fatto un'osservazione opportuna» disse a mister Vandemar. Andò verso l'angelo, che stava a braccia incrociate davanti alla porta. «Signo­re? Sarebbe saggio se poteste regolare i conti, prima di intrapren­dere la prossima tappa del vostro viaggio.»

  L'angelo si voltò, e lo guardò dall'alto in basso come se fosse meno importante del più minuscolo granellino di polvere. Poi al­lontanò lo sguardo. Richard si chiedeva cosa stesse contemplando.

 

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