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Rune

Page 35

by Christopher Fowler


  — Niente da fare. Il posto è completamente isolato. — Prese un lembo di manica inzuppata e cercò di strizzarlo. — Non pos­siamo metterci in contatto con Harry e Dorothy. Anche se riuscissimo a raggiungere in tempo gli studi della odel, nessuno sa­no di mente ci lascerebbe entrare senza credenziali e senza ap­puntamento, conciati come siamo. La situazione è disperata.

  — C'è una forza all'opera, qui — disse Bryant, solenne. — Ci sta tenendo a bada, tutti quanti. Comincio a pensare che non po­tremmo fermarla nemmeno se riuscissimo ad arrivare là. Forse non siamo destinati a farlo. — Guardò l'orologio, poi il fiume spumeggiante. — Tra poco meno di un'ora e dieci minuti, Carmody completerà il suo collegamento internazionale. Ha usato la città stessa per respingerci. — Osservò il nastro runico ormai inutile posato tra loro. — Abbiamo fallito — disse mesto. — Peggio ancora, Londra contava su di noi, e noi non siamo stati capaci di aiutarla.

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  Vade retro...

  Slattery era stanco di svolgere compiti ingrati per Carmody. Era già stato abbastanza seccante dover seguire Harry Buckingham come un fattorino qualsiasi, ma il colmo era stato sentirsi ordina­re di rimanere in auto e lasciare che il suo assistente entrasse nel­la biblioteca da solo. Dopo che il ragazzo non era più tornato dalla ricognizione, Slattery aveva contattato via radio il massimo dirigente della odel chiedendo consiglio. Carmody non era sta­to soddisfatto del comportamento di Slattery in quella circostan­za, l'aveva considerato inefficiente. Per punizione aveva ordina­to all'avvocato di passare la notte nella Mercedes per osservare eventuali segni di attività all'interno della biblioteca. Adesso Slattery era in attesa di ulteriori istruzioni, non potendo andarse­ne anche se la preda nel frattempo si era allontanata in sella a una moto della polizia.

  La voce di Carmody scaturì all'improvviso dalla radio, facen­dolo sussultare. Slattery prese il microfono.

  — Daniel, non capisco perché devo restare qui. A far che? — si lamentò. — Sai che Buckingham ha tagliato la corda. Non vuoi che provi a rintracciarlo?

  — Sta venendo qui — disse Carmody. — Mi pare evidente. — Il suono di un altoparlante echeggiò in sottofondo dietro la sua voce. Sembrava che stesse chiamando dal nuovo studio in cima all'edificio della odel. — Cercherà di bloccare la trasmissione. Questo non mi preoccupa, naturalmente. Mi interessa di più si­stemare gli ultimi particolari in sospeso questa sera. Per quanto riguarda la ragazza e il vecchio, aspetteremo che si siano separati per liquidarli, non è un problema. Tu però dovrai eliminare la bibliotecaria. E ancora là dentro?

  — Se fosse uscita, l'avrei vista.

  — Bene. Tutti gli altri mi servono qui. Te ne occupi tu?

  — Daniel, lo sai che non eseguo più certi "lavoretti manuali".

  — Lo so, ma dobbiamo fare dei sacrifici se vogliamo che que­sta sera tutto fili liscio. È ovvio che sarai ricompensato adeguata­mente per il disturbo. Quando hai finito, controlla bene che non ci siano in giro prove incriminanti. Poi torna alla odel il più in fretta possibile.

  Slattery si congedò con un sospiro e riappese il microfono. Al­lungò una mano dietro il sedile e prese i guanti da guida di pelle preferiti. Le ragnatele cremisi attorno alle pupille dei suoi occhi infiammati sembrarono brillare nell'oscurità quando si girò e ri­volse la propria attenzione alla biblioteca. Dio, cosa mi tocca fa­re per l'azienda pensò.

  Dorothy s'incamminò lungo le corsie buie della sala principale della biblioteca e controllò lo scaffale spinto davanti alla finestra rotta. Alla base, sul pavimento di legno incerato, si stava for­mando una grossa pozzanghera di acqua piovana da cui - quando la tensione superficiale superava un certo livello - partivano nuo­vi rigagnoli che si diramavano tra le scaffalature. Tenere a bada il male è impossibile pensò. È come cercare di bloccare la pioggia. È una forza naturale che cala e cresce, e noi possiamo solo spera­re di arginarla o deviarla.

  Attraverso la fessura tra la finestra e lo scaffale, scorse l'av­vocato di Carmody che lasciava la Mercedes e si avviava verso il retro dell'edificio. Un senso di panico cominciò a invaderle il petto mentre si guardava attorno in cerca di qualcosa con cui proteggersi. Non c'era nulla lì. Un coltello smussato, forse, nel cassetto della stanza del personale. Gli oggetti più pericolosi del­l'edificio erano i libri nello scantinato...

  Corse verso la scala, raggiungendola proprio mentre Slattery si proiettava col corpo contro lo scaffale. Dato che l'ostacolo che sbarrava la finestra non accennava a spostarsi, Slattery cominciò a martellare il legno. Dorothy sapeva che lo scaffale non avrebbe resistito a lungo a quei colpi. Arrivata in fondo ai gradini, scostò a calci mucchi di volumi che stavano marcendo e tirò la porta ac­costata alla parete. Non la usava da diversi anni perché chiudere lo scantinato significava isolare i libri in un ambiente umido e fe­tido, favorendone il deterioramento. Mentre faceva ruotare la porta spingendola contro lo stipite, un nido grigio di ragni si rup­pe ai suoi piedi, coprendole le scarpe di una ragnatela bruna di zampe in movimento spasmodico. Dorothy arretrò con una smorfia, calpestando gli animaletti, e chiuse il catenaccio. Le viti nel muro di pietra bagnato erano allentate. Si augurò che tenes­sero abbastanza a lungo da permetterle di attuare il suo piano.

  C'erano quattro libri particolari che le occorrevano. Raggiun­se lo scaffale più umido nell'angolo più lontano dello scantinato, individuò due volumi e li staccò dalla muffa viscida che li teneva appiccicati al legno.

  Dal piano superiore giunse un rumore di vetri rotti, seguito da un tonfo. L'intruso cominciò a camminare avanti e indietro, per­lustrando le corsie. Dorothy si chiese quanto tempo sarebbe tra­scorso prima che pensasse di guardare dabbasso. Il terzo e il quarto libro erano all'estremità opposta dello scantinato. Era importante tenere separati quei volumi runici. Da un pezzo Do­rothy era consapevole delle loro proprietà letali. Erano morti parecchi uomini per completare quei volumi, assolutamente in­nocui finché non venivano disposti in maniera tale da formare un quadrato, al che le immagini incomplete disegnate all'interno si univano formando un unico incantesimo demoniaco, un nastro di Mobius maligno che avrebbe protetto l'invocatore e dannato tutti gli aggressori. Fino a quel momento, Dorothy non aveva mai avuto motivo di mettere alla prova il mito. Aveva visto le proprietà segrete di altri tomi che si trovavano lì sotto. Sua ma­dre l'aveva allevata come una vera credente. Perché l'apparizio­ne non avrebbe dovuto manifestarsi per lei? Era pericoloso, naturalmente. Una volta evocato l'essere, sarebbe stato impossibi­le mandarlo via a mani vuote.

  Dorothy accese un paio di candele e le posò su due chiazze di cera rossa sciolta sul pavimento di pietra. Inginocchiandosi, aprì ogni libro alla pagina adatta, poi li sistemò nel modo necessario. Un volume era molto malconcio. La muffa aveva corroso la lega­tura glutinosa, scolorendo le pagine. Lo appoggiò alla meglio contro gli altri.

  I passi sopra di lei mutarono direzione, poi si fermarono. L'uo­mo aveva scorto la porta dello scantinato. Sembrava che il tem­pio cartaceo muffoso davanti a lei non stesse sortendo alcun ef­fetto. Ci voleva qualcos'altro per attrarre le forze delle tenebre. Alzandosi, Dorothy prese un tagliacarte dal tavolino da lavoro e se ne conficcò la punta nel braccio, lasciando gocciolare il sangue sui volumi.

  Alle sue spalle, la maniglia della porta rumoreggiò. L'intruso doveva avere sentito l'odore delle candele accese. Dorothy s'in­ginocchiò accanto al tempio di libri e cominciò a recitare sommessamente. Le fiamme ondeggiavano ai lati, lingue giallognole tremule che guizzavano seguendo la cadenza della sua voce. Do­rothy spostò il braccio da un volume all'altro, macchiando col proprio sangue le pagine assorbenti.

  Con un fragore improvviso, la porta si curvò verso l'interno, e le viti del catenaccio schizzarono dal muro in una pioggia di calci­nacci. Slattery spalancò l'uscio, vide la donna inginocchiata tra le candele a qualche metro da lui, e si fermò. Prima che l'intruso potesse parlare, Dorothy si rese conto che qualcosa stava comin­ciando a formarsi nell'aria gelida e greve dello scantinato.

  La figura che vide rannicchiata di fronte a sé sembrava uscita dagli scaffali stessi. Era
più bassa e più esile di un uomo normale, ma molto più inquietante di qualsiasi cosa umana. Tre corna aguzze ramificate spuntavano dal cranio sopra l'attaccatura dei capelli. Sotto il naso, una fenditura labiale felina, e una lingua che pareva troppo grande per quella bocca. Sul petto, le ginocchia e l'inguine, i pallidi tratti dei morti, piccole facce cadaveriche che si raggrinzivano e si corrugavano ad ogni movimento del corpo. Una volta Dorothy aveva visto qualcosa del genere in un manoscritto del quindicesimo secolo che si trovava nella Bibliothèque Nationale a Parigi. Era una creatura che appariva nelle illustrazioni presenti nei quattro volumi, una tipica concezione medievale di un diavolo. L'essere osservò la vecchia che bor­bottava tra sé inginocchiata davanti ai libri, poi rivolse la propria attenzione all'uomo sulla porta.

  Mentre Dorothy distoglieva lo sguardo, la creatura rasentò svelta i margini della stanza, raschiando la pietra con le unghie, e colse di sorpresa Slattery, afferrandolo per la gola. Sollevandolo da terra con una mano, ne calò la parte inferiore molle del mento sulle corna, lacerando la carne. Mentre Slattery urlava e comin­ciava ad agitare gli arti, continuò ad abbassare la testa della vitti­ma sul proprio cranio, fino a infilzarla completamente. Quindi, emettendo un rantolo gutturale, si avvicinò alla vecchia.

  Dorothy alzò lo sguardo. L'essere prese con ambo le mani il cranio della vittima e lo rigirò, torcendolo avanti e indietro, strappandolo dal macabro spiedo, poi con un unico gesto noncu­rante gettò da parte il corpo e, appagato, tornò nei confini mela­nici degli scaffali, proprio mentre Dorothy cominciava a gridare.

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  Impero

  Evening Standard

  Lunedì 4 maggio

  londra paralizzata!

  La città si blocca per un guasto del sistema controllo traffico.

  Gli esperti affermavano che non sarebbe mai potuto accadere, ma oggi pomeriggio la capitale è rimasta paralizzata quando il traffico ha intasato completamente le sue arterie principali, e tut­to questo perché un sistema computerizzato che regolava la cir­colazione stradale, in teoria "infallibile", ha cessato di funziona­re. Il sistema, acquistato dal Ministero dei Trasporti da un'industria francese, è stato colpito da un virus simile a quello che re­centemente ha infettato il sistema Internet americano.

  BAMBINI MUOIONO IN UN INCENDIO

  PER MANCATO INTERVENTO DEL 999

  Le ambulanze che rispondevano alle chiamate d'emergenza si so­no ritrovate intrappolate in strade piene di veicoli fermi. A Tufnell Park, due bambini sono morti in un appartamento in fiamme perché le autopompe dei vigili del fuoco sono rimaste bloccate negli ingorghi. Mentre i radiatori bollivano e la gente perdeva la calma, i vigili urbani hanno tentato invano di ripristinare la circolazione deviando il flusso di auto e camion.

  LA COLPA È IN PARTE DELLE CIRCOSTANZE BIZZARRE

  Oltre al cattivo funzionamento del sistema di controllo compute­rizzato, la polizia ha attribuito la paralisi cittadina alle strane cir­costanze statistiche che hanno visto uscire in strada contemporaneamente una così grande percentuale di popolazione. La piog­gia sferzante ha ostacolato gli sforzi della polizia, che ha invitato i conducenti a non lasciare i loro veicoli. L'Automobil Club ha registrato un numero record di chiamate durante il giorno. La con­gestione della metropolitana londinese ha costretto molte stazio­ni a chiudere le banchine, e per dimostrare che in certi ambienti l'attività si svolgeva normalmente, scioperi del personale hanno paralizzato la Northern Line. Questa sera il traffico stava ripren­dendo lentamente a scorrere, ma ci vorranno parecchi giorni pri­ma che venga eliminato completamente dalla rete computerizza­ta il nuovo virus letale, di cui si deve ancora scoprire l'origine. Il ministro dei Trasporti ha interrotto la sua vacanza alle Seychelles per condurre un'indagine.

  Bambini morti in un incendio pagina 2.

  Deputato chiede sussidi per rete computer britannica pagina 3.

  Harry Buckingham smontò dal sellino posteriore della moto e guardò il grande edificio d'acciaio che s'innalzava di fronte a lui. La torre speculare della odel Corporation, fredda e inflessibile come l'uomo che ne aveva ispirato la costruzione, si perdeva nel­le nubi scure e vorticose. Respirò profondamente. Tra meno di mezz'ora, Carmody avrebbe dato il via alla sua prima trasmissio­ne. Harry si toccò, sentendo il peso rassicurante della videocas­setta duplicata sotto l'impermeabile, e salì i gradini dell'ingresso due alla volta.

  Gli era rincresciuto moltissimo lasciare sola Dorothy, ma quando il poliziotto in moto era arrivato alla biblioteca gli era ve­nuta un'idea.

  La sua più grande preoccupazione era che Grace e Bryant non riuscissero a entrare alla odel. Era molto più probabile che Car­mody consentisse l'accesso a lui. Durante l'ispezione iniziale in biblioteca, aveva notato sotto una fodera di plastica un altro vi­deoregistratore, di proprietà dell'Associazione Famigliare Bibli­ca che si riuniva lì. Era stato facile allontanarsi alla chetichella dagli altri e collegare le due macchine. Grace si sarebbe infuriata una volta scoperto che aveva lasciato la biblioteca con una copia del nastro. Durante il tragitto attraverso la città, Harry aveva pregato il cielo di potere arrivare a destinazione senza avere una nuova ricaduta. Ora, mentre si avvicinava alle guardie in divisa che pattugliavano l'ingresso, a quel timore subentrò rapidamen­te il problema di ottenere l'accesso all'edificio.

  All'estremità di un atrio di marmo circolare, un portiere in li­vrea sgargiante sedeva con lo sguardo incollato a un piccolo tele­visore, aspettando presumibilmente che apparisse sullo schermo la prima trasmissione della sua azienda. Sul banco accanto a lui, diverse pile di opuscoli patinati promettevano un grande futuro per la Hemisphere Television. Avvertendo la presenza di qualcuno di fronte a sé, il sorvegliante staccò gli occhi dallo schermo e squadrò Harry.

  — Sì? — C'era dell'insolenzà in quell'unica sillaba. Harry in­dossava ancora gli indumenti che aveva addosso quando era fug­gito dalla villa di Carmody. Per fortuna, aveva pensato di coprirli con l'impermeabile preso in prestito dal poliziotto.

  — Ho un appuntamento con Daniel Carmody.

  Il portiere lo fissò incredulo. — Non credo — disse lentamen­te. — Il signor Carmody si sta occupando di questioni importanti in questo momento. Non è possibile disturbarlo.

  Harry si era preparato ad affrontare una situazione del gene­re. Facendo appello alle sue doti di ex pubblicitario arrogante, posò le nocche sulla scrivania e si sporse in avanti, sovrastando l'interlocutore. — Le decisioni non rientrano nei suoi compiti — disse secco, in tono minaccioso. — Prenda quel telefono e dica a Daniel Carmody che Harry Buckingham è qui e che desi­dera vederlo.

  Il portiere parve sconcertato per un attimo, poi riacquistò la padronanza di sé. — Il signor Carmody è impegnato in una tra­smissione televisiva. Ha dato ordine di non essere disturbato assolutamente.

  Harry guardò l'orologio dietro la scrivania. Ancora venti mi­nuti. Tornò a concentrarsi sul sorvegliante. Digrignando lenta­mente i denti, prese una matita e tracciò una curva sul tampone di carta assorbente tra loro.

  Il portiere osservava, perplesso.

  — Questa è la traiettoria della sua carriera — spiegò Harry. E battè sull'apice della curva. — Lei adesso si trova qui. — Trac­ciando una linea discendente fino in fondo al foglio, premette co­sì forte da spezzare la matita e rompere il tampone. Poi gettò i pezzi nel cestino del portiere allarmato e gridò: — Ecco dove fi­nirà il suo impiego se non prende subito quel telefono!

  Il portiere decise che l'uomo che aveva di fronte era abbastan­za pazzo da essere un personaggio importante. Conosceva bene quell'arroganza, era una caratteristica dei suoi superiori. Rilut­tante, cominciò a comporre un numero all'apparecchio.

  All'ultimo piano del grattacielo della odel, lo studio era in preda a una grande agitazione, ma tutto era sotto controllo. La trasmissione di quella sera consisteva in una cerimonia di "ac­censione" presenziata dalla stampa (in realtà non c'era nulla da accendere, così una popolare diva degli sceneggiati televisi­vi si sarebbe esibita nel premere un finto interruttore infioc­chettato) e nel caricamento di una v
ideocassetta di mezz'ora che avrebbe pubblicizzato diffusamente il prossimo prodotto dell'azienda.

  Quindi sarebbe stata la volta di un altro nastro. La durata del secondo video era di appena tre minuti, ma il suo effetto si sareb­be sentito a lungo. Riaccendendo il sigaro, Carmody si congratu­lò con se stesso concedendosi un sorriso. Dopo quella trasmissio­ne, la stazione avrebbe chiuso per un mese in attesa di potere ini­ziare l'attività a pieno ritmo. Per il resto della serata, Daniel Carmody e la moglie sarebbero stati a disposizione dei giornalisti durante un rinfresco.

  Carmody accettò la chiamata della segretaria con un sorriso ancor più ampio. Quella sera poteva permettersi di essere gene­roso. — In effetti, aspettavo il signor Buckingham — disse. — Lo faccia salire. — Fece uscire dalla sala assistenti e tecnici, e si rilassò sulla poltroncina, in attesa.

  Mentre la porta dell'ascensore si chiudeva silenziosa alle sue spalle, Harry si ritrovò in un corridoio di marmo nero pieno di monitor. In fondo al corridoio c'era un atrio circolare simile all'ingresso dell'edificio trenta piani più in basso. Quell'anticame­ra comunicava con un'unica enorme sala. La porta della sala era socchiusa. Harry l'aprì ed entrò.

  Come al solito, Carmody era seduto dietro una scrivania: in questo caso si trattava di un mobile ricavato da una grande lastra di marmo venato di verde che conferiva al finanziere l'aspetto di un sacerdote intento a compiere una cerimonia sacrificale.

  — Harry — esclamò, alzandosi in parte. — È un piacere ina­spettato. — Ridacchiò cupo. — Ma sotto sotto sapevo che non saresti riuscito a stare alla larga dalla nostra piccola cerimonia di inaugurazione.

 

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