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Rune

Page 36

by Christopher Fowler


  Harry avanzò, tendendo la mano. Era decisamente arruffato e malvestito in quell'ambiente immacolato. Carmody declinò l'of­ferta. — Preferisco che tu stia al centro della stanza, dove posso tenerti d'occhio. — Abbozzò un sorriso contratto. — Ho sempre desiderato poter dire a qualcuno: "Temo di non poterti lasciare uscire vivo di qui". È un cliché meraviglioso, ma oggigiorno non capita spesso l'opportunità di dire una cosa simile, no? Il lin­guaggio dell'uomo d'affari moderno è fatto di eufemismi.

  Soffiò della cenere di sigaro caduta sul marmo che raccolse nel palmo della mano e che vuotò in un cestino. Harry stringeva la videocassetta nascosta sotto l'impermeabile.

  — Se devo essere sincero, però, non rappresenti un grande pericolo per noi, in realtà — disse Carmody. — Nessuno crede­rebbe alla tua storia... ma questo è un altro cliché, vero? — Si alzò e girò attorno alla scrivania. — A questo punto della vicenda, sembra che stiamo entrando nel mondo della narrativa popola­re... Ma sai, Harry, anche adesso mi interessi ancora. — Inclinò il capo, emettendo una boccata di fumo. — Perché sei così deci­so a opporti al corso delle cose? Perché ti batti con tanto accani­mento contro una nuova idea? Sicuramente, è meglio aspettare e vedere quel che succede, no? Penso che in definitiva saresti stato sorpreso favorevolmente dai nostri piani, come la maggior parte dei nostri futuri soci... e stiamo parlando di persone ragionevoli e morali.

  — Molta gente pensava che il movimento nazista fosse una buona idea.

  — Questa è una tipica reazione automatica, Harry, e lo sai. Certo che il nazismo era una cattiva idea, chiunque in grado di distinguere il bene dal male può rendersene conto. Perché quan­do una persona lungimirante concepisce un nuovo modello di so­cietà viene subito paragonata a Hitler? Quello che voglio è solo a un millimetro di distanza da quello che vuoi tu. Io sono sempli­cemente meno sentimentale di te. — Carmody controllò l'orolo­gio. — Adesso, se vuoi scusarmi, devo andare a vedere quella donna antipaticissima che premerà quel finto interruttore... lei non lo sa, ma quel gesto annuncerà l'inizio di una nuova era nel­le tecniche commerciali alternative. — Sogghignò malizioso, e si voltò per uscire.

  — Aspetta — disse Harry. — Non vuoi vedere cos'ho per te?

  — Non proprio. Se avessi avuto addosso un'arma, i sensori nell'atrio l'avrebbero individuata.

  Una segretaria dall'aria angustiata attraversò la sala con un ticchettio di tacchi e si rivolse all'amministratore delegato par­lando sottovoce. Quando la donna si allontanò, Carmody non sorrideva più.

  — A quanto pare, dovrai stare ancora qualche minuto in mia compagnia — disse con scarso entusiasmo.

  — Perché? — chiese Harry. — Non ci sarà la trasmissione?

  — Un lieve ritardo. Solo un piccolo problema tecnico. Condi­zioni meteorologiche avverse. Non preoccuparti, tra pochi minu­ti saranno pronti.

  Be', adesso o mai più decise Harry. Estrasse la videocassetta e la mostrò, e sentì che una parte di Carmody ammirava la sua te­nacia, che voleva ancora fidarsi di lui. Al finanziere rincresceva perdere un dirigente potenzialmente pieno di risorse.

  — Dai un'occhiata a questa. Penso che il suo contenuto sor­prenderà perfino te. — Lasciò cadere il nastro sulla scrivania, sfidandolo.

  Carmody fissò Harry in viso, poi accese l'interfono. — Chia­matemi non appena siete pronti a trasmettere. Sarò di sopra fino a quel momento.

  Seguito da Harry, si avviò verso l'ascensore e attese che la por­ta si aprisse. Una volta all'interno, estrasse una piccola chiave d'acciaio e la inserì in una fessura sopra la pulsantiera. L'ascen­sore salì di un piano e si aprì su un appartamento privato dove predominavano i freddi colori aziendali dell'edificio: nero, verde e argento. Un'intera parete era occupata da una vetrata da cui si abbracciava con lo sguardo la città sferzata dalla pioggia. Il fi­nanziere tolse la cassetta dalla custodia e la inserì in un muro ne­ro lucido di apparecchiature video.

  L'avrebbe proprio guardata! Harry stentava a credere alla pro­pria fortuna. Non appena fossero apparse le immagini, avrebbe distolto lo sguardo...

  Carmody prese uno dei numerosi telecomandi e premette il ta­sto play. Harry scorse di sfuggita Grace e Dorothy in posa da­vanti agli scaffali della biblioteca, prima di girarsi. Passò un mi­nuto, e i fotogrammi granulosi scorsero sullo schermo.

  Harry continuò a osservare il panorama dalla parete di vetro, finché non sentì una risatina divertita. Si voltò. Carmody aveva un'espressione di scusa.

  — Mi spiace, Harry — disse, e imbarazzato si strofinò il naso sforzandosi di non ridere. — Ma è tutto qui? Sarebbe questa la tua arma? Mi aspettavo che avresti cercato di rifilarmi il nastro rubato alla Instant Image, ma non appena ho visto la cassetta mi sono accorto che non era una delle nostre.

  Guardò ancora un attimo, poi premette il tasto di espulsione. — Francamente, speravo proprio in qualcosa di un po' più ambi­zioso. — Scosse la testa e andò al bar, versandosi da bere. — Ti abbiamo lasciato solo tutto il giorno, e questo è il massimo che sei riuscito a escogitare. Molto simpatico, certo. Penso che lo terrò come ricordo. — Ruppe del ghiaccio in un secchiello d'ar­gento e lo mise nei drink.

  — Non capisco — disse Harry.

  — Quanto sei ingenuo. I nastri runici sono il nostro forte. Stento a credere che tu abbia scelto la nostra specialità cercando di usarla come tallone d'Achille. Pessima strategia. Forse è un bene che tu abbandoni il settore pubblicitario. — Carmody gli porse un bicchiere opaco e gli si sedette accanto, troppo vicino.

  Harry guardò sospettoso nel bicchiere.

  — È un gin and tonic — lo tranquillizzò Carmody; l'occhio ve­ro aveva un'aria divertita. — Ti farà male solo se ne berrai molti per molti anni.

  Harry ne bevve un sorso. — Perché il mio nastro non funzio­na? — chiese, cercando di mostrare un interesse professionale distaccato.

  — Harry... — Carmody scosse il capo, fingendosi deluso. — Non è qualcosa che si abborraccia alla bell'e meglio. Non è affat­to così semplice. Ognuno dei nostri nastri è un microsistema densamente codificato cosparso di simboli elettronici subliminali. Sai qual è il costo di produzione di ogni cassetta? Circa mezzo milione di sterline! Altrimenti, perché pensi che ci siamo dati tanto da fare per recuperare il materiale rubato? Naturalmente, ridurremo i costi quando inizieremo la produzione in serie, ma quelli erano prototipi. Dai un'occhiata a questo.

  Prese un altro telecomando e battè un codice numerico di sei cifre. Mentre terminava l'operazione, il muro nero di apparec­chiature video di fronte a loro si ritrasse, rivelando una serie di microcircuiti ambrati luccicanti che si perdevano nel soffitto. In quelle spire geometriche migliaia e migliaia di impulsi efflore­scenti scorrevano tra i contatti riproducendo chimicamente il processo neurale.

  — Ecco cos'ho portato alla odel — disse Carmody, con voce vibrante di orgoglio. — Ecco cos'hanno pagato profumatamen­te.

  Harry sussultò, sbalordito dalla bellezza e dalla complessità del sistema. — Quello che vedi — continuò Carmody — è solo una parte di un sistema di codifica in grado di creare immagini runiche computerizzate in qualsiasi forma elettronica. Il proces­so è diventato così sofisticato che un piano solo non basta più a ospitarlo. Ci sono voluti dieci anni per metterlo a punto, e appe­na tre mesi per realizzarlo. Grazioso, vero?

  Guardò l'orologio, poi la pioggia che cadeva a scroscio sulla grande vetrata.

  — Comunque, non hai superato la tua ultima prova. Non riu­scivo a decidere come regolarmi con te. Adesso penso che dovrò trovare un altro uomo per quell'incarico. Forse però puoi ancora essere utile alla odel in una posizione di minor responsabilità. Come cavia runica. Ti spiace rinfrescare i drink?

  Harry prese il bicchiere di Carmody e si alzò. Ormai era sta­to escluso dal gioco, ridotto al rango di servo. Capì che sareb­be stato necessario ricorrere alla violenza. Il rompighiaccio era ancora nel secchiello dove lo aveva lasciato il finanziere. Men­tre metteva un pezzo di ghiaccio nel bicchiere, fece scivolare la manica della giacca sull'utensile appuntito e lo nascose a
ll'in­terno.

  Oltre l'attico, il tuono scoppiò, scuotendo le finestre col lungo rimbombo. Tornato al divano, Harry sentì il cuore che gli mar­tellava sotto la camicia. Doveva agire mentre porgeva il bicchie­re. Come se gli avesse letto nel pensiero, Carmody allungò una mano, e un lieve sorriso gli incurvò le labbra.

  Harry lasciò che il rompighiaccio bagnato scivolasse dalla ma­nica e gli finisse nel palmo. Mollando il bicchiere, si lanciò al­l'improvviso verso Carmody, mirando alla gola. Gli occorsero parecchi secondi dopo il colpo sordo che seguì per rendersi con­to che l'altro gli aveva sparato. Una stilettata di calore tremendo gli trafisse la spalla della giacca, e sulla camicia cominciarono a sbocciare dei petali cremisi.

  — Bravo, Harry, hai pensato al rompighiaccio. Notevole. Ve­di, non ci vuole molto per fare affiorare i tuoi istinti naturali. Purtroppo, l'offerta d'impiego iniziale continua a non essere più valida. Non potrei mai fidarmi di te, credo, se ti assegnassi un in­carico di responsabilità. —Carmody infilò la pistola nella giacca. Poi estrasse il rompighiaccio conficcato nel divano e lo gettò lon­tano sul pavimento di marmo verde.

  Anche se il dolore alla spalla aveva cominciato ad attenuarsi leggermente, Harry sentì che le ginocchia gli stavano cedendo. Mentre cadeva, si chiese se stesse per avere un collasso.

  — Non preoccuparti — disse una voce remota. — Non ti ri­marrà una gran cicatrice. Ho mirato lontano dal cuore. Sono so­lo lesioni ossee e nervose. — Due mani si abbassarono e gli strapparono la camicia, controllando il foro d'entrata del proiet­tile. L'esplosione di dolore improvvisa fece riprendere completa­mente i sensi a Harry. Dietro di loro, un interfono ronzò. Car­mody andò a rispondere, mentre Harry tentava di drizzarsi a se­dere.

  — A quanto pare, sono pronti a iniziare la trasmissione — dis­se Carmody. — Scendo subito. — Fece per interrompere la co­municazione, poi si arrestò. — Cosa? Ditele che recitare la parte di una strega sullo schermo non le dà il diritto di comportarsi da strega nella realtà... No, ripensandoci, è meglio che Celia provi a calmarla. — Si rivolse a Harry. — L'attrice di soap opera li sta facendo ammattire perché si inizia in ritardo. Ti piacerebbe unir­ti a noi? — Guardò la camicia insanguinata di Harry, il suo volto pallidissimo. — No, ho un'idea migliore. — Formò un numero e parlò col produttore. — Seguirò la trasmissione da quassù, Jim. Non devo fare nulla nello studio, sarei solo d'intralcio... Be', na­turalmente ho fiducia in te... Mandamela sul monitor principale, i'ed!?... No, sono capace anch'io di farlo. Ma tienti pronto quando chiamo. Va bene.

  Tornando accanto a Harry, infilò le braccia sotto la giacca macchiata di sangue e lo trascinò fino al divano di fronte allo schermo, dove lo mise a sedere. — Vedrai qualcosa di interes­sante — disse, inserendosi sul canale giusto. — Il nastro che tra­smetteremo in seguito è quanto di più avanzato abbiamo creato finora. È fatto su misura per adattarsi alla struttura cerebrale di alcune persone. Escludendo la messa a punto della tecnologia, la parte più difficile dell'operazione è stata procurarsi i dati medici degli avversari della odel.

  Il luccichio statico che occupava lo schermo scomparve ben presto, sostituito da immagini del piccolo studio e della regia del piano di sotto.

  — Non può influenzare né te né me, naturalmente. Ma proba­bilmente puoi immaginare che, effetto avrà su sette dirigenti d'a­zienda che guarderanno la trasmissione oltreoceano.

  Venne inquadrata la star delle soap opera e una truccatrice le si precipitò accanto per un ultimo ritocco.

  — Sembra vecchia — commentò Carmody. — Avremmo do­vuto scegliere una madrina più giovane. Come stai, Harry?

  — Male. Perdo sangue.

  — Sai, hai ragione... è proprio quello che sta accadendo. La punta delle pallottole contiene un enzima anticoagulante. È solo una piccola ferita, ma dovrai farla suturare in fretta se vuoi vive­re. Più ti muovi, più sanguinerai.

  — Credevo che volessi tenermi in vita per usarmi come cavia.

  — Be', sì... però non è poi così importante.

  — Non voglio...

  — Cosa?

  — Non voglio morire.

  — Dovevi pensarci prima.

  Dagli altoparlanti del monitor scaturì una salva di applausi, mentre l'attrice tagliava il nastro e premeva il finto interruttore. Il logotipo in verde, nero e argento della Hemisphere tv della odel si sovrappose alla scena. Carmody si sporse in avanti, in­cantato. Harry abbassò lo sguardo, e quel che vide lo fece scivo­lare lungo lo schienale del divano. Il sangue gli aveva inzuppato la camicia e adesso stava formando una pozza attorno alle sue cosce. La ferita non accennava a rimarginarsi. Tornando a fissare lo schermo, si accorse che la sua capacità di concentrazione stava scemando. Il muro di circuiti iridescenti dietro il monitor scintil­lava mentre le particelle nelle sue vene metalliche zigzagavano attraverso il labirinto elettronico, eseguendo ordini che cambia­vano a ogni millisecondo.

  Harry sapeva che stava morendo. Non si trattava più di chie­dersi se sarebbe vissuto o meno, ma di chiedersi quanto gli rimanesse da vivere. Aveva agito in modo prevedibilissimo, tornando nel gelido abbraccio del finanziere, per poi sbagliare tutto nel colloquio decisivo. Il gioco era finito. Non era riuscito a influen­zare nessuno, a cambiare alcunché. Grace e Bryant erano bloc­cati chissà dove dall'altra parte della città. Dorothy era sola e inerme nella biblioteca buia. Tutto era andato storto. Scivolò lentamente sul pavimento, nel proprio sangue, mentre la folla continuava ad acclamare attraverso gli altoparlanti.

  Di colpo, l'immagine sul monitor diventò sfocata e svanì, so­stituita da una nuova immagine. Per un attimo, Carmody sembrò confuso e controllò il telecomando. Mentre alzava il capo verso lo schermo, Harry sentì un formicolio d'avvertimento ormai fa­miliare alla fronte. Un segnale runico in arrivo, molto ostile! Gi­rò la testa di lato, bruscamente, pregando il cielo di avere smesso di guardare in tempo, prima che il messaggio subliminale riatti­vasse la sua recente sensibilità ai nastri. Carmody stava ancora osservando il monitor, e spalancava lentamente la bocca, allar­mato.

  In quell'istante, la porta dell'ascensore in fondo all'anticamera si aprì, e poco dopo Celia Carmody entrò nella sala.

  — Sono arrivata in tempo per la trasmissione? — chiese, an­dando verso il divano. Era vestita e pettinata in modo impeccabi­le per la serie di interviste. Si muoveva come una marionetta. Sembrava una psicopatica. I lineamenti delicati erano stati tal­mente evidenziati dal trucco che pareva fatta di plastica color carne. Indugiò nervosa accanto a Harry, ignorando il suo stato, fissando il volto del marito. Un crepitio incessante di scariche statiche risuonava nella sala. Sotto quel rumore c'era qualcos'altro, qualcosa che assomigliava al linguaggio umano, un chiac­chiericcio demoniaco. Stava accadendo qualcosa di strano. Car­mody continuò a guardare lo schermo che proiettava esplosioni di colore solarizzato sulle pareti. Sembrava narcotizzato.

  Harry era disperato. Avrebbe voluto alzarsi, fuggire dal tur­bine di suono e di luce che filtrava in matrici elettroniche dallo schermo, ma non aveva la forza di muoversi. Celia gli accostò le labbra all'orecchio. — Non guardare lo schermo — lo avvertì. — Dobbiamo andarcene. Non può farmi nulla, adesso. Non po­trà più farmi del male. — Mentre abbassava il braccio per pren­dergli la mano, si accorse della gravita della sua emorragia.

  — Ha una pistola — disse stupidamente Harry, biascicando le parole.

  Carmody lanciò un urlo improvviso di paura. Si era girato sul divano, e ora si era alzato mettendosi davanti al muro di circuiti. Evidentemente, vedeva qualcosa all'interno di quell'intrico, qualche immagine terribile che nessun altro al mondo era in gra­do di scorgere... ma, avvertendo i primi sintomi di un attacco di nausea, Harry si rese conto che anche lui poteva vederla.

  Chiuse gli occhi, portandosi le mani alle tempie che gli martel­lavano. Quello che aveva appena intravisto di sfuggita era stato sufficiente a ripercuotersi sul suo subconscio già sensibile. Sen­tendo il cigolio e lo stridore dell'acciaio sul marmo, si preparò ad aprire gli occhi e a incontrare di nuovo i demoni della sua mente.

/>   Ma questa volta non c'era nessuna mostruosa divinità pagana con cui lottare. Sembrava invece che i circuiti luccicanti in cui scorrevano gli impulsi runici della odel si fossero animati. I cir­cuiti stampati e i trasformatori stavano avanzando verso il finan­ziere come se formassero un organismo vivo. Le sottilissime ve­ne d'argento dei collegamenti elettrici all'improvviso guizzarono rapide, sferzando le parti esposte del suo corpo, le guance, i pal­mi delle mani alzate. Annaspando sotto la giacca, Carmody estrasse la pistola e la puntò a casaccio.

  — Non c'è niente, là — disse Celia. — Cosa vedrà?

  Il primo colpo esplose nel labirinto di fili turbolenti, provocan­do una pioggia di scintille che schizzarono sul pavimento lucido. La seconda pallottola rimbalzò su un pannello e perforò il vetro all'altro lato della sala, alterando di colpo la tensione della pare­te trasparente. Col tintinnio risonante di uno specchio d'acqua ghiacciato, scissa da crepe arcuate, la vetrata cadde in un'esplosione di pioggia e di schegge, mentre all'esterno cupe nubi tem­poralesche solcavano un cielo incollerito.

  Harry tornò a osservare Daniel Carmody. I circuiti scintillanti adesso l'avevano circondato; i cavi si drizzavano sinuosi come serpenti all'attacco, conficcandogli i connettori nella carne della faccia e delle braccia. Sembrava che Carmody stesse diventando parte del sistema stesso; le sottili linee ferrigne del computer gli penetravano nelle vene, ed era impossibile distinguere dove fi­nisse l'uomo e dove cominciasse la macchina.

  Harry sentì una mano sulla manica. Resasi conto che era in preda a un'allucinazione, Celia stava cercando di trascinarlo ver­so l'ascensore. Dietro di loro, le immagini runiche svanirono dal monitor. La trasmissione cessò di colpo; al piano di sotto, in re­gia, erano intervenuti, staccando alcune connessioni.

  — Harry, dobbiamo scendere prima che trovino il nastro giu­sto e lo trasmettano. — Harry si alzò dal pavimento, e insieme si diressero barcollando verso la porta d'acciaio. Mentre Celia pre­meva il pulsante dell'ascensore, Harry si voltò. In un'aureola vorticosa di fili argentei, Carmody aveva girato il corpo trafitto per sparare ai fuggitivi. Un proiettile forò la porta dell'ascensore a pochi centimetri dalla faccia di Harry. Celia urlò mentre mar­tellava il pulsante, inutilmente. Harry infilò le dita tra le guarni­zioni di gomma al centro della porta e provò a forzarla, ma men­tre lo faceva sentì che la ferita alla spalla si riapriva. Un fiotto di sangue gli scese lungo il petto. Assalito da un capogiro, vacillò all'indietro.

 

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